Libia, in carcere senza capi d’accusa. L’Onu chiede impegno politico

Misna. Troppi prigionieri trattenuti senza formali capi d’accusa: il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha puntato il dito contro la giustizia della nuova Libia e ieri, in un rapporto presentato al Consiglio di sicurezza, ha chiesto che le istituzioni nazionali e il nuovo primo ministro che sarà scelto in questi giorni affrontino una questione determinante per il processo democratico in atto.

Secondo alcune stime citate da Ban Ki-moon sarebbero almeno 7000 le persone detenute in violazione dei più elementari diritti umani. L’alto diplomatico ha inoltre affermato che “le assicurazioni fatte dalle autorità libiche per accertare responsabilità su diversi casi di tortura e maltrattamenti non sono state finora seguite dai fatti”.

A pesare sul sistema carcerario in Libia è anche la presenza di diverse strutture gestite da consigli militari locali o comitati di sicurezza che sfuggono al controllo del ministero della Giustizia. Meno della metà dei detenuti si trova in penitenziari gestiti da quest’ultimo, gli altri si trovano sotto il diretto controllo di gruppi armati usciti vittoriosi dal confronto con il deposto regime di Muammar Gheddafi.

Tra i detenuti più vulnerabili sono i cittadini originari di Tawergha. Cittadina a pochi chilometri da Misurata, Tawergha fu conquistata ad agosto del 2011 dagli uomini del Consiglio nazionale di transizione. Gli abitanti – in gran parte di pelle scura per motivi legati alla sua storia e al fatto di essere stata in passato un centro collegato alla tratta degli schiavi – sono stati costretti alla fuga e molti sono stati incarcerati con l’accusa di aver commesso violazioni e abusi durante il conflitto.