L’infamia delle élite palestinesi: separazione imminente entro Fatah?

abbas_dahlan_forumPalestine Chronicle. Di Ramzy Baroud. Fatah è coinvolta in una grande disputa che ne determinerà il futuro. Sebbene il conflitto tra l’attuale presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas e l’ex uomo forte di Gaza, Mohammed Dahlan, non sia per nulla motivato dal porre fine all’occupazione israeliana, le loro dispute saranno probabilmente determinanti per il futuro panorama politico palestinese.
La questione non va presa alla leggera, né può essere fatta passare come un conflitto interno a Fatah.

Fatah è una delle due maggiori fazioni palestinesi, la più grande entro l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e ha spinto con le proprie forze i palestinesi nell’abisso dei «processi di pace» e della grande scommessa degli Accordi di Oslo, che è costata molto e non ha dato benefici.
Inoltre Fatah incarna le élite del comando della Palestina. E’ vero che il mandato di Abbas è scaduto nel 2009 e che Dahlan ha accumulato grandi ricchezze da quando è scappato dalla Cisgiordania nel 2011 (iniziando una faida pubblica con Abbas), ma, purtroppo, entrambi detengono ancora autorità e influenza sostanziali. Abbas dirige l’Autorità palestinese a Ramallah col pugno di ferro e con il pieno appoggio e il consenso di Israele e degli Stati Uniti, mentre Dahlan viene energicamente istruito da vari governi del Medio Oriente, e probabilmente da poteri israeliani e statunitensi, come probabile successore del leader in età avanzata di Ramallah.

Essi sono entrambi indifferenti alla dura realtà vissuta dal loro popolo nel quotidiano.
Una piccola rivolta, nota come «Intifada dei coltelli», o come «Intifada di Gerusalemme», è sul punto di cedere, mentre nessun leader palestinese dimostra almeno di provare a incanalare le energie palestinesi in una rivolta popolare sostenibile e a lungo termine. Al contrario, Abbas ha fatto il possibile per ignorare le richieste del popolo palestinese, che chiede aiuto e una leadership coraggiosa.
Abbas continua invece a considerare «sacro» il «coordinamento per la sicurezza» con Israele, continuando a schiacciare la resistenza palestinese e l’opposizione interna a Fatah e coloro i quali la appoggiano.
Egli deve ancora indicare un successore, nonostante abbia 81 anni e soffra di malattie cardiache.

Ciò rappresenta un’opportunità per Dahlan, accusato di coinvolgimento in varie questioni arabe poco chiare. Egli soffre nel dover lasciare la sua villa a Abu Dhabi. Il giornalista Peter Baker, in una recente intervista a Dahlan apparsa sul New York Times, così ha descritto parte delle sue ricchezze: «La sua ampia abitazione qui a Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, comprende soffici divani, soffitti a volta e candelabri. La piscina a sfioro sul retro si fonde con lo specchio d’acqua marina».

L’accumulo di ricchezze di Dahlan risale ai suoi anni a Gaza, quando si trovava a capo del noto Servizio di sicurezza preventiva, organizzato e addestrato, secondo diversi rapporti dei media, con l’aiuto degli Stati Uniti – dalla Cia in particolare -. Le tecniche di tortura del Servizio furono più volte criticate dai gruppi per i diritti umani internazionali.
Dahlan non si pente, né si scusa per le sue inesplicabili ricchezze o per le repressioni subite da Gaza, terminate quando Hamas lo ha deposto nel 2007, con una breve guerra civile.
«Due cose che non nego» egli ha dichiarato al NYT, «sono la mia ricchezza e la mia forza. Non le negherò mai, ma io lavoro sodo per migliorare il mio livello di vita».
Se gli si ricorda la percezione che molti ebbero del suo governo brutale a Gaza, egli si limita a rispondere: «[al tempo] non ero a capo della Croce Rossa».

Un rapporto di Human Rights Watch espose l’entità del giro di vite iniziato subito dopo l’insediamento dell’Autorità palestinese in Cisgiordania nel 1994. Per esempio, «durante i primi 8 mesi del 1996 almeno 2000 palestinesi vennero arrestati» dalla polizia dell’ANP. La cifra raggiunge quasi quella degli arresti operati dall’esercito israeliano. «Gli arresti erano arbitrari», secondo Hrw, e nessun tribunale o processo rientrava nella procedura che, quasi sempre, comprendeva la tortura.
I legami tra Abbas e Dahlan su tale comportamento sono tristemente noti, e il loro attuale conflitto verte soprattutto su questioni di potere personale tra loro e i loro seguaci.

Abbas, che sta lentamente perdendo i tradizionali alleati arabi che un tempo lo appoggiavano contro Hamas, e che si trova declassato da Israele – che sta cercando di organizzare la leadership palestinese post-Abbas -, sta cercando nuove alleanze. Egli è stato recentemente in visita in Turchia e in Qatar. In Qatar si è incontrato con i più alti leader di Hamas, Khaled Meshaal e Ismael Haniyeh.
Hamas non è corteggiato da Abbas per porre fine allo sconcertante feudo palestinese che si protrae da tanti anni, bensì per controbilanciare mosse precedenti di Dahlan compiacenti con Hamas.
Dahlan è coinvolto in diversi «progetti di beneficenza», compreso il finanziamento di matrimoni di massa in una Gaza ridotta al lastrico. Ma ciò che Hamas cerca non è il denaro di Dahlan, piuttosto è la speranza che egli si accordi con l’Egitto per facilitare i movimenti al valico Rafah-Egitto.
Con una crescente influenza e con un accresciuto numero di benefattori, la risurrezione di Dahlan è assicurata, ma rimane incerta la possibilità di imporlo in una fazione di Fatah sotto attacco in Cisgiordania.

Per impedire a Dahlan di riguadagnare il proprio status entro Fatah, le forze dell’ANP di Abbas nella Cisgiordania occupata hanno arrestato i suoi sostenitori. Gli ultimi uomini armati stanno reagendo, e si registrano scontri in diverse zone della Cisgiordania.
Inoltre Abbas ha indetto la settima conferenza di Fatah per la fine di questo mese, durante la quale la fazione di Abbas entro Fatah probabilmente riorganizzerà i diversi comitati con lo scopo di assicurare l’indebolimento dei simpatizzanti di Dahlan, o la loro rimozione permanente.
Considerando la forte base di aiuti su cui Dahlan può contare e la sua abilità di guadagnare seguaci utilizzando le sue ricchezze e gli alleati regionali, una mossa contro i suoi seguaci può essere controproducente, portando a divisioni nel partito, o, peggio, a un conflitto armato. Nonostante l’intenzionale silenzio di Israele, si hanno notizie che il ministro della difesa israeliano, Avigdor Lieberman – ripetutamente collegato a Dahlan in passato – sia pronto ad assicurare il ritorno di Dahlan alla guida di Fatah.

Tragicamente la lotta di potere coinvolge di rado il popolo palestinese, che resta da solo ad affrontare la macchina militare israeliana, gli insediamenti ebraici illegali in aumento e l’assedio soffocante, in una continua assenza di leadership mai vista prima.
Questa è una delle durature eredità degli Accordi di Oslo, che divide i palestinesi in classi: una classe potente, finanziata da «Paesi donatori» e avvezza a servire gli interessi di Stati Uniti, Israele e potenze regionali, e la stragrande maggioranza del popolo, che a mala pena sopravvive di elemosine e che oppone una resistenza sempre più precaria.
Questa strana contraddizione è diventata la realtà vergognosa della Palestina, e, indipendentemente dagli esiti della lotta di potere tra Abbas e Dahlan, la maggior parte dei palestinesi si ritroverà ad affrontare il duplice nemico di sempre: l’occupazione militare da un lato e il consenso e la corruzione delle loro leadership, dall’altro.

Il dott. Ramzy Baroud si occupa di Medio Oriente da oltre 20 anni. Egli è un editorialista internazionale, un consulente di media, autore di diversi libri e fondatore di PalestineChronicle.com. Tra i suoi libri: «Searching Jenin», «The Second Palestinian Intifada» e il più recente «My Father Was a Freedom Fighter: Gaza’s Untold Story». Il suo sito web è www.ramzybaroud.net