L’Iran, un Paese su cui scommettere

1513300_689961737710309_409220141_nThe Brics Post.

“Iran in ascesa nel 2014, ma i pericoli abbondano”. Cosa può cambiare, in un anno, in Medio Oriente.

Soltanto 12 mesi fa l’Iran stava affrontando prospettive scoraggianti: gravose sanzioni economiche e finanziarie dell’Occidente, la potenziale caduta dell’alleato arabo chiave, la Siria, e la ripresa della retorica anti sciita e anti iraniana incitata dai vicini del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc), volta a indebolire l’influenza dell’Iran nella regione.Ma all’inizio del 2014 la prospettiva è decisamente cambiata.

Un accordo storico, a Ginevra, tra il gruppo 5+1 e la Repubblica islamica, ha riconosciuto le aspirazioni al nucleare dell’Iran, ha ritirato alcune sanzioni e ne ha rimpinguato le casse. Il consenso internazionale si sta raccogliendo attorno all’alleato siriano, contro l’avversario saudita, puntando l’ago della bilancia a favore di Teheran.

Inoltre, la Repubblica islamica è ampiamente considerata, ora, come possibile pacificatore nei conflitti che si estendono dal Libano all’Iraq, alla Siria, all’Afghanistan, allo Yemen e oltre, collocando l’Iran al tavolo con le potenze globali che improvvisamente si ritrovano ad aver bisogno della sua influenza regionale.

Diminuite l’influenza e la dedizione verso Stati Uniti, il Medio Oriente ha tolto i vincoli all’Iran, che sembra entusiasta di assumere un ruolo regionale di maggior lustro. L’Iran si è guadagnato l’appoggio fondamentale di Cina e Russia, membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, desiderosi di porre fine all’era della tetra egemonia americana in Medio Oriente. Entrambi gli Stati sono impegnati nella spinta di un nuovo calendario politico ed economico, basato sul multilateralismo, e, con l’Iran e l’Iraq visti come futuro fulcro energetico del Golfo Persico, sia Mosca che, soprattutto, Pechino, sono ben attenti a proteggere questi interessi.

Mentre il 2014 già si profila molto più luminoso, per l’Iran, ci sono tuttavia dei pericoli significativi che non renderanno facili le cose.

La minaccia salafita

Per cominciare, l’Iran sciita – e i suoi alleati regionali di diverse appartenenze settarie – è un obiettivo importante per i militanti salafiti e per gli aspiranti ad al-Qa’ida il tutto il levante e nel Golfo. Si sono aperti corridoi di violenza politica dal Libano all’Iraq, che minacciano di destabilizzare l’intera regione se non si verificherà uno sforzo globale per il ripristino dell’estremismo sunnita. L’Iran si trova in prima linea, nella regione, nell’affrontare questo problema, ponendosi in diretto contrasto con il suo nemico storico, l’Arabia Saudita.

Questa battaglia è considerata fondamentale per l’ormai sfacciatamente settaria Riyadh, che sta investendo molto, in denaro e in influenza, per contrastare l’ascesa dell’Iran, per rovesciare il governo siriano, per destabilizzare l’Iraq e per distruggere la resistenza libanese alleata dell’Iran, Hezbollah.

Stranamente, l’Iran e i suoi alleati otterranno il sostegno dei loro avversari occidentali, in questa battaglia. La minaccia salafita è cresciuta troppo, il suo potenziale destabilizzante è troppo evidente, e la minaccia del jihadismo di diffondersi in Occidente è troppo probabile. Pertanto, si sta sviluppando una narrativa occidentale contro l’Arabia Saudita e contro la sua sponsorizzazione del radicalismo e della militanza.

L’Iran e i suoi alleati condurranno la battaglia dall’interno della regione, con l’aiuto dell’intelligence degli alleati occidentali: si tratta di alleanze difficili, con interessi divergenti… non sarà una passeggiata.

Gli iraniani, però, sono dei professionisti esperti nell’arte della diplomazia, ed hanno sempre preferito il percorso soffice all’alternativa militare: possiamo pertanto contare su alcune vittorie al tavolo dei negoziati, piuttosto che sul campo di battaglia. Recentemente, quando i Sauditi hanno spinto i loro partner del Gcc alla formazione di un’unione per rafforzare la loro presenza nel Golfo Persico, è stata l’energica diplomazia iraniana a mandare a monte l’iniziativa.

L’Oman, silenziosamente corteggiato dall’Iran, si è rifiutato di aderire, e gli Emirati Arabi lo hanno seguito. Possiamo chiamarla una strategia del divide et impera, ma quando il team negoziale iraniano si è recato a Ginevra, lo scorso novembre, per risolvere i dettagli dell’accordo sul nucleare, il ministro degli Esteri Mohammed Javad Zafir ha firmato un insolito editoriale sul principale quotidiano saudita, lo Sharq al-Awsat, intitolato “I nostri vicini sono la nostra priorità”. Questa notevole testimonianza ha cercato di placare le preoccupazioni dei vicini arabi, secondo i quali l’imminente accordo sul nucleare sarebbe stato conseguito “a loro spese” – e ha esortato i Paesi del Golfo contro l’adozione di una “mentalità a somma zero” su questa storica riconciliazione. Ne è derivata una diplomazia simile da parte di numerosi Stati del Golfo Persico, ed è stata senza dubbio cruciale per calmare le preoccupazioni sulle “intenzioni” iraniane nella regione.

Più importante ancora, nel corso di queste visite Teheran è riuscita a dissuadere molti Stati del Gcc a seguire il polemico comando saudita.

Le insidie dell’accordo sul nucleare Placatasi l’euforia per lo storico accordo di Ginevra, i mille ostacoli che potrebbero far deragliare un accordo finale sono diventati palesi.

Primo, ci sono potenziali sabotatori ovunque: il Congresso Usa, Israele, l’Arabia Saudita, gli scettici iraniani, anche la Francia: gli interessi a far naufragare l’accordo abbondano.

Secondo, qualsiasi evento in Medio Oriente potrebbe far cambiare i calcoli espressi dalle varie parti al tavolo dei negoziati.

Terzo, ci saranno numerosi ostacoli lungo il percorso verso un accordo finale, se l’interesse delle varie parti oscillerà secondo considerazioni di politica interna o estera.

Quarto, la diffidenza tra le parti è alta, e può ostacolare i progressi a tempo indeterminato. Ma le previsioni non sono del tutto negative, in particolare, non per l’Iran. La Repubblica Islamica ha già essenzialmente ottenuto il riconoscimento di poter arricchire l’uranio fino al 3,5%, che è ciò che ha sempre voluto. In Iran non è un segreto che la costruzione di nuove centrali nucleari, aumentando il numero di centrifughe potendo arrivare a livelli di arricchimento del 20%, sono stati strumenti negoziali molto utili al raggiungimento di questo risultato.

E il genio non può essere fatto rientrare nella bottiglia.

Altrettanto importante per gli iraniani è il perché si è raggiunto l’accordo. Un anno fa non c’era nessun interesse reale da parte delle P3 (Usa, Gb e Francia, ndt) a risolvere la questione del nucleare iraniano: interessava solo schiaffare ulteriori sanzioni unilaterali, per influenzare un “cambiamento di comportamento” nella Repubblica Islamica.

Durante lo scorso anno i russi, i cinesi e i loro partner del Brics hanno posto dei limiti a ulteriori sanzioni punitive contro l’Iran, vanificando i tentati inasprimenti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia.

Ma il motivo per cui le P3 si sono presentate a Ginevra finalmente pronte a trattare con l’Iran aveva poco a che vedere con nucleare e centrifughe. L’accordo sul nucleare è stato raggiunto perché l’Occidente aveva perso il controllo della sua agenda sul medio Oriente – e l’Iran sempre più appariva come l’unico Stato della regione che potesse offrire delle soluzioni.

L’Iran, potenza regionale

Il Medio Oriente sembra sfaldarsi. Le operazioni di cambio regime dirette dall’estero in Siria e in Libia hanno generato una rinascita jihadista, con combattenti ideologici armati che attraversano impunemente i confini per strappare l’integrità territoriale e la sovranità degli Stati.

Gli Usa non possono contare sui loro vecchi alleati nella regione: l’Egitto è in subbuglio e i sauditi, i qatarioti e i turchi, con i loro diversi alleati islamici, le loro agende nascoste e l’aiuto ai militanti, non sono più affidabili. Israele è emarginato, e non può permettersi una parte in nessun teatro arabo per timore di ripercussioni.

Washington ha bisogno di un nuovo partner regionale – sia pure un nemico – che condivida il mutuo obiettivo di ridurre l’estremismo e di riottenere la stabilità nei settori chiave del Levante e del Golfo Persico. Quindi, no, Ginevra non c’è stata perché è entrato in scena un presidente iraniano “moderato”, anche se egli ha indubbiamente contribuito a facilitare la vendita dei fatti al pubblico occidentale.

Ginevra c’è stata per la minaccia salafita-jihadista, e per la posizione unica che l’Iran ha nella soluzione del problema. C’è sempre il pericolo, nel corso del nuovo anno, che con il diminuire della militanza sul territorio le P3 cerchino di affossare le conquiste dell’Iran per livellare nuovamente il campo.

È una vecchia tattica, tenere gli avversari sotto controllo e farli rientrare in gioco a intervalli regolari. Raggiungerà i suoi obiettivi, questo accordo sul nucleare, fino al raggiungimento di un accordo globale? È improbabile, a questo punto. Ci sono ancora troppi interessi divergenti tra le P3 e l’Iran.

Washington è poco motivata a rimuovere tutte le sanzioni e a permettere all’Iran di lanciare un proprio programma nucleare e proprie politiche indipendenti. Ciò significherebbe dover spendere un capitale politico interno vitale in un momento in cui la politica estera ha poca importanza per gli americani, più preoccupati dal lavoro, dalla sanità e dall’economia. Ma potrebbero, a intermittenza, porre nuove sanzioni, che gli attuali e i potenziali partner commerciali dell’Iran avrebbero bisogno di bypassare.

Il regime delle sanzioni non terrà, una volta che la diga sarà danneggiata. Nemmeno collettivamente gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno più l’influenza di un tempo, che gli permetteva di dettare i propri termini; l’economia globale cambia velocemente e ogni centesimo conta. Gli Usa ci hanno messo tre decenni per costruire la narrativa dei “mullah pazzi” e delle “pericolose armi atomiche iraniane” – sarà difficile ribaltare la trama e togliere tutte le sanzioni punitive contro l’Iran in un solo, corto anno, illuminato dall’accordo di Ginevra.

Come capire che un accordo finale è all’orizzonte? Cercate chiari e drastici cambiamenti nella narrativa a favore della Repubblica Islamica. È più probabile che gli accordi ottenuti durante e dopo Ginevra continueranno ad aumentare in modo indefinito, con eventuali correzioni e aggiunte poco importanti che accontentino i diversi partner. Solo un grande modificatore dei giochi porterà a un accordo finale.

L’Occidente cercherà di contenere l’influenza dell’Iran diversamente che in passato, ma oggi l’Iran dispone di strumenti importanti per controbattere alle P3 in aree importanti – nel Golfo Persico, in Afghanistan, in Iraq, in Siria, nello Yemen, un Bahrein e in Libano – e utilizzerà le sue carte ogniqualvolta l’Occidente tenterà di rendergli la vita difficile.

In questo senso, le due parti sono ben bilanciate, con l’Iran in leggero vantaggio nel cortile di casa e con un po’ di sostegno in più da parte delle potenze emergenti. In questo momento si stanno compiendo timidi passi avanti, dietro le quinte, in aree in cui gli obiettivi del’Iran e delle P3 convergono. L’”accordo” di Ginevra è stato solo un piano d’azione comune, e un accordo reale non è ancora in gioco. Entrambe le parti confermano che gli incontri bi e multilaterali che si stanno tenendo servono ad aggiustare dettagli e meccanismi-chiave, e tutte le parti hanno intenzione di finalizzare il piano di attuazione in tempi brevi.

Le lancette cominciano a muoversi.

Questo è un grande anno per l’Iran. La Repubblica Islamica ha già ottenuto in molti modi diversi obiettivi di lunga data: il riconoscimento della sua posizione come potenza regionale e la sua indipendenza politica, e il riconoscimento del suo diritto inalienabile a un programma nucleare pacifico.

L’Iran inizia questo 2014 giocando un ruolo regionale e internazionale molto più ampio, ma affronta la più grande minaccia alla sua sicurezza nazionale dai tempi della sua guerra contro l’Iraq. Vale la pena ricordare una cosa, quest’anno: l’Iran gioca il “gioco lungo”, dove altri sono impazienti di ottenere risultati e ricompense veloci.

Più di trent’anni dopo essere stata accantonata dal mondo della politica internazionale, la Repubblica Islamica è tornata in campo con buone prospettive.

Questo è un Paese su cui scommettere.

Traduzione di Stefano Di Felice