Lo scandalo dell’assedio a Gaza.

Lo scandalo dell’assedio di Gaza

VENERDÌ 27 OTTOBRE 2006

 

Patrick Seale            International Herald Tribune

 

 

 

Negli ultimi 6 anni, Israele ha ucciso 2.300 abitanti di Gaza; fra questi sono compresi i 300 ammazzati nei quattro mesi da quando, il 25 giugno, un soldato israeliano, il caporale Gilad Shalit, è stato catturato da combattenti palestinesi in un’incursione transfrontaliera. I feriti si possono contare in decine di migliaia. La maggior parte delle vittime sono civili; molti sono bambini.

 

Le uccisioni proseguono quotidianamente – con il fuoco del cecchino e del carro armato,  con le bombe dal cielo e dal mare, con le squadre segrete in abiti civili mandate in territorio arabo a compiere agguati ed omicidi – operazioni nelle quali gli israeliani si sono perfezionati per diversi decenni.

 

Per quanto tempo la “comunità internazionale„ permetterà che continui il macello? La repressione crudele nei territori occupati, ed in particolare a Gaza, è oggi una fra quelle che desta più scandalo al mondo. È la macchia più nera nei registri di Israele, la cui aspirazione ad essere uno stato democratico non è propriamente lineare.

 

È urgentemente necessaria una qualche forma di intervento: forse una forza internazionale sul confine tra Israele e Gaza, per proteggere le parti una dall’altra, per consentire all’economia di Gaza,  di cui restano pochi sprazzi, un poco di respiro, per portare soccorso in una catastrofe umanitaria.

 

Il Primo Ministro britannico Tony Blair – che, almeno a parole, sostiene fedelmente la soluzione dei due stati – deve sentirsi un po’ in colpa, per non essere riuscito a persuadere il presidente George W. Bush a promuovere la causa dell’autodeterminazione palestinese. Unendosi a lui nell’invadere l’Irak, aveva forse immaginato di poter persuadere il presidente a portare avanti il processo di pace israelo-palestinese. Non aveva fatto i conti con i neocon pro-israeliani a Washington e con la loro influenza sulla sua politica medio-orientale.

 

Lungi dall’imbrigliare i falchi israeliani, i coloni messianici, gli uccisori di arabi e gli espansionisti, Bush ha dato e continua a dar loro mano libera.

 

Questo può spiegare perché Blair, parlando un mese fa all’ultimo congresso del partito laburista, ha annunciato che, nel tempo che gli resta come Primo Ministro, avrebbe dato priorità al risolvere il conflitto israeliano-palestinese. Purtroppo a queste parole coraggiose non è seguito alcun atto, se non quello di proporre che la Gran Bretagna aiuti i palestinesi a costituire le proprie istituzioni.

 

Istituzioni? In che mondo di fantasia vive Blair? Un milione e mezzo di palestinesi, di cui due terzi sotto la linea di povertà, il 45 per cento disoccupati, rinchiusi in una stretta striscia di 360 chilometri quadrati, sono sotto assedio, alla fame, tagliati fuori dal mondo, cannoneggiati quotidianamente: e Blair parla di costituire istituzioni palestinesi! E cominciare a por fine alle uccisioni? La parola della Gran Bretagna non conta alcunché?

 

Ho perlustrato i siti web del governo britannico, trovando commoventi discorsi e dichiarazioni del Ministro degli Esteri, Margaret Beckett, e di altri funzionari, a proposito dell’Iraq, dell’Africa, dell’Afghanistan, del cambiamento di clima e così via: non una parola, però, sulla continua e criminale oppressione di Gaza.

 

È stato lasciato a Jan Egeland, il coordinatore delle attività umanitarie delle Nazioni Unite, il compito di descrivere Gaza come una “bomba a orologeria„ e di mettere in guardia dal rischio di una rivolta incontrollabile. Per por termine al vergognoso boicottaggio del governo Hamas democraticamente eletto, corrono voci che Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese, possa nominare a capo di un governo di tecnocrati indipendenti Munib al-Masri, un ricco uomo d’affari di Nablus. Per ora, tuttavia, Hamas non ha acconsentito a farsi da parte.

 

La capacità di Gaza di resistere è leggendaria, ma persino i più coraggiosi vacillano, se non possono più dar da mangiare ai figli e se hanno la casa ridotta in macerie.

 

La situazione è tanto più urgente perché, in base a rapporti da Israele, si sta programmando qualcosa di più grosso, di ancora più letale. Si dice che, riemersi da poco dal massacro indiscriminato compiuto quest’estate in Libano – senza dubbio impazienti di cancellare la memoria del fiasco – il primo ministro Ehud Olmert, il ministro della difesa Amir Peretz ed il capo di stato maggiore, il generale Dan Halutz, stiano per lanciare un’offensiva militare contro Gaza, su scala molto maggiore di quella dei bombardamenti e delle incursioni blindate degli ultimi mesi.

 

Come scopo dichiarato hanno quello di metter fine, una volta per tutte, ai Qassam fatti in casa, che i palestinesi riescono ancora di tanto in tanto a lanciare, come sfida, nel Negev israeliano. Questi razzi sono armi che irritano molto, ma che sono in gran parte inefficaci. Negli ultimi sei anni, dai Qassam sono stati uccisi cinque israeliani.

 

Un altro scopo israeliano, più ampio, è quello di distruggere Hamas e di estirpare tutta l’opposizione palestinese armata nella striscia di Gaza. Il generale Halutz ha rilasciato numerose dichiarazioni sensazionali, secondo cui Hamas ed altri gruppi palestinesi hanno contrabbandato dall’Egitto a Gaza armi per milioni di dollari – comprese armi anticarro ed antiaeree, come pure tonnellate di esplosivi -, costruendo un’intera città sotterranea per immagazzinare detto arsenale. Non si può permettere a Gaza, sostiene, di trasformarsi in un altro Libano.

 

Israele ha già parzialmente rioccupato il cosiddetto corridoio Filadelfia, sul confine fra Gaza e l’Egitto, tentando di por fine allo scavo di tunnel ed al contrabbando transfrontaliero.

 

In Cisgiordania, la situazione è meno violenta, ma, a suo modo, altrettanto disperata. Secondo i funzionari dell’ONU sul posto, il territorio è stato spezzettato da non meno di 528 posti di blocco  militari israeliani (un aumento del 40 per cento, da agosto), che limitano gravemente la libertà dei palestinesi di spostarsi.

 

Non solo il territorio è stato affettato in tre regioni, ma anche all’interno di ciascuna zona le comunità sono isolate l’una dall’altra, ciò che rende ai palestinesi molto difficile raggiungere i propri campi o accedere ai servizi di base, come ambulatori e scuole. Mentre l’economia ristagna e la popolazione soffre, il muro di separazione israeliano continua ad ingoiare terra palestinese; intanto, decine di colonie illegali godono di un boom edilizio.

 

A disturbare ancora di più del silenzio di Londra di fronte a questi sviluppi, e della collusione di Washington, è l’entrata nel governo israeliano, come vice primo ministro, di Avigdor Lieberman.

 

Nato in Moldavia, Lieberman, un robusto quarantottenne, è arrivato in Israele all’età di 20 anni. È il leader del partito di estrema destra Israel Beitenu (“Israele casa nostra„), composto principalmente da immigranti russi.

 

È conosciuto soprattutto per aver raccomandato di inondare l’Egitto, bombardando la diga di Assuan; è un ardente sostenitore dei coloni, opponendosi a qualsiasi ritiro dal territorio palestinese. La sua soluzione è il “transfer„ degli arabi fuori da Israele, in modo da creare un paese etnicamente puro. Ha propugnato la morte di qualunque parlamentare arabo che osi incontrare appartenenti a Hezbollah o a Hamas. In qualunque Paese veramente democratico sarebbe denunciato ed isolato, come fascista pericoloso.

 

Al contrario, si darà a Lieberman il compito di formulare la politica israeliana concernente le “minacce strategiche„ che il paese ha di fronte – espressione in codice che indica le attività nucleari dell’Iran. Come ha commentato Haaretz, il quotidiano israeliano di centro sinistra: “La scelta dell’uomo più privo di controllo e più irresponsabile per questo lavoro costituisce di per se stessa una minaccia strategica.„

 

Il fatto che Lieberman abbia accesso ai segreti atomici di Israele – fungendo in effetti da una sorta di super-ministro della difesa – deve causare notevole preoccupazione, visto che i leader ed i commentatori israeliani hanno ripetutamente accennato che, se gli Stati Uniti mancano di colpire l’Iran, Israele potrebbe ritenersi obbligata a far da sé. Con l’ingresso di Lieberman nel governo, lo scontro fra Israele e l’Iran, uno dei più pericolosi in una regione facile ad esplodere, si avvicinerà un altro po’.

 

Il leader del partito laburista, Amir Peretz – già un’enorme delusione per la sinistra, per la bellicosità delle sue politiche in Libano e Gaza – sembra abbastanza contento di stare allo stesso tavolo governativo di un famigerato razzista.

 

Mentre l’attenzione del mondo si concentra sul dispiegarsi del disastro in Irak, sulla rinascita dei talebani in Afghanistan e sul come moderare le ambizioni nucleari dell’Iran – tre problemi per i quali non è stata ancora proposta una soluzione credibile – i palestinesi continuano ad essere dissanguati, a morire di fame ed a patire umiliazioni e difficoltà inimmaginabili, sotto lo spietato dominio di Israele.

 

 

(traduzione: Giorgio Canarutto)

 

 

 

 

 

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