L’omicidio di Qassem Soleimani e la strategia imperialista USA

Di L.P. Il 3 gennaio 2020 gli Stati Uniti hanno ucciso Qassem Soleimani, comandante iraniano simbolo della guerra al terrorismo islamico. È stato ucciso con un drone con tanto di tweet entusiasti di Trump e Pompeo, come se fosse un “trofeo”, parola molto utilizzata nello scenario politico attuale.    Il “sogno americano” si dimostra, per l’ennesima volta, una grande bufala dal momento che, quello che gli USA dicono di aver ideato, Aristotele l’aveva pensato prima di loro e anche in modo molto più approfondito. Il “sogno americano” è una grande illusione perché prevede che le loro libertà, la loro economia siano fondate sulla distruzione della libertà e dell’economia altrui.        Solo loro potevano essere così paradossali da definirsi “esportatori di democrazia” con la guerra, la stessa guerra che gli permette ogni volta di rilanciare il loro PIL.

Chissà, forse la propaganda mediatica che gli USA avevano imbastito contro l’Iran in questo periodo serviva per creare per l’ennesima volta il nemico necessario? Pompeo, non si sa con quale cognizione di causa e con quale logica abbia affermato che l’omicidio è avvenuto perché gli “Gli Usa devono difendersi”. La domanda è da chi? Da colui che ha sconfitto l’ISIS?

Il 5 gennaio infatti sull’editoriale de Il Manifesto si legge che “l’eliminazione del capo dei guardiani della Rivoluzione non risponde a una “logica”, ed è per questo particolarmente efferata, irresponsabile e carica di conseguenze”. E inoltre sottolinea: “Con l’assassinio di Soleimani, si rompe quello che era comunque un equilibrio di reciproca deterrenza tra Washington e Teheran”.                  Certamente non si possono prevedere le conseguenze di questa azione, ma sta di fatto che non si può dire che l’atto di terrorismo non risponda ad una logica.

L’assassinio di Soleimani sa tanto di “vendetta yankee” per la guerra che il generale aveva condotto contro Daesh, contro Al-Qaeda, contro i Talebani in Afghanistan, insomma contro tutte le organizzazioni che hanno ricevuto l’appoggio, diretto o indiretto, dagli USA nei decenni e che sono state sconfitte.

La cosa strana è come, anche voci che dovrebbero essere “alternative” come Il Manifesto, abbiano sviato l’omicidio senza dargli una rilevanza geopolitica. Infatti, nel bel mezzo di un affronto all’Iran da parte degli USA, il 5 gennaio leggeva: “L’Iraq ostaggio di Iran e USA”. Sia ben chiaro, siamo d’accordo sul fatto che l’Iraq sia uno stato vittima degli USA, dal momento che è assediato da basi militari americane, ma gli avamposti Usa e le basi NATO in Iraq circondano l’Iran, mentre nessuna base iraniana minaccia gli Usa.

Si sente dire che bisogna stare attenti a parlare perché “non dobbiamo dimenticare le centinaia di persone che sono morte in Iran in queste ultime settimane di protesta contro un regime teocratico ed autoritario”; che “l’Iran resta un paese dominato da una dittatura teocratica fatta di pasdaran, clero sciita e generali complici di un sistema che reprime il genere femminile”; che “ci sono vari imperialismi e che noi abbiamo la brutta abitudine di schierarci solo da una parte”.

Sostanzialmente, da queste opinioni, ne esce la descrizione di uno “Stato canaglia”, uno Stato che reprime le donne, uno stato privo di laicità, uno Stato a cui non serve dare la propria solidarietà.        Uno Stato che sostanzialmente si è sbarazzato di uno dei tanti “carnefici”, ovvero Soleimani.                Così, senza che nessuno se ne accorga, anche coloro che si definiscono “antimperialisti” fanno propria la tipica narrazione retorica di chi, con intenti imperialistici vuole fare una guerra ad un altro Stato per motivi economici. Paradossalmente anche coloro che lottano per un po’ di giustizia su questa Terra, si ritrovano a parlare come coloro che la giustizia non la vogliono.

Dobbiamo prendere consapevolezza che la politica interna e la politica estera sono due questioni completamente diverse: la politica interna riguarda i cittadini di un singolo Stato; la politica estera riguarda tutti i cittadini del mondo. Come direbbe Tiziano Terzani, non dovremmo avere il diritto di intrometterci nelle questioni interne riguardanti gli stati. Non è compito di un italiano giudicare la situazione politica interna in Iran, anzi spetta all’iraniano la lotta per le sue libertà e per i suoi diritti all’interno della sua nazione e non a nessun altro. E’ vero che ci sono disordini interni, ed è anche vero che in Iran negli anni sono stati aperti più di 300 centri accademici di geografia di genere, che il movimento per i diritti sociali e civili si è molto esteso ed il femminismo islamico ha iniziato a prendere piede, ma non è questo che ci deve interessare.  Noi, come esterni possiamo domandarci se sia lecito trovare un escamotage, come l’assassinio di Soleimani, per attaccare uno Stato e tutti i suoi cittadini attraverso bombardamenti “intelligenti” ed F35 solo perché è un paese ricco di risorse. Perché non analizziamo la grande violazione di diritti umani che si potrebbe causare verso tutti qualora iniziasse una guerra?

Giustificare il conflitto con uno stato affermando che è poco democratico rispecchia lo stesso metodo di chi per anni ci ha inculcato l’idea di “democrazia da asporto” fatto da violenza, armi, bombe, abusi, soldati, “missioni di pace” che terminavano con stupri di guerra su donne e bambine.

La stessa parola “imperialismo” non è un concetto fluido e non prende qualsiasi significato che gli vogliamo dare. Una persona lo definì “stadio monopolistico del capitalismo” perché è l’azione che si concretizza, in base a rapporti di forza geopolitici, da parte di una forte potenza economica nella rapina di risorse che non gli appartengono e, affinché se ne impossessi, è disposta a violare la sovranità di un popolo e la natura delle sue terre. La geopolitica è posta su un piano completamente diverso rispetto alla politica interna, poiché si basa sui rapporti di forza e politiche intenzionali funzionali ad una strategia. Quindi non si possono mettere sullo stesso piano la valenza geopolitica statunitense e quella iraniana, dal momento che hanno capacità economiche, militari e tecniche completamente diverse.

Trump ha fatto uccidere Soleimani per far saltare quell’equilibrio di cui l’Iran è fautore e che gli USA stessi hanno contrastato attraverso minacce militari e attacchi in quei paesi in cui l’Iran ha avuto la meglio.

Gli USA di Trump stanno andando verso la guerra con l’Iran con l’appoggio di Arabia Saudita e di Israele e noi ci permettiamo di sindacare, attraverso uno sguardo coloniale, cosa è giusto per loro?

Se ancora oggi, in ambienti che da sempre si definiscono antimperialisti, esiste questo tipo di linguaggio e di forma mentis vuol dire che la storia non ci ha insegnato nulla. El Salvador, Guatemala, Angola, Nicaragua, Balcani, Iraq, Sudan, Ruanda, Burkina Faso, Guerra del Golfo, Panama, Cile, Somalia, Afghanistan, Yemen, Libia, Siria e Ucraina non ci dicono più niente? Se dovessimo ragionare in questo modo allora la solidarietà alla Palestina non dovrebbe esistere dal momento che l’Autorità Palestinese ha messo al bando le associazioni LGBTQ+ come Al-Qaws; ma questo giustamente non lo pensiamo perché sappiamo benissimo che è una regione sotto assedio. Dove inizia e dove finisce la nostra intersezionalità nelle lotte?

Possono non piacerci le teocrazie, i regime degli ayatollah e i governi repressivi iraniani, ma non per questo non dobbiamo esprimere la solidarietà ad un paese che è evidentemente sotto una minaccia di guerra. Gli USA sono interessati all’Iran perché è il secondo paese al mondo per riserve di gas accertate; è il quarto paese al mondo per pubblicazioni sulle nanotecnologie; controlla lo Stretto di Hormuz in cui transita il 30% di tutto il petrolio via mare; a novembre ha scoperto un giacimento di petrolio da 53 miliardi di barili; con le continue tensione tra Iran e USA, il prezzo del petrolio è cresciuto fino a 70 dollari al barile.                                                                                                                        La bandiera USA che il presidente ha pubblicato su Twitter festeggiando le uccisioni, negli ultimi trent’anni ha sventolato su guerre e milioni di morti in tutto il pianeta, che sarà più sicuro e più libero solo quando l’imperialismo americano sarà superato. Oggi Trump ed il suo alleato Netanyahu sono le prime minacce di una guerra mondiale nucleare. Anche perché per essi il terrorismo e la guerra sono il modo di distogliere l’opinione pubblica dai loro guai nazionali. Bisogna dire basta all’alleanza con loro. Chi oggi difende la NATO, il terrorismo di stato di USA e di Israele, il riarmo, l’acquisizione di F35, il rifornimento di bombe atomiche nel proprio paese, è complice di Trump e corresponsabile dei rischi di una guerra mondiale e della strategia imperialista. La classe politica italiana nel suo insieme – governi e opposizioni – è tutta egualmente complice e colpevole delle guerre in atto e di quelle che ci minacciano.

L’omicidio di Soleimani, definito shahid (martire) dall’ayatollah Khamenei, è una lettera che gli USA hanno spedito al mondo per ricordarci che la guerra non è ancora finita.