L’onore beffato della Nazione.


L’onore beffato della Nazione

di Idan Landau *

Ynet (Yediot Aharonot), 3 gennaio 2007[4] 
 

[5] [6] www.ynet.co.il/articles/0,7340,L-3346566,00.html[7]  

Dietro l’imprigionamento di Tali Fahima si cela un’offesa terribile – non la giustizia, o il pensiero per il bene della popolazione. Tali Fahima è parsa frequentare il Demonio.

Tali Fahima è rimasta due anni, cinque mesi e 26 giorni in prigione; oggi è stata liberata. Di questi 877 giorni di una pena crudele ed umiliante, non uno è giustificato. Tali Fahima non è la prima prigioniera politica in Israele. Vanunu l’ha preceduta, come pure i capi del movimento islamico, cinque obiettori di coscienza ed altri. Tutti hanno passato mesi ed anni in prigione, non a motivo di un danno reale causato allo Stato di Israele ed alla sicurezza dei suoi abitanti, ma per aver sfidato – con una sfrontatezza sbalorditiva – la dottrina dominante, e per aver fatto quel che è peggio di tutto: aver teso al nemico una mano pacifica, senza ammiccamenti né furbizie. Ė imperdonabile: il “processo di pace” non tollera veri passi in avanti verso la pace.[8]  

Ma il caso Fahima si fa notare anche in rapporto agli altri casi. Nel luglio del 2005, all’atto di prolungarne la detenzione, che durava già da un anno, la giudice Deborah Berliner ha decretato: “La lealtà di Fahima non è rivolta allo Stato di Israele; Fahima costituisce quindi sempre un rischio”. Pure, la giustizia era con lei: la lealtà di Fahima verso i valori della vita e della giustizia vinceva sulla lealtà verso uno Stato che calpesta quei valori. Fahima rappresenta una speranza di pace, quindi un pericolo per lo Stato.
 
E tutto questo a proposito di che, e perché? Al termine di una campagna fomentata contro Tali Fahima, ed alla quale i media si sono uniti con una gioia indecente, la Sicurezza Generale non è riuscita a lanciare un’accusa più grave di questa: Fahima ha tradotto, dall’ebraico, per dei ricercati che, in ogni modo, conoscevano questa lingua, un documento militare confidenziale – e questo documento, non era stata lei a perderlo, e non era stata lei a trovarlo.
 

– Le è proibito parlare a Zubeidi o incontrarlo?[9] 
[10] 

– Questo mi è proibito. (T. Fahima al momento della sua liberazione)[11] 

Lungo tutto il percorso, la povertà palese delle accuse lanciate dallo Stato non ha cessato di rafforzare il sospetto che dietro la detenzione di Fahima si celassero considerazioni estranee, mutuate da tutto un altro mondo. Gli indizi sono molti: gli sporchi metodi di investigazione della Sicurezza generale (Shabak), le allusioni incessanti allo spirito ingarbugliato di una giovane ingenua e romantica, i maltrattamenti dei servizi carcerari, la totale libertà che si sono concessi dei funzionari nel parlare di Fahima.

[12] Le lamentele di Fahima per la mancanza di abiti caldi e di un vitto adeguato all’alimentazione umana hanno ottenuto il tipico disprezzo israeliano, miscela repellente di arroganza e di battute di spirito di ragazzetti che giocano agli adulti (“Queste parole permettono di comprendere che, fino all’arresto, era abituata a cibo da buongustai”, aveva risposto allora un responsabile dei servizi penitenziari). Ad un certo momento è diventato uno sport nazionale battere su Tali Fahima e tirare un grosso peto nei media. Tutti partecipavano alla festa: la Sicurezza generale, la Giustizia, i servizi penitenziari, i media, i programmi di divertimenti, e sicuramente i navigatori su internet.

Dietro tutto questo si celava un’offesa terribile. Non la giustizia, né un pensiero per il bene della popolazione – un’offesa irritante, cocente. Tal Fahima è parsa frequentare il Demonio, e la famiglia non perdona. Per delle figlie di re come lei, l’onore è all’interno. Con la collera di un Patriarca ferito e tradito, lo Stato di Israele ha reclamato vendetta. Tali Fahima è stata tenuta in detenzione sullo sfondo della beffa all’onore nazionale.

Tutto giocava contro di lei. È mizrachi, è donna, parla molto e si è fatta beffe dell’opinione generale. È uno straccio rosso davanti ai nostri occhi, annegati nel sangue. Allora l’abbiamo gettata in prigione e abbiamo tentato di farle rendere l’anima fino a che non si pentisse dei suoi atti (ma non si è pentita), fino a che non parlasse come si deve (ma ha continuato a rispondere in modo sfacciato), fino a che non fosse sfinita e confessasse, con lacrime amare, che non vi è occupazione, né palestinesi dal viso umano, che l’esercito di Israele è l’esercito più morale al mondo e che è vietato, vietato, vietato recarsi a Jenin.

Fahima è stata liberata dalla prigione, Israele è uscita da Jenin, Zakaria Zubeidi circola liberamente. Negli 877 giorni in cui il pericolo per la sicurezza Fahima è stato messo sotto chiave non si è percepito un miglioramento significativo della sicurezza dei cittadini israeliani. Lo Stato, dal canto suo, continua a punire pesantemente tutti coloro che tentano di stabilire relazioni umane attraverso la Linea Verde. La legge di cittadinanza e di ingresso in Israele è un esempio. Il divieto di avere passeggeri palestinesi a bordo di veicoli israeliani ne è un altro. A piccole dosi, si instilla il messaggio – non si può essere in contatto con coloro che si trovano dall’altro lato del muro di separazione, perché sono impuri.

La cosa più grave è l’intollerabile facilità con cui tutto un Paese, vecchi, donne e bambini, è stato aizzato contro una piccola donna di cui la colpevolezza non è mai stata dimostrata. I dirigenti hanno schiacciato i bottoni giusti ed il branco si è messo a galoppare in avanti, vale a dire indietro, vale a dire a destra tutta, fino a precipitare in un abisso inespiabile di ingiustizia. 
 

* Idan Landau è professore (di linguistica) all’Università Ben Gurion, nel Negev
 

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