L'ultima carta di Abu Mazen. Dal Manifesto.

Da www.ilmanifesto.it del 26 maggio.

Palestina, il presidente propone un voto sui confini che può segnare la sua fine.
L’ultima carta di Abu Mazen
Michelangelo Cocco
Abu Mazen mette alle corde Hamas, o almeno ci prova: se il governo islamista di Ramallah non accetterà entro dieci giorni la piattaforma, avanzata dai prigionieri palestinesi, che prevede anche un implicito riconoscimento d’Israele, il presidente convocherà un referendum e si rivolgerà direttamente al popolo chiedendogli di pronunciarsi su quel documento. La mossa del successore di Yasser Arafat è arrivata ieri durante la prima delle due giornate di «dialogo nazionale», indette per cercare di fermare l’escalation di violenze che vedono da giorni contrapposti i due principali partiti palestinesi. «Tutti, da Hamas ai comunisti, vogliamo uno stato palestinese all’interno dei confini del 1967. Questo è ciò che abbiamo, non possiamo parlare di sogni», ha detto Abu Mazen aggiungendo che «se non sarà raggiunto un accordo sulla proposta dei detenuti, il referendum verrà convocato entro 40 giorni». L’iniziativa referendaria arriva tre giorni dopo l’ok dell’Amministrazione statunitense al secondo ritiro unilaterale dalla Cisgiodania che il premier israeliano Olmert farà partire nei prossimi mesi «se non avrà trovato dall’altra parte un partner di pace».
Nei giorni scorsi i prigionieri avevano reso pubblico un testo in 18 punti che prevede, tra l’altro, uno stato in Cisgiordania e Gaza con capitale Gerusalemme est (dunque riconoscendo implicitamente Israele), il diritto alla resistenza armata all’interno dei Territori occupati (stop quindi agli attentati nello Stato ebraico), il diritto al ritorno dei profughi. Un piano elaborato dai pezzi grossi di Fatah e Hamas nel carcere israeliano di Hadarim, con la supervisione del prigioniero dei prigionieri, quel Marwan Barghuti indicato da molti come il leader più popolare del partito sconfitto nel voto del 25 gennaio scorso. Una proposta per superare la posizione di Hamas – che nel suo statuto nega il diritto all’esistenza dello Stato ebraico – grazie alla quale la Comunità internazionale sta giustificando la sospensione degli aiuti umanitari al nuovo governo di Ramallah.
Ma che effetto potrebbe avere una consultazione popolare di questa portata su un quadro politico caratterizzato da scontri continui tra Fatah e Hamas? «Quella di Abu Mazen sarebbe una mossa molto rischiosa» sostiene Mouin Rabbani, dell’International crisis group (Icg). «È vero che la stragrande maggioranza dei palestinesi è d’accordo da tempo sui confini del ’67 – continua Rabbani -, ma l’attuale situazione di scontro potrebbe prevalere sul quesito e trasformarlo in un referendum Hamas-Fatah. Immaginato come un meccanismo per rafforzare il suo potere, il referendum potrebbe quindi diventare un colpo mortale per il presidente».
Hamas non ha ancora dato una risposta chiara alla proposta avanzata da Abu Mazen. Il portavoce del parlamento, Abdel Aziz Duaik, ha dichiarato che «rivolgersi al popolo è uno dei principi più importanti della democrazia e il documento dei prigionieri è una buona base di dialogo». Ma per il deputato Mushir al-Masri il referendum sarebbe «un sovvertimento della scelta democratica» che ha mandato gli islamisti al governo. Il premier Ismail Hanyeh, intervenuto nel dialogo nazionale in videoconferenza da Gaza, si è limitato a parlare di dialogo necessario per rafforzare l’unità nazionale».
Ma Al Hayat al Jadida (quotidiano arabo stampato a Londra) sostiene che il presidente e Hamas si sarebbero in realtà già accordati. Ad Abu Mazen il compito di portare avanti i negoziati con Israele sulla base delle decisioni finora prese dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), ad Hamas l’amministrazione della cosa pubblica. Un’ipotesi che potrebbe rivelarsi un disastro per i palestinesi: presentarsi divisi, con il governo che si occupa dell’amministrazione e gli sconfitti alle elezioni che trattano con uno Stato occupante determinato a portare a termine la costruzione del muro e ad annettersi i principali blocchi di colonie, equivarrebbe ad avere un potere negoziale pari a zero.

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