L'«ultrà» idolo dei russi d' Israele.

da http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Marzo-2006/art49.html
di Michele Giorgio

L’«ultrà» idolo dei russi d’ Israele.
Leader del partito di estrema destra Israel Beitenu, Avigdor Lieberman raccoglierà parecchi voti alle elezioni di martedì. Il suo programma anti-arabo è
molto popolare. Soprattutto tra i cittadini che, come lui, sono emigrati dall’ex Urss.

Il noto editorialista Uzi Benziman non ha dubbi su Avigdor Lieberman, il leader del partito di estrema destra Israel Beitenu: è un fascista. «Chi (come Lieberman) enfatizza il più possibile il nazionalismo, rifiuta gli stranieri, eleva l’omogeneità ebraica al
livello di santità, chiede la sostituzione totale dell’élite (politica) e il cambiamento radicale dei metodi di governo e crede che le soluzioni vadano imposte con la forza, ha certamente tendenze fasciste», ha scritto mercoledì scorso su Haaretz esortando le altre forze politiche, soprattutto Kadima del premier ad interim Ehud Olmert che il 28 marzo
conquisterà la maggioranza relativa, a escluderlo dal governo. Ma gli avvertimenti di Benziman e quelli altrettanto preoccupati lanciati dal suo collega Nahum
Barnea di Yediot Ahronot sono destinati a cadere nel vuoto. Lieberman, con tutte le sue tendenze fasciste piace ad un numero crescente di israeliani, e ormai si
è conquistato un posto al sole nel panorama politico israeliano. Mercoledì prossimo, quando il risultato delle elezioni sarà definitivo, farà sentire la sua
voce e nelle settimane successive giocherà le sue carte nei negoziati che Olmert avvierà per la nuova coalizione di governo. I sondaggi infatti sono molto incoraggianti per Israel Beitenu: dovrebbe conquistare 11-12 seggi piazzandosi alle spalle del Likud di
Benyamin Netanyahu (15-17 seggi). Se questi dati verranno confermati dal voto, Israel Beitenu e Kadima saranno le due uniche forze politiche a festeggiare il
giorno dopo le votazioni. Buona parte degli altri partiti al contrario si ritroveranno sui livelli delle passate elezioni o fortemente ridimensionati, a cominciare dal Likud che ha visto molti dei suoi dirigenti e attivisti passare a Kadima (fondato quattro mesi fa da Ariel Sharon) e perdere consensi a favore proprio del partito di Lieberman. Il risultato
eccezionale per Israel Beitenu si materializzerà grazie soprattutto ai voti dei «russi», ovvero gli ebrei giunti dall’ex Urss (in effetti sono russi soltanto il 30% del milione di israeliani immigrati da quella parte di mondo). Lieberman, nato in Moldova, che ha mantenuto forti legami con la sua terra d’origine, dovrebbe conquistare i 2/3 di questa fetta
di elettorato. Non sorprende perciò che al numero 78 di Via Yarmiahu, nella sede di Israel Beitenu, la soddisfazione sia enorme e che sul volto di attivisti e volontari sia stampato perennemente il sorriso.
Siamo a Gerusalemme ma è come se fossimo a Mosca. Il russo infatti è la lingua in cui conversano gran parte dei presenti e i manifesti elettori sono tutti rigidamente scritti in cirillico ed ebraico. Il fattore etnico tuttavia non basta a spiegare il successo, almeno nelle intenzioni di voto degli elettori, di questa formazione che per anni è stata una forza marginale nel panorama politico. «Il fatto che questo sia il partito dei "russi" non mi interessa più di tanto. A me piace ciò che vuole realizzare Avigdor (Lieberman), lui è l’unico che ha le idee chiare su cosa fare per migliorare questo paese», ci
dice Irina Gutliev, 26 anni, figlia di immigrati giunti dall’Ucraina nel 1990, «negli anni passati ci hanno riempito la testa di idee sulla pace con i palestinesi ma ora abbiamo capito che con gli arabi sono necessarie altre soluzioni». Sono proprio le devastanti «soluzioni» che propone Lieberman che piacciono a Irina e a tanti altri israeliani. Il
professor Brumi, del Dipartimento di scienze politiche dell’università ebraica di Gerusalemme, prova a spiegare questo atteggiamento degli ebrei giunti
dall’ex Urss. I «russi», ha detto qualche giorno fa, sin dal loro arrivo in Israele hanno manifestato due atteggiamenti: opposizione a tutto ciò che è vicino alla sinistra in apparente rigetto del passato periodo sovietico e avversione ai cittadini arabi visti come
rivali diretti nella gerarchia sociale. «Il 41% degli ebrei "russi" – ha aggiunto Brumi – oggi sostiene che i suoi problemi principali sono la sicurezza e la questione demografica, il 20% il lavoro e solo il 14% la pace». Inoltre il leader laburista Peretz non piace ai «russi» perché «ricorda Stalin» con il suo «programma socialista» e i suoi baffoni neri. Olmert e
Netanyahu invece non attirano consensi perché sono parte dell’establishment tradizionale. Non a caso i manifesti di Israel Beitenu, imitando uno slogan dell’ex presidente russo Boris Eltsin, esclamano: «Nyet Olmert, Nyet Netanyahu, Da Lieberman!». Ex direttore dell’ufficio di Netanyahu quando quest’ultimo era primo ministro (1996-99), Lieberman
di fatto ha preso il posto dello scomparso leader dell’estrema destra Revaham Zeevi (ucciso del Fronte popolare nel 2001) nell’invocare l’espulsione dei palestinesi. A differenza di Zeevi tuttavia non si preoccupa tanto dei palestinesi in Cisgiordania e Gaza
quanto invece di quelli con cittadinanza israeliana (i cosiddetti arabiisraeliani, 1,3 milioni di persone) che considera un pericolo per la sicurezza e un rischio demografico. Il leader di Israel Beitenu vuole ridisegnare radicalmente i confini di Israele nella parte adiacente al Nord della Cisgiordania, in modo lasciare al di là del muro di separazione, sul
versante palestinese, circa mezzo milione di arabi israeliani. Un progetto che non dispiace affatto a molti elettori. «Tanti cittadini di questo paese hanno spostato il loro orientamento politico più a destra in questi ultimi anni – afferma Drumi – non vogliono
negoziati con gli arabi e i palestinesi ma chiedono soluzioni immediate. Per loro il punto non è più trovare una intesa con i palestinesi ma come liberarsi di loro. Questo spiega anche il favore di cui gode Kadima che propone una soluzione unilaterale non
negoziata per la Cisgiordania». Ad accrescere la popolarità di Lieberman è anche la sua voglia di governare: da un lato sbraita contro il piano unilaterale per la Cisgiordania annunciato da Olmert e dall’altro non esclude di poter entrare nella futura coalizione di governo. Una linea ambigua che lo pone nella condizione ideale per diventare ministro e far passare, almeno in parte, il suo programma anti-arabo.
  

 

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