Gerusalemme /al-Quds- MEMO. Il luogo dell’omicidio della giornalista Shireen Abu Aqleh, all’ingresso del campo profughi di Jenin, è diventato un memoriale per i palestinesi.
Fin dalle prime ore di giovedì mattina, i palestinesi sono accorsi da vari luoghi per visitare il punto in cui è stata colpita e uccisa Abu Aqleh, lasciare fiori e pregare per lei.
Foto di Abu Aqleh sono state appese agli alberi che circondano l’area, insieme a bandiere palestinesi ed una tradizionale kefiah.
Sul terreno dove Abu Aqleh è caduta, dopo essere stata ferita a colpi d’arma da fuoco, giacevano mazzi di fiori e lettere.
Uno dei messaggi diceva: “L’immagine è diventata chiara e la copertura era assente. Shireen Abu Aqleh è una parola che non muore. Possa la tua anima riposare in pace”.
Mercoledì mattina, il ministero della Salute palestinese ha annunciato la morte di Shireen Abu Aqleh, “dopo essere stata ferita a colpi d’arma da fuoco dall’esercito israeliano nella città di Jenin”.
La rete di Al-Jazeera e l’Autorità Palestinese hanno accusato Israele di aver ucciso deliberatamente Shireen Abu Aqleh, sparandole mentre stava svolgendo il suo lavoro; da parte sua, l’esercito israeliano ha affermato che i risultati iniziali mostravano che era stata “uccisa da uomini armati palestinesi”.
Abu Aqleh era nata a Gerusalemme nel 1971, ed è stata una dei primi corrispondenti di Al-Jazeera, entrando a far parte del canale nel 1997.
Majd Owais, un giovane che vive in una delle case vicine, ha detto di aver partecipato alle cerimonie “in onore di Shireen e del suo grande ruolo nazionale”.
Parlando all’Agenzia Anadolu, ha aggiunto: “Da ieri [venerdì], nel sito ci sono costantemente cittadini che vengono a pregare per lei”.
Owais ha continuato, mostrando le tracce lasciate dai proiettili: “Guarda, questo è ciò che i proiettili israeliani esplosi hanno lasciato sugli alberi e sulle pietre. Questi proiettili sono famosi, sono usati solo dall’esercito israeliano”.
Ha detto che Abu Aqleh, accompagnata dai suoi colleghi, indossava un giubbotto speciale per la stampa e che l’esercito israeliano ha visto la loro posizione e ha sparato direttamente contro di essi.
Nello stesso luogo, Ayman Khalil, della cittadina di Anin, stava piangendo. Ha detto all’agenzia Anadolu che ha deciso di visitare “il luogo del martirio di Abu Aqleh per pregare per lei e vedere dove è stata presa di mira”.
Ha aggiunto: “Abbiamo pianto tutti, nonostante non conoscessimo Shireen personalmente, ma la conosciamo attraverso la sua copertura giornalistica da decenni. Shireen, hai servito il Paese trasmettendo l’immagine della verità”.
Mamoun Fashafsha, un palestinese della cittadina di Jaba’, nel governatorato di Jenin, ha detto ad un corrispondente di Anadolu di essere venuto “per osservare il luogo del martirio e pregare per Abu Aqleh”.
Ha aggiunto: “Shireen significa molto per noi, ha vissuto nella memoria di generazioni e la sua memoria rimarrà per molti anni. Shireen ha raccontato molti eventi in molti anni. È stata una combattente della resistenza e ha dato alla causa palestinese ciò che gli altri non sono stati in grado di fornire, attraverso la sua voce e la sua copertura”.
Fashafsha ha accusato le autorità israeliane di aver preso di mira deliberatamente Abu Aqleh per il suo ruolo pionieristico nel fornire copertura stampa e denunciare i crimini israeliani.
Molti residenti del campo profughi di Jenin hanno ricordi di Abu Aqleh durante la sua copertura dell’invasione israeliana del campo, nel 2002.
Umm Ahmed Freihat, una residente del campo, ha detto in lacrime: “Shireen ha vissuto la battaglia del campo con noi. Ha riportato i massacri israeliani e la distruzione che hanno lasciato. Ha cercato tra le rovine i nostri bambini”.
In un’intervista all’agenzia Anadolu, ha aggiunto: “Aveva sete, era senz’acqua. I suoi vestiti erano sporchi, quindi le ho dato i vestiti da casa mia. Shireen non c’è più e la sua assenza mi ha colpito al cuore come un fulmine”.
Nell’aprile 2002, l’esercito israeliano entrò nella città di Jenin e nel suo campo profughi, e in dieci giorni vennero uccisi almeno 52 palestinesi, di cui circa la metà erano civili. Secondo i rapporti sui diritti umani, circa 150 edifici vennero completamente distrutti, decine vennero parzialmente distrutti e circa 435 famiglie vennero sfollate.