The Cradle. Il famigerato gruppo terroristico ha utilizzato armi fornite dagli Stati Uniti, combattenti addestrati dagli Stati Uniti e finanziamenti inviati da banche di Washington per conquistare la seconda città più grande dell’Iraq e terrorizzare i suoi abitanti musulmani sunniti.
Dieci anni fa, proprio in questo mese (luglio, ndr), il famigerato gruppo terroristico ISIS conquistava incredibilmente Mosul, la seconda città più grande dell’Iraq. In soli due giorni di combattimento, poche centinaia di militanti dell’ISIS si impadronivano della città, costringendo alla fuga migliaia di soldati e poliziotti iracheni nel caos e nella confusione.
I media occidentali avevano attribuito la caduta della città alle politiche settarie dell’allora primo ministro iracheno Nouri al-Maliki, suggerendo che i sunniti locali avessero accolto l’invasione dell’ISIS. I funzionari statunitensi avevano affermato di essere stati sorpresi dalla rapida ascesa dell’organizzazione terroristica, spingendo l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama a giurare di “degradare e infine distruggere” il gruppo.
Tuttavia, un’attenta analisi degli eventi relativi alla caduta di Mosul e le interviste con i residenti durante la recente visita di The Cradle in città dimostrano esattamente il contrario. Gli Stati Uniti e i loro alleati regionali hanno usato l’ISIS come proxy per orchestrare la caduta di Mosul, terrorizzando così i suoi abitanti musulmani sunniti per raggiungere specifici obiettivi di politica estera.
Un residente di Mosul intervistato da The Cradle ha affermato:
“C’era un piano per permettere al Daesh [ISIS] di prendere Mosul, e dietro la sua realizzazione c’erano gli Stati Uniti. Lo sanno tutti, qui, ma nessuno può dirlo pubblicamente. È stata una guerra contro i sunniti”.
Un “principato salafita”.
Mentre nell’agosto 2012 dilagava la guerra in Siria, la Defense Intelligence Agency (DIA) degli Stati Uniti redasse un noto memorandum che forniva le linee generali del piano che avrebbe portato alla caduta di Mosul. Il memorandum affermava che l’insurrezione sostenuta dagli Stati Uniti e dai loro alleati regionali per rovesciare il governo di Bashar al-Assad a Damasco non era guidata da “ribelli moderati” ma da estremisti, tra cui salafiti, Fratelli Musulmani e Al-Qaeda in Iraq (Stato Islamico dell’Iraq).
Il memorandum della DIA dichiarava inoltre che gli Stati Uniti e i loro alleati, “le potenze occidentali”, accoglievano con favore l’istituzione di un “principato salafita” da parte di queste forze estremiste nelle aree a maggioranza sunnita della Siria orientale e dell’Iraq occidentale. L’obiettivo degli Stati Uniti era quello di isolare territorialmente la Siria dal suo principale sostenitore regionale, l’Iran.
Due anni dopo, nel giugno 2014, l’ISIS conquistò Mosul, dichiarandola capitale del cosiddetto “Califfato”.
Sebbene il gruppo terroristico sia stato dipinto come autoctono dell’Iraq, l’ISIS ha trasformato in realtà il “principato salafita” previsto nel memorandum della DIA solo grazie all’aiuto di armi, addestramento e finanziamenti forniti dagli Stati Uniti e dai suoi stretti alleati.
Armi statunitensi e saudite.
Nel gennaio 2014, Reuters aveva riferito che il Congresso degli Stati Uniti aveva “segretamente” approvato nuovi flussi di armi ai “ribelli siriani moderati” del cosiddetto Esercito Siriano Libero (ESL).
Nei mesi successivi, l’esercito statunitense e il ministero della Difesa saudita acquistarono grandi quantità di armi dai paesi dell’Europa orientale, che poi furono trasportate ad Amman, in Giordania, per la successiva distribuzione all’ESL.
Dopo un’esauriente indagine durata tre anni, il Conflict Armament Research (CAR), finanziato dall’UE, ha scoperto che le armi inviate in Siria dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita tra il 2014 e il 2017 furono rapidamente consegnate all’ISIS, a volte nel giro di soli “giorni o settimane” dal loro acquisto.
“Per quanto le nostre prove possano dimostrare, i dirottatori [sauditi e statunitensi] sapevano cosa stava succedendo in termini di rischio di approvvigionamento di armi a gruppi della regione,” ha spiegato Damien Spleeters del CAR.
Le armi e le attrezzature fornite dagli Stati Uniti che avevano raggiunto rapidamente l’ISIS includevano gli iconici pickup Toyota Hilux, diventati sinonimo del marchio ISIS.
Il rapporto precisava inoltre che, “il CAR non può escludere la fornitura diretta alle forze [dell’ISIS] dai territori della Giordania e della Turchia, soprattutto data la presenza di vari gruppi di opposizione, con alleanze mutevoli, in località di rifornimento transfrontaliere”.
Forniture dirette dagli Stati Uniti all’ISIS.
La possibilità di una “fornitura diretta” di armi statunitensi all’ISIS solleva la questione dell’eventuale consegna di armi al gruppo terroristico da parte delle forze statunitensi non solo tramite i cosiddetti ribelli siriani, ma direttamente con aerei da trasporto o elicotteri.
Nella città siriana di Kobane, aerei cargo C-130 statunitensi sganciarono armi che furono recuperate dall’ISIS nell’ottobre 2014. Quando i membri dell’ISIS pubblicarono un video sui social media che mostrava le armi, i funzionari statunitensi riconobbero il rilascio delle armi, ma affermarono che si era trattato di un errore. Dichiararono che le armi erano destinate alle Unità di Protezione del Popolo Curdo (YPG).
Tuttavia, ci sono prove che questi lanci di armi fossero sia comuni che deliberati. Tim Anderson, accademico australiano ed esperto di Siria, ha messo in evidenza molteplici rapporti di politici iracheni e fonti di sicurezza che affermavano che le forze statunitensi avevano lanciato regolarmente armi all’ISIS tramite elicotteri, e avevano persino evacuato i comandanti dell’ISIS da vari combattimenti.
The Cradle ha incontrato un membro delle Forze di Mobilitazione Popolare (PMF) che ha sostenuto di aver visto elicotteri statunitensi consegnare armi all’ISIS mentre la sua unità combatteva il gruppo terroristico vicino alla città di Baiji, nel centro dell’Iraq, nel 2015. Alcuni sminuiscono queste testimonianze poiché provengono da gruppi armati sciiti e da funzionari del governo iracheno che godono del supporto dell’Iran, un nemico degli Stati Uniti.
Tuttavia, nel suo libro che documenta il genocidio degli Yazidi, l’autrice americana Amy L. Beam ha raccolto la testimonianza di un uomo sunnita iracheno della città di Zawia, vicino a Baiji, che aveva assistito all’atterraggio di elicotteri statunitensi nel territorio dell’ISIS per supportare il gruppo terroristico. Anche quest’uomo era membro delle PMF, ma simpatizzava per gli Stati Uniti, avendo lavorato in precedenza come traduttore per l’esercito americano. Scoprire che le forze statunitensi stavano aiutando l’ISIS è stato quindi ancora più scioccante per lui.
“Giuro su mio fratello martire, ucciso dall’ISIS, che ho visto la coalizione [statunitense] aiutare l’ISIS. Ho perso la testa quando ho visto quegli elicotteri Apache atterrare in un’area dell’ISIS,” ha dichiarato.
Quando gli elicotteri statunitensi decollarono, si diressero verso Erbil, la capitale della regione autonoma curda dell’Iraq. Il giorno successivo, l’unità fu attaccata da militanti dell’ISIS armati di fucili M16 di fabbricazione statunitense.
Il ruolo dei curdi.
Un altro modo in cui le armi fornite dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita avevano raggiunto l’ISIS fu attraverso il principale alleato curdo di Washington in Iraq, Masoud Barzani. Discutendo dei finanziamenti segreti per le armi approvati dal Congresso degli Stati Uniti nel gennaio 2014, Reuters ha notato che “gruppi curdi” avevano fornito armi e altri aiuti finanziati da donatori in Qatar a “fazioni di ribelli estremisti religiosi”.
Nei mesi successivi, si diffusero notizie secondo le quali funzionari curdi del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) di Barzani avrebbero fornito armi all’ISIS, inclusi missili anticarro Kornet importati dalla Bulgaria. Ulteriori prove che dimostrano il sostegno di Barzani all’ISIS provengono da una causa attualmente in corso presso il Tribunale Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia per conto del Kurdistan Victim’s Fund.
L’importante causa, condotta dall’ex assistente procuratore statunitense James R. Tate, cita testimonianze di fonti con “accesso clandestino diretto” a funzionari di alto rango del KDP, che affermano che gli agenti di Barzani “effettuarono deliberatamente pagamenti in dollari a intermediari terroristici e ad altri che furono trasferiti negli Stati Uniti,” anche tramite banche di Washington. Questi pagamenti “permisero all’ISIS di compiere attacchi terroristici che uccisero cittadini statunitensi in Siria, Iraq e Libia”.
Inoltre, gli agenti utilizzarono “account di posta elettronica gestiti da fornitori di servizi email con sede negli Stati Uniti per coordinare e portare avanti le attività della loro collaborazione con l’ISIS”.
È impensabile che Barzani avesse regolarmente organizzato i pagamenti all’ISIS dal cuore della capitale statunitense senza la conoscenza e il consenso dell’intelligence americana.
Un accordo esplicito.
Nella primavera del 2014, emersero indiscrezioni su un accordo tra Barzani e l’ISIS per spartirsi il territorio iracheno.
Pierre-Jean Luizard, accademico francese ed esperto di Iraq del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) di Parigi, ha riferito che vi era “un accordo esplicito” tra Barzani e l’ISIS, che “mirava a condividere un certo numero di territori”. Secondo l’accordo, l’ISIS avrebbe preso Mosul, mentre le forze di sicurezza di Barzani, i Peshmerga, avrebbero preso Kirkuk, ricca di petrolio, e altri “territori contesi” che desideravano per un futuro Stato curdo indipendente.
Secondo Luizard, l’ISIS aveva il compito di “sconfiggere l’esercito iracheno e, in compenso, i Peshmerga non avrebbero impedito all’ISIS di entrare a Mosul o di catturare Tikrit”.
In un’intervista inedita con il noto giornalista di sicurezza libanese e collaboratore di The Cradle, Radwan Mortada, l’ex primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha dichiarato che si erano tenute apposite riunioni per pianificare l’operazione di Mosul nella capitale del Kurdistan iracheno, Erbil, a cui avevano partecipato ufficiali militari statunitensi.
Quando i funzionari statunitensi hanno negato qualsiasi coinvolgimento, Maliki ha risposto dicendo loro:
“Queste sono le foto degli ufficiali americani seduti a questo incontro… Voi siete partner in questa operazione”.
Il canale britannico.
In un’intervista con The Cradle, un residente di Mosul ritiene che molti dei membri dell’ISIS che ha incontrato durante i tre anni di occupazione della città da parte del gruppo erano stranieri di lingua inglese, in particolare i comandanti dell’ISIS.
Ma da dove venivano questi membri di lingua inglese dell’ISIS?
Nel 2012, l’intelligence britannica creò un canale per inviare cittadini britannici e belgi a combattere in Siria. Giovani uomini di Londra e Bruxelles furono reclutati da organizzazioni salafite come Shariah4UK e Shariah4Belgium, fondate dal predicatore radicale e agente dell’intelligence britannica Anjam Choudary.
Queste reclute furono poi inviate in Siria, dove si unirono a un gruppo armato, Katibat al-Muhajireen, che godeva del sostegno dell’intelligence britannica. Tali combattenti britannici e belgi si unirono poi all’ISIS dopo la sua ufficiale costituzione in Siria, nell’aprile 2013. Tra questi combattenti c’era un londinese di nome Mohammed Emwazi. Successivamente noto come il famigerato Jihadi John, Emwazi rapì il giornalista statunitense James Foley nell’ottobre 2012 come membro di Katibat al-Muhajireen e presumibilmente lo assassinò nell’agosto 2014 in quanto membro dell’ISIS.
Made in America.
Anche il comandante di Katibat al-Muhajireen, Abu Omar al-Shishani, si unì successivamente all’ISIS e notoriamente guidò l’assalto del gruppo terroristico a Mosul. Prima di combattere in Siria e in Iraq, Shishani aveva ricevuto addestramento dagli Stati Uniti come membro delle forze speciali della Georgia.
Nell’agosto 2014, il Washington Post riferì che i membri libici dell’ISIS avevano ricevuto addestramento da personale militare e intelligence francese, britannico e statunitense mentre combattevano nella cosiddetta “rivoluzione” per rovesciare il governo di Muammar al-Qaddafi (Gheddafi) nel 2011.
Molti di questi combattenti erano britannici ma di origine libica e si erano recati in Libia con l’incoraggiamento dell’intelligence britannica per rovesciare Gheddafi. Si diressero poi in Siria e si unirono presto all’ISIS o all’affiliato locale di Al-Qaeda, il Fronte al-Nusra.
“A volte scherzo e dico che sono un combattente creato dagli Stati Uniti,” ha dichiarato uno dei combattenti al Post.
Non vi è alcuna indicazione che il rapporto tra questi combattenti e l’intelligence statunitense e britannica sia terminato una volta divenuti membri dell’ISIS.
“Maliki deve andarsene“.
Il sostegno degli Stati Uniti all’invasione di Mosul da parte dell’ISIS è evidente dalle azioni che Washington rifiutò di intraprendere. I dirigenti statunitensi monitoravano i convogli dell’ISIS che attraversavano il grande deserto dalla Siria per attaccare Mosul, nel giugno 2014, ma non intrapresero alcuna operazione per bombardarli.
Come ha ammesso l’ex segretario alla Difesa statunitense Chuck Hagel, “non è che fossimo ciechi in quell’area: avevamo droni, satelliti e intelligence che monitoravano questi gruppi”.
Anche dopo la caduta di Mosul, e mentre l’ISIS minacciava Baghdad, i pianificatori di Washington si rifiutarono di aiutare a meno che Maliki non si fosse dimesso da Primo Ministro.
Nella sua intervista con Mortada, Maliki ha dichiarato che i funzionari statunitensi gli avevano chiesto di imporre un assedio alla Siria per contribuire a rovesciare Assad. Quando Maliki si rifiutò, lo accusarono di aver sabotato l’operazione di cambio di regime in Siria e di voler usare l’ISIS per rovesciare il governo iracheno.
Molte delle fonti americane confermano la tesi di Maliki. La Rand Corporation, finanziata dall’esercito statunitense, ha osservato che le relazioni tra Stati Uniti e Iraq in quel periodo erano diventate tese “a causa della volontà del governo Maliki di facilitare il sostegno iraniano al regime di Assad nonostante la significativa opposizione americana”.
Come ha spiegato Philip Gordon, il consigliere per la politica estera di Obama:
“Il presidente si era espresso chiaramente sul fatto che non voleva lanciare quella campagna [contro l’ISIS] fino a quando non ci fosse stato qualcosa da difendere, e non era Maliki”.
Il giornalista del New York Times Michael Gordon ha riferito che il Segretario di Stato John Kerry si era recato a Baghdad due settimane dopo la conquista di Mosul da parte dell’ISIS per incontrare Maliki. Alla ricerca disperata di aiuto, Maliki aveva chiesto a Kerry attacchi aerei contro l’ISIS per proteggere Baghdad, ma quest’ultimo aveva spiegato che gli Stati Uniti non avrebbero prestato aiuto a meno che Maliki non avesse ceduto il potere.
Nel luglio 2014, i combattenti dell’ISIS stavano riportando in Siria, attraverso il deserto, l’artiglieria e i veicoli blindati catturati dagli Stati Uniti. Gordon ha inoltre riferito che i convogli dell’ISIS erano “facili prede per la potenza aerea americana”.
Tuttavia, quando il Maggiore Generale statunitense Dana Pittard chiese l’autorizzazione a condurre gli attacchi aerei per distruggere i convogli, la Casa Bianca rifiutò, affermando che non erano stati soddisfatti i “prerequisiti politici”: in altre parole, Maliki era ancora Primo Ministro.
Vantaggi geopolitici.
Pur dichiarandosi nemici dell’ISIS, i pianificatori statunitensi e i loro alleati facilitarono deliberatamente l’ascesa del gruppo terroristico, inclusa la conquista di Mosul.
Per conquistare Mosul, l’ISIS si affidò a combattenti addestrati da Stati Uniti e Regno Unito, armi acquistate da Stati Uniti e Arabia Saudita, e dollari statunitensi forniti dai curdi, piuttosto che al sostegno popolare dei residenti sunniti della città.
Quando l’autoproclamato califfo e leader dell’ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi, annunciò l’istituzione del cosiddetto “califfato” nella storica Moschea al-Nour della città, istituì proprio il principato salafita delineato nel documento della DIA dai capi dell’intelligence statunitense.
Questa ascesa orchestrata dell’ISIS non solo ha destabilizzato la regione, ma ha anche assecondato gli interessi geopolitici di coloro che sostengono di combattere il terrorismo.
Traduzione per InfoPal di Rachele Manna