Marcia nonviolenta a Susiya contro la distruzione del villaggio e la deportazione degli abitanti

Imemc. Venerdì 6 giugno, circa 200 attivisti israeliani internazionali si sono uniti agli abitanti del villaggio di Susya, in una marcia di solidarietà contro la prevista distruzione del villaggio e la deportazione dei suoi abitanti.

L’evento è stato organizzato dal movimento Combatants for Peace dal comitato loale dei giovani del villaggio, in commemorazione della Giornata della Naksa, ricordando la guerra del 1967 e l’occupazione della Cisgiordania.

All’arrivo degli attivisti a Susya, gli abitanti hanno salutato i partecipanti, si sono divisi in tre gruppi e hanno raccolto le testimonianze sulle difficoltà che vengono loro poste da parte dei coloni e dell’esercito israeliano.

La marcia è iniziata verso mezzogiorno con manifestanti che reggevano cartelli con su scritto: “C’è un’altra strada”, “Salvate  Susya”, e “Stop all’occupazione”. Durante la marcia e la protesta cantavano: “Fine dell’occupazione! Niente più insediamenti due Stati – due popoli!!!”.

Alla manifestazione, Dov Khenin, membro della Knesset israeliana, ha affermato: “Non esiste luogo migliore per commemorare la Giornata di Naksa che Susya. La sua storia racconta l’intera storia dell’occupazione.

“Hanno detto ai residenti: non avete posto nel mondo. Questo cammino di espropriazione e la deportazione sono ovviamente destinati a impedire ai Palestinesi di avere un futuro. Ma la verità è che impedisce anche un vero futuro per gli israeliani. La battaglia contro di essa non è solo una battaglia di solidarietà e di giustizia, ma anche la nostra battaglia per il nostro futuro. Siamo qui oggi per dimostrare come l’esercito israeliano sta costringendo la gente a scappare dalle loro case, e per stare contro l’ingiustizia”.

Shai Eluk, coordinatore israeliano dei Combattenti per la pace Beer-Shev/Hebron, ha affermato: “Tre anni fa ero qui in qualità di soldato, in servizio nella regione meridionale di Hebron. Poco dopo ho capito che dovevo parlare con gli abitanti del villaggio che incontravo e chiedere delle loro vite. Quando ho capito la situazione, mi sono avvicinato al mio comandante, dicendogli che non ero in grado di continuare a servire in Cisgiordania, dal momento che la mia presenza qui sostiene la violenza e l’occupazione”.

Susya

Il villaggio palestinese di Susya, situato nel sud di Hebron nella zona C, dove opera il gruppo meridionale del CFP, esiste da più di un secolo.

A causa della politica di pianificazione dell’Amministrazione Civile nell’area C, che blocca sistematicamente ogni possibilità di pianificazione e rilascio dei permessi di costruzione ai palestinesi, il villaggio non ha ricevuto l’approvazione per il suo piano e il rischio di espulsione è costante.

Dal 2001 i coloni hanno preso delle terre del villaggio con persecuzioni violenta, con l’obiettivo di spingere via i residenti palestinesi dalle loro terre. Questo mese la Corte Suprema ha consentito all’Amministrazione Civile di distruggere il paese. Ciò porterà ancora una volta alla deportazione degli abitanti del villaggio, prima ancora che il piano generale sia presentato.

La deportazione lascerà centinaia di famiglie senza casa durante i mesi estivi, senza una soluzione e in una situazione in cui saranno profughi nella loro stessa terra e non sapranno dove andare.

Susya è un villaggio, ma la sua è la storia di molti villaggi in Palestina, dove le vite sono minacciate quotidianamente dall’occupazione.

Si tratta di un ampio tentativo di cercare di spingere i Palestinesi nella zona A, che costituisce una parte minore della Cisgiordania.

 Combattenti per la pace

“Combattenti per la pace” è stato istituito da un gruppo di israeliani e palestinesi che hanno preso parte attiva al ciclo della violenza nella regione e ora stanno lavorando in modo nonviolento per la pace e la convivenza.

Negli ultimi anni, hanno condotto centinaia di attività congiunte che comprendono visite guidate, manifestazioni, incontri e conferenze, in Israele e in Palestina. In questi eventi chiedono la fine dell’occupazione ed esprimono la totale opposizione a qualsiasi forma di violenza, insieme con il riconoscimento dell’esistenza di un interlocutore.

Traduzione di Milena Signorello