Maryem Saleh, ministra di Hamas: le donne ‘scudi’ per scelta.

Da www.unita.it

Maryem Saleh, ministra di Hamas: le donne «scudi» per scelta

Umberto De Giovannangeli

«All´opinione pubblica europea e soprattutto alle donne europee dico: non credete a chi dipinge le donne di Beit Hanun come degli strumenti passivi in mano agli uomini, costrette a fare da scudi umani contro le forze di occupazione israeliane. Chi pensa questo non conosce la realtà palestinese, non conosce le donne palestinesi. La donna palestinese è una delle figure più forti, coraggiose della nostra società. Lo è perché deve fare i conti ogni giorno con la morte, le devastazioni, le sofferenze inflitte da chi ha violentato e usurpato la terra di Palestina. Le donne di Beit Hanun sono delle eroine della resistenza palestinese, e come tali vanno onorate». A parlare è Maryem Saleh, ministra per gli Affari delle donne nel governo palestinese. Ex docente di Diritto e filosofia islamica nell’Università di Abu Dies, Maryem Saleh, 53 anni, sposata con 7 figli, non crede affatto che la difesa dei diritti delle donne contrasti con la militanza in un movimento islamico: «Per noi – dice – una donna è sacra, si legge nel Corano: il paradiso sta sotto i piedi di ogni madre». La ministra di Hamas ricorda poi con orgoglio il motto con cui si è impegnata nelle elezioni del gennaio scorso, risultando la candidata più votata di Hamas: «Le donne hanno un ruolo attivo contro l’occupazione, quindi hanno anche un ruolo fondamentale nel costruire e migliorare la società».

L’opinione pubblica internazionale è rimasta colpita dalle donne di Beit Hanun usate come scudi umani.
«Quelle donne non sono state "usate", hanno deciso liberamente di usare il proprio corpo in un atto di resistenza contro le forze di occupazione israeliane. Quelle donne sono il simbolo della resistenza di un popolo, una resistenza che ha sempre visto le donne palestinesi protagoniste. Protagoniste e non strumento. E lo sono per innumerevoli ragioni…».

Quali ad esempio?
«Le donne hanno sopportato come gli uomini le sofferenze, le devastazioni, i crimini perpetrati dalle forze di occupazione israeliane. Hanno combattuto e hanno dovuto fare i conti ogni giorno con la morte, la violenza, la prigione. Ma le donne palestinesi non hanno solo resistito, hanno saputo anche costruire, tenere in piedi famiglie, crescere i figli con dignità in condizioni disperate. Questa è la donna palestinese».

E la donna di Hamas? È davvero possibile conciliare l’impegno per la difesa dei diritti delle donne con la militanza in un movimento fondamentalista islamico?
«Se lo ritenessi impossibile non avrei mai accettato di candidarmi alle elezioni o di svolgere questo incarico (di ministro). Non nascondo che esistano problemi, ma questi non hanno nulla a che vedere con il Corano. Anche in Hamas le donne sono un elemento dinamico, e puntano decisamente al cambiamento».

Cambiamento?
«Sì: abbiamo bisogno di riforme sociali: uguaglianza nel lavoro per le donne e riforma del codice della famiglia e delle leggi sull’eredità. Per quanto mi riguarda, sono convinta che ciò non sia per niente incompatibile con i dettami del Corano, ma anzi ne sia una concretizzazione sul piano sociale e legislativo. Nel Corano non c’è traccia di una concezione retriva della "donna-oggetto". Affermare ciò non significa affatto imporre una "islamizzazione forzata" della nostra società. E questo riguarda anche l’uso del velo, che io porto ma che considero una scelta consapevole e non una imposizione. Ma questo cambiamento sarà possibile solo dopo che la Palestina acquisterà la sua libertà. Oggi soffochiamo sotto l’occupazione israeliana».

Lei è favorevole o contraria alla costituzione di un governo di unità nazionale?
«Decisamente favorevole ma nella chiarezza: questo governo non può fondarsi sul disconoscimento della volontà popolare espressa liberamente nelle elezioni del 25 gennaio e non deve rappresentare un cedimento ai diktat israeliani e americani».

Israele considera il governo di cui lei fa parte un governo terrorista.
«Israele considera terroristi tutti i palestinesi che esercitano il diritto di resistenza all’occupazione della Palestina, comprese le donne di Beit Hanun. Per questo le incarcera o le uccide. La nostra legittimità a governare non nasce dalle concessioni israeliane ma dal consenso della nostra gente. A loro dobbiamo dar conto del nostro operato non certo al signor Olmert o a quel razzista di Lieberman».

Per ultimo vorrei tornare proprio alle donne di Beit Hanun. Come vorrebbe che fossero raccontate alle donne europee?
«Come l’espressione cosciente, consapevole, eroica di un popolo che lotta con i mezzi che ha contro uno dei più potenti eserciti del mondo».

(ha collaborato Osama Hamlan)

Pubblicato il: 05.11.06

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