Medio Oriente: il nuovo modo di combattere.

Cari amici,
    faccio circolare un mio breve scritto giornalistico sulle conseguenze politico-militari della recente guerra in Libano. L’articolo in questione comparirà sulla mia rubrica di politica estera "Quadrante", nel numero di ottobre del mensile svizzero "Galatea".
    Buona lettura.
    Michelguglielmo Torri
 
 

Medio Oriente: il nuovo modo di combattere

 

Anche se la cosa è stata oscurata dai media occidentali, la guerra dei 33 giorni in Libano ha rappresentato una svolta decisiva negli esistenti equilibri politici e militari. Fino al 12 luglio, Israele aveva sempre basato la sua politica nei confronti degli stati vicini (e dei palestinesi) sull’assioma della propria invincibilità militare. Ma il 14 agosto, al momento dell’interruzione delle operazioni militari in Libano era diventato chiaro che l’esercito israeliano era riuscito a penetrare solo di pochi chilometri in territorio libanese, non aveva raggiunto nessuno dei propri obiettivi strategici ed era stato tenuto in scacco da circa 3.000 combattenti irregolari.

Si è trattato di un rovescio strategico talmente catastrofico che molti analisti politici, pur rendendosi conto del suo significato, hanno esitato a tirarne le somme. Una possibile ragione di tanta cautela è stata che molti di loro hanno pensato che Israele non avrebbe accettato l’esito della guerra, riaprendo le ostilità in tempi brevi. Questa ipotesi è stata avvalorata dalle dichiarazioni in questo senso del leader del Likud e possibile prossimo primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, dichiarazioni fatte sia in patria, sia durante un viaggio negli USA.

Tuttavia, nonostante i discorsi revanchisti di Netanyahu e di una parte dell’opinione pubblica, la possibilità di un secondo round a breve termine si è man mano rivelata sempre più vaga. Accanto a quelle politiche hanno infatti cominciato a circolare le analisi militari; e queste ultime hanno avvalorato la tesi che la sconfitta di Israele non fosse dovuta – o non fosse dovuta in maniera preminente – ad una cattiva gestione delle operazioni da parte dei suoi vertici militari, bensì ad una trasformazione del modo di combattere. Quest’ultima rappresenta una netta soluzione di continuità con il modo di combattere prevalente almeno dal tempo della seconda guerra mondiale. L’esercito israeliano, invincibile nel contesto fin qui esistente, si è scontrato con una forza militare che si erano scientemente preparata a combattere secondo nuove modalità; il risultato si è visto. E così come, nella seconda guerra mondiale, era impossibile affrontare le nuove truppe corazzate ricorrendo semplicemente a forze numericamente più ampie di fanteria tradizionale, ora gli israeliani possono aumentare il numero di carri armati Merkava, che rimangono i più potenti del mondo, e possono tentare di utilizzarli meglio, ma è improbabile che raggiungano un risultato diverso da quello ottenuto durante la guerra dei 33 giorni.

Cos’è dunque avvenuto in Libano? Quello che è avvenuto è che le forze di Hizballah e dei suoi alleati, numericamente scarse (il rapporto fra truppe israeliane e irregolari libanesi è stato, a seconda delle valutazioni, dai 10:1 ai 5:1 a favore degli israeliani), organizzate in piccole unità autosufficienti e con il supporto di un efficiente sistema di spionaggio elettronico, hanno fatto ampio uso di un ventaglio di missili terra-terra, terra-aria e terra-mare di costruzione relativamente semplice, relativamente poco costosi, ma che hanno dimostrato una versatilità e una capacità di distruzione notevoli.

Si tratta di razzi di costruzione russa, siriana, iraniana, e, forse, pachistana. In alcuni casi sono missili che si basano su tecnologia cinese modificata o, perfino, su tecnologia americana. Quest’ultima è stata studiata – da pachistani e da cinesi – partendo da alcuni missili Tomahawak, lanciati nel 1989 per ordine di Clinton contro le basi di Osama bin Laden in Afghanistan. A quanto pare, 6 di questi missili caddero senza esplodere in territorio pachistano, permettendone lo studio ai tecnici pachistani con l’aiuto dei cinesi.

L’utilizzo di questo ventaglio di missili da parte di Hizballah ha poi messo in evidenza un altro dato cruciale. Questo è che, nonostante periodiche dichiarazioni in senso contrario, spesso basate su test manipolati, non esistono difese antimissilistiche efficienti. Quelle fin qui create sono sia eccessivamente costose, sia estremamente vulnerabili.

In sostanza, la guerra in Libano ha rivelato quella che l’analista militare Mark Williams ha definito la «democratizzazione della tecnologia missilistica». Una «democratizzazione» che prefigura il tramonto non solo dell’egemonia militare israeliana in Medio Oriente ma anche di quella americana nel mondo.

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ApritiSesamo! - fondata nell’ottobre 2002 e da allora diretta da Michelguglielmo Torri - mira a favorire un dibattito non superficiale sul Medio Oriente e sul mondo islamico. Il materiale distribuito è scelto esclusivamente per la capacità di offrire spunti e di fornire informazioni utili a tale dibattito. Pertanto esso non rispecchia necessariamente le posizioni politiche del direttore e dei gestori della lista.

 

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