Ramallah-Palestine Chronicle. Di Fayha Shalash. “Ero in condizioni miserabili, esausto e affamato senza cibo, e quando ho chiesto una visita medica, mi hanno attaccato di nuovo”.
Abdel Mohsen Shalalda, un giornalista palestinese di 32 anni di Hebron (Al-Khalil) è stato detenuto in Israele per sei mesi.
Nonostante il periodo di detenzione relativamente breve, Shalalda risente ancora le conseguenze dei maltrattamenti durante la sua prigionia.
All’alba del 7 novembre dell’anno scorso, l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa di Shalalda nella città di Sa’ir, a nord-est di Hebron. Dopo un’accurata perquisizione della sua casa da parte delle forze dell’occupazione israeliana, il giornalista è stato arrestato e scortato dentro a un veicolo militare.
Sigarette sulla mia testa.
Dal momento dell’arresto di Shalalda, che lavorava per la società di media locale chiamata “G Media”, ha subito gravi percosse al petto, alla testa e alla schiena.
“La cosa peggiore è stata che i soldati israeliani mi spegnevano le loro sigarette sulla testa. Ho sofferto moltissimo, e ogni volta che urlavo, mi picchiavano di nuovo”, ha raccontato al Palestine Chronicle.
Dopo oltre 36 ore di percosse continue, in cui i soldati israeliani si alternavano per maltrattare il giovane, Shalalda è stato trasferito al centro di detenzione di Etzion, a nord di Hebron.
Al suo arrivo al centro di detenzione, Shalalda era esausto e debole a causa della gravità delle percosse di ore. Non aveva la forza di muovere gli arti e capiva di aver subito diverse fratture alla cassa toracica.
“Ero in condizioni pietose, esausto e affamato senza cibo, e quando ho chiesto una visita medica, mi hanno aggredito di nuovo”, ha detto.
Privato di cure e cibo, il giornalista è stato trasferito alla prigione di Ofer, nella Cisgiordania centrale. Durante il viaggio, è stato picchiato di nuovo e non si era ancora ripreso dal primo attacco.
Sebbene l’inverno incombesse in una delle prigioni più fredde, le forze di occupazione israeliane hanno confiscato le coperte e gli abiti caldi dei prigionieri e li hanno costretti a indossare le uniformi leggere dell’amministrazione carceraria israeliana che non li proteggevano per niente dal freddo.
Mentre era in prigione, dove manca il minimo delle necessità vitali, Shalalda è stato ancora sottoposto a interrogatori e percosse.
“L’interrogatorio riguardava esclusivamente il mio lavoro giornalistico e quando ho risposto che questo è il mio lavoro, l’interrogatore mi ha accusato di essere affiliato a Hamas e che stavo fotografando le marce contro la guerra per Gaza per scopi non giornalistici”, ha aggiunto.
L’incarcerazione di Shalalda non è la prima, visto che era già stato arrestato tre volte in precedenza e aggredito in numerose occasioni mentre faceva il suo lavoro.
“Nel momento in cui sono stato rilasciato, ho saputo che mia moglie aveva dato alla luce nostro figlio. Mi è stato impedito di contattare la mia famiglia o di sapere qualcosa su di loro. Dormivamo affamati al freddo estremo”, ha spiegato il giovane giornalista.
Violazioni quotidiane.
Shalalda è uno dei tanti giornalisti palestinesi in Cisgiordania che sono esposti a violazioni israeliane continue e quotidiane.
Secondo l’Autorità per le Questioni dei Prigionieri palestinesi, dall’inizio della guerra israeliana nella Striscia di Gaza, lo scorso ottobre, le forze di occupazione israeliana hanno arrestato 94 giornalisti palestinesi: 16 di loro provenivano da Gaza.
Ad oggi, 50 giornalisti sono ancora detenuti in condizioni disumane, cinque sono giornaliste, 15 di questi restano in detenzione amministrativa senza accusa o processo.
Altre forme di abusi da parte dell’esercito dell’occupazione israeliana contro i giornalisti palestinesi in Cisgiordania includono: ostacoli al loro lavoro, molestie, offese verbali o fisiche e confisca o distruzione dell’attrezzatura.
Crimini documentati contro i giornalisti.
Il Comitato per le libertà del sindacato dei giornalisti ha affermato, nel suo rapporto dello scorso giugno, che sono stati registrati 84 attacchi dall’inizio dell’aggressione contro Gaza, lo scorso ottobre, durante la quale i soldati israeliani avevano confiscato beni appartenenti ai giornalisti e talvolta distrutti sotto la minaccia delle armi.
Il rapporto ha evidenziato che sono stati monitorati e documentati 50 casi di sequestro di cellulari dei giornalisti, soprattutto al momento dell’aggressione in casa e dell’arresto, di circa otto computer portatili, di distruzione e sequestro di 8 stampanti, di sequestro di tre droni per fotografare, cavi per il lavoro, un microfono, una custodia protettiva e la distruzione di diverse telecamere.
Il responsabile dei media e delle relazioni pubbliche del Sindacato dei giornalisti palestinesi, Omar Nazzal, ha dichiarato al Palestine Chronicle che Israele segue la stessa politica criminale verso i giornalisti, sia a Gaza che in Cisgiordania.
Secondo Nazzal, questa politica deriva in primo luogo dall’ostilità di Israele verso tutto ciò che è arabo e palestinese, e in secondo luogo dalla sua ostilità verso la verità che i giornalisti lavorano sempre per svelare.
“Israele è in grado di continuare con i suoi attacchi contro il corpo giornalistico palestinese perché è consapevole che il mondo, comprese le Nazioni Unite e i Tribunali Internazionali, rimarrà in silenzio e non lo riterrà responsabile di fronte ai suoi sostenitori rappresentati dalle forze del male e del colonialismo nel mondo”, ha concluso Nazzal.
La vita dei giornalisti nei Territori Palestinesi Occupati, che siano la Cisgiordania, Gerusalemme occupata o Gaza, non è diversa da quella di qualsiasi altro cittadino palestinese. Né la legge che li protegge o il lavoro onorevole che svolgono per rivelare la verità tornano utili di fronte alla brutalità dell’occupazione israeliana.
(Foto: Abdel Mohsen Shalalda, giornalista palestinese di 32 anni di Hebron. Dai Social media).
Fayha Shalash è una giornalista palestinese di Ramallah. Si è laureata alla Birzeit University nel 2008 e da allora lavora come reporter e conduttrice. I suoi articoli sono apparsi in diverse pubblicazioni online. Ha contribuito con questo articolo a The Palestine Chronicle.
Traduzione per InfoPal di Edy Meroli