“Mi negano la possibilità di pronunciare la parola ‘papà’”

Pchr. Jumana Alaa’Shahada Abu Jazar, 11 anni, aveva solo quattro mesi quando sua madre morì, e poco dopo suo padre venne arrestato e internato nelle carceri israeliane. Alaa’ venne arrestato mentre accompagnava suo padre in Israele per ottenere cure mediche. Dall’età di due anni a Jumana è stato negato l’accesso in Israele per “motivi di sicurezza”, e non ha più potuto rivedere suo padre.

Figlia unica, Jumana è stata allevata dalla nonna, Maryam, 67 anni, e dallo zio Ayman. Il nonno Shahada morì subito dopo l’arresto del padre di Jamana, non avendo ottenuto il permesso di recarsi in Egitto per richiedere assistenza medica.

Jumana ha sempre chiamato la nonna e lo zio “mamma” e “papà”. All’età di 5 anni, un giorno, rientrata da scuola, disse a Maryam: “Mamma, voglio chiederti una cosa; per favore, dimmi la verità. Com’è possibile che tu sia mia madre e la madre di mio padre allo stesso tempo?” Fu allora che Jumana capì che la madre era morta quando lei era ancora molto piccola.

Nel febbraio 2009, lo zio Ayman, allora 22enne, venne ucciso in un attacco sferrato da un drone vicino alla casa di famiglia. Maryam racconta: “Quando Jumana arrivò a casa e le raccontai quanto accaduto ebbe un malore, e continuò a ripetere: ‘Mia madre è morta, mio padre è in prigione, mio zio è morto. Chi potrò chiamare papà, ora?’” Jumana soffre a ricordare il fatto: “É stato ucciso nel giorno del compleanno di mio padre, il 2 febbraio”.

Jumana è una studentessa modello. Ha ricevuto un premio dalla moschea locale per essere la persona più giovane ad aver recitato il Corano a memoria, e le è stata regalata una copia del Corano che ora fa bella mostra di sé in soggiorno. Quando manca la corrente, Jumana studia con l’ausilio di una torcia. Ma gli ottimi risultati non le danno soddisfazione. Quando gli insegnanti le chiedono il perché, lei risponde: “Se mio padre, o mia madre o lo zio Ayman fossero con me, allora sarei felice”.

Maryam ha avuto il permesso di visitare Alaa’ in carcere una volta nel 2012, quando le visite ripresero in seguito agli accordi negoziati dalle autorità egiziane il 14 maggio tra prigionieri, detenuti e autorità israeliane, accordi ottenuti in seguito allo sciopero della fame messo in atto dai prigionieri palestinesi e dalle loro famiglie. Non vedeva suo figlio da nove anni. “Quando raggiunsi il carcere ero stanca e agitata, sotto pressione per sostituirmi a Jumana che non aveva potuto esserci. Non sapevo come fare a chiedere tutte le cose che Jumana voleva sapere, avevo solo mezz’ora a disposizione: alla fine, persi i sensi, sopraffatta”. Maryam telefona ogni settimana alla Croce Rossa internazionale, per sapere se a lei o a Jumana sarà permessa un’altra visita. “Questa settimana mi hanno detto che non ci sono visite in programma. Non so se ci verrà negata la possibilità per sempre o se un bel giorno potremo fargli visita di nuovo. Mi preoccupo perché non sto molto bene. Ho problemi di alta pressione, di diabete e problemi cardiaci. Spero solo di poter vivere abbastanza da riuscire a occuparmi di Jumana finché suo padre è in carcere”.

La data prevista per il rilascio di Alaa’ è il 2021, ma Jumana spera che egli sia liberato in tempo per poter assistere alla consegna del diploma di scuola superiore. Nel 2011, quando vennero liberati 477 prigionieri palestinesi nello scambio accordato con Gilad Shalit, la famiglia Abu Jazar ha sperato invano che tra essi ci fosse Alaa’. Jumana racconta: “Cominciai a sognare a occhi aperti il ritorno a casa di mio padre. Avrei voluto accoglierlo al confine con una banda di musicisti, gli avrei cantato tutte le canzoni che ho scritto e le avrei registrate su CD, gli avrei recitato le mie poesie”.

Jumana non ha ricordi reali di suo padre; ascolta i racconti di sua nonna e lo rende parte della sua vita quotidiana. Parla alle fotografie che lo ritraggono, gli racconta la giornata scolastica, gli parla degli amici e dei risultati delle interrogazioni. Brama di poter un giorno condividere con lui tutto ciò in presenza. Alaa’ invia regali a sua figlia il più spesso possibile, tramite i prigionieri che sono stati liberati: collane e braccialetti di pietre colorate che egli stesso confeziona, quaderni che egli decora lungo i margini con fiori, uccelli e mani libere dai ceppi, che Jumana riempie di pensieri, ricordi, poesie e speranze da quando era in prima elementare. La poesia qui sotto l’ha scritta l’anno scorso, quando suo padre intraprese lo sciopero della fame che coinvolse centinaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. Jumana stessa digiunò, in solidarietà con suo padre, assumendo solo acqua e yogurt per 22 giorni.

Un nuovo giorno del tuo sciopero della fame comincia

Un mattino in cui non so quale speranza ho abbandonato

Un mattino di ulteriori tristezza e dolore

 

Papà, io spero ancora

Anche se non ho mai conosciuto la vera felicità

Papà, resisti, finché sei forte tu sono forte anch’io

Sei l’ultima speranza che mi resta

Tutti i miei cari se ne sono andati

Mia madre, mio zio, mio nonno

Sono tutti lontani da me

 

Mi negano la possibilità di toccare la tua mano o di baciarti la fronte

Procurandomi tristezza e dolore

Mi negano la possibilità di pronunciare la parola ‘papà’

Papà, mi manca non poterlo dire ogni giorno

 

Mi chiedo quando potrò parlarti e chiamarti ‘papà’

Voglio che tutti mi sentano dire, ‘papà’

Sento bambini ovunque pronunciare la parola

Che non ho mai potuto dirti

 

Papà, quando uscirai?

Verrò con te ovunque

Ti dormirò accanto e camminerò con te

Ti presenterò a tutti

Ai miei amici e ai vicini

E chiederò loro: “Ce l’avete un papà come il mio?”

 

Papà, ecco un’altra giornata di sciopero della fame

Papà, quando ti vedrò?

Papà, oggi tu mi definisci

Poiché senza te la mia esistenza non avrebbe senso

Ogni giorno bacio la tua fotografia

E so che verrà il giorno

In cui tu mi abbraccerai stretta

 

Secondo l’articolo 37 delle Regole minime standard per il trattamento dei detenuti “i detenuti devono essere autorizzati ad avere contatti con le famiglie e, nei limiti imposti dalle esigenze del trattamento, dalla sicurezza e dall’ordine e disciplina dell’istituto, con le persone e i rappresentanti di organismi esterni, e a ricevere visite di dette persone a intervalli regolari. Per incoraggiare i contatti con il mondo esterno, deve essere previsto un sistema di permessi compatibile con gli obiettivi del trattamento, che sono oggetto della parte IV di queste regole”. Ciò è supportato dal principio 19 del Corpo di principi per la protezione di tutte le persone sottoposte a qualunque forma di detenzione o restrizione, dell’Onu, dove si afferma che “una persona detenuta o carcerata ha il diritto di ricevere visite o di tenere corrispondenza con, in particolar modo, i membri della propria famiglia, e gli verrà data adeguata possibilità di comunicare con il mondo esterno”. Inoltre l’articolo 9 (3) della Convenzione Onu sui Diritti dei bambini afferma che le parti devono rispettare i diritti del bambino separato da uno o entrambi i genitori, di poter mantenere contatto personale e diretto con entrambi e con regolarità, tranne nel caso in cui ciò possa essere contrario al benessere del bambino.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice