Beit Jala-Ma’an. Alcuni cristiani palestinesi si sono scontrati con la polizia di frontiera israeliana nei pressi di Betlemme. È accaduto mercoledì 19 agosto, dopo che una dozzina di dimostranti, tra cui alcuni sacerdoti, si sono riuniti nella città cristiana di Beit Jala per protestare contro la ripresa dei lavori sulla controversa barriera di annessione israeliana.
Secondo quanto riportato da un giornalista dell’AFP i manifestanti, ai quali si sono aggiunti anche degli attivisti stranieri, si sono riuniti nella città per protestare contro la costruzione di un tratto di muro, iniziata lunedì 17 agosto, dopo anni di battaglie legali.
Tre sacerdoti cristiani si sono immersi nella preghiera tra gli alberi di ulivo che i bulldozer e le scavatrici stavano tentando di sradicare, venendo immediatamente fermati dalla polizia.
Un dimostrante è stato invece arrestato mentre stava tentando di piantare un alberello di ulivo davanti alle ruspe.
I manifestanti, durante gli scontri con la polizia, hanno intonato il coro “Israele è uno stato terrorista ma ciò non ci spaventa”.
Le missioni dell’Unione Europea a Gerusalemme e Ramallah hanno espresso la loro preoccupazione per l’inizio dei lavori di costruzione del muro presso Cremisan, facendo notare che ciò interesserà negativamente le condizioni di vita di 58 famiglie.
Israele ha iniziato la costruzione del muro in cemento e filo spinato all’interno della Cisgiordania occupata nel 2002, al culmine della seconda intifada palestinese, sostenendo che la barriera ha un’importanza cruciale per la sicurezza del paese.
La Corte Internazionale di Giustizia ha deliberato nel 2004 che la costruzione è del tutto illegale e, così come l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ne ha chiesto l’immediato smantellamento.
I palestinesi, dal canto loro, definiscono la barriera come “muro dell’Apartheid”, sottolineando che al termine dei lavori l’85% della costruzione si snoderà all’interno del territorio della Cisgiordania.
Il muro ha già completamente tagliato fuori Gerusalemme est dal resto del territorio cisgiordano.
Come riportato dall’Istituto di Ricerca Applicata di Gerusalemme, la barriera annetterà circa il 13% della superficie totale della Cisgiordania.
Tutto ciò ha causato una forte opposizione da parte della comunità palestinese locale, supportata dal sostegno del Papa, in particolare sulla costruzione del muro nei pressi di Beit Jala e della valle di Cremisan.
Il caso ha sollevato una particolare attenzione quando fu previsto di separare il monastero di Cremisan dal vicino convento e dai vigneti, così come i palestinesi del villaggio cristiano di Beit Jala dai loro uliveti.
Nel mese di aprile, l’Alta Corte israeliana ha stabilito che i lavori avrebbero dovuto arrestarsi e ha chiesto al governo di prendere in considerazione percorsi alternativi.
In seguito, però, in una nuova sentenza datata 6 luglio, la corte ha stabilito che i lavori potrebbero riprendere, sottolineando che la decisione precedente si riferiva solo ad un’area di poche centinaia di metri a fianco del monastero e del convento.
Gli abitanti di Beit Jala sono rimasti spiacevolmente sorpresi quando le ruspe israeliane hanno iniziato a sradicare gli ulivi ad est del monastero.
Essi protestano fondamentalmente contro la confisca delle loro terre e la frammentazione della loro vita, e a ciò si aggiunge il timore che il percorso del muro potrebbe preannunciare l’espansione delle vicine colonie israeliane di Gilo e Har Gilo.
Alla fine dei lavori si stima che la rete muraria di cemento, filo spinato, trincee e strade militari chiuse che separa Israele dalla Cisgiordania si estenderà per 712 chilometri.
Traduzione di Lorenzo D’Orazio