Muro: rammarico di ad-Damir per l’indifferenza internazionale

Gaza – Infopal. L’associazione per i diritti umani ad-Damir ha espresso il suo “profondo rammarico” per la continua incapacità della comunità internazionale ad agire contro le evidenti violazioni israeliane, che esprimono il disprezzo per il diritto e la giustizia internazionali.
Ad-Damir, in un comunicato stampa di cui il corrispondente di Infopal.it ha ricevuto una copia, ha dichiarato: “Oggi è il quinto anniversario del verdetto della Corte internazionale di giustizia sull’illegittimità del Muro israeliano, costruito nei Territori Occupati palestinesi in Cisgiordania, e delle conseguenze giuridiche derivate dalla sua creazione. La Corte considerò l’inizio della costruzione sia del muro che degli insediamenti una chiara violazione delle norme del diritto internazionale e dei diritti dei civili in stato di occupazione, e in particolare del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione politica ed economica; inoltre, esso violava anche il divieto categorico di annettere zone occupate, uno dei principi internazionali fondamentali che disciplinano lo stato di occupazione militare.”
L’organizzazione internazionale ha poi ricordato che, sempre in base al parere consultivo della Corte internazionale di giustizia, oltre a eliminare il muro è necessario risarcire i civili palestinesi danneggiati dalla sua presenza. Il tribunale ha respinto tutte le giustificazioni dello stato dell’occupazione, soprattutto il pretesto di dover prendere “misure di sicurezza” contro l'ingresso incontrollato di palestinesi in Israele.
Il parere della Corte avrebbe inoltre chiesto a tutti gli stati d’impegnarsi a non riconoscere la situazione illegale derivante dalla stessa costruzione del muro, in base all'articolo I della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 sulla protezione dei civili durante un conflitto armato internazionale.
Ad-Damir ha poi elencato le diverse fasi di sviluppo del Muro: nella fase A, esso si estendeva per circa 360 chilometri dal villaggio di Salem (estremo nord della Cisgiordania) fino alla città di Kafr Kassem (a sud della regione), con un’altezza da 7 a 8 metri; il pezzo edificato nella fase B si estende per circa 45 km, dal villaggio di Salem fino alla cittadina di at-Tayasir, sulla frontiera della valle del Giordano; il terzo segmento, costruito nella fase C, prosegue infine dalla colonia di Ilkna fino al Mar Morto. La sua posizione è centrale rispetto ai territori della Cisgiordania, in modo da racchiudere le colonie a ovest.
Dei tre segmenti, il terzo pare sia quello sottoposto alle misure di sicurezza più rigide, poiché consisterebbe in una spirale di filo spinato nella sua prima parte, seguita da una fossa larga quattro metri e profonda cinque, e quindi da una strada asfaltata larga 12 m (utilizzata per sorvegliare la zona) e da un’altra di terra e sabbia finissima larga 4 m (per rilevare i segni di eventuali intrusioni). L’ultima parte sarebbe invece formata da un muro di cemento, dotato di una recinzione elettronica alta più di tre metri sulla parte superiore, dove sono montati dispositivi di segnalazione, telecamere e luci di rivelazione.
A cinque anni dalle sentenze della Corte internazionale di giustizia, conclude ad-Damir, lo stato di occupazione porta avanti l’edificazione del Muro in Cisgiordania, con gli effetti collaterali catastrofici che esso comporta per ogni aspetto della vita dei civili palestinesi e per i loro diritti fondamentali: migliaia di loro vedono infatti le proprie zone di residenza tagliate fuori dalle aree vicine, e vengono limitati nella possibilità di comunicare con il mondo esterno. A questo vanno poi aggiunte le grandi confische di terreni (circa 18.700 ettari), la distruzione di molte strutture e il conseguente ostacolamento dell’approvvigionamento alimentare e del diritto all'istruzione e alla sanità.
Ad-Damir ha quindi esortato la comunità internazionale – in particolare i paesi firmatari della Quarta Convenzione di Ginevra – ad agire rapidamente per fermare l'escalation di abusi israeliani contro la popolazione civile in Palestina, e costringere la potenza occupante a rispettare il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia.

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