Nel 10° anniversario dell’occupazione israeliana, Gaza sta attraversando una profonda crisi umanitaria e politica

Betlemme-Ma’an. Al 10° anniversario dell’occupazione israeliana della Striscia di Gaza, la situazione umanitaria nella piccola enclave palestinese continua ad allarmare i gruppi che si battono per i diritti umani, che hanno denunciato “le condizioni disumane senza eguali nel mondo moderno”.

Gaza, spesso comparata ad una “prigione a cielo aperto” per i suoi 1,9 milioni di abitanti ammassati in 365 chilometri quadrati, soffre da decenni di isolamento e miseria, rese ancora peggiori da tre devastanti operazioni militari condotte da Israele e dal persistente conflitto politico interno alla Palestina.

La recente decisione dell’Autorità Palestinese di richiedere che Isreale diminusca la fornitura di elettricità nella Striscia di Gaza ha creato il forte timore che la situazione a Gaza possa raggiungere in tempi brevi un punto di rottura politico e umanitario con conseguenze imprevedibili. 

Un decennio di devastanti restrizioni.

Sei mesi dopo che Israele aveva evacuato i suoi insediamenti illegali a Gaza, nel gennaio del 2006 Hamas vinse le elezioni legislative palestinesi con una maggioranza schiacciante, conquistando 74 seggi nel Consiglio Legislativo Palestinese, mentre Fatah, che era il partito dominante dell’Autorità Palestinese (ANP), ne vinse appena 45.

All’epoca deplorate come “tsunami” dai funzionari del Fatah, le elezioni innescarono tensioni tra Hamas e Fatah, e sanzioni economiche israeliane e americane nei confronti dell’ANP, in quanto i due Paesi consideravano Hamas un gruppo terroristico.

Le tensioni culminano nella Battaglia di Gaza tra il 10 e il 15 giugno 2007, durante la quale Hamas conquistò il controllo totale del territorio costiero, e Israele impose un blocco militare su larga scala.

Da allora, le autorità israeliane hanno ristretto gravemente la libertà di spostamento dei cittadini di Gaza, pretendendo che tutti i Palestinesi, inclusi pazienti bisognosi di cure, uomini d’affari e anziani fedeli ottenessero un permesso per entrare o uscire dal valico di confine di (Beit Hanoun, ndr) Erez.

Anche l’Egitto, unico altro Stato a confinare con Gaza, ha sostenuto questo blocco da quando nel 2013 Abd al-Fattah al-Sisi ha rovesciato il governo (eletto, ndr) della Fratellanza Musulmana, diventando presidente.

Molti cittadini di Gaza sono impossibilitati a lasciare o entrare nell’enclave costiera occupata, alcune volte per mesi, dato che le autorità egiziane aprono il valico di Rafah solo periodicamente, bloccando i palestinesi da entrambi i lati del confine. Secondo le Nazioni Unite, il valico di confine è stato aperto solo 44 giorni nel 2016 e 21 nel 2015.

In oltre, l’Egitto ha di recente tentato di fare pressione al governo di Gaza per cooperare con la sua dura repressione “antiterrorismo” in cambio di elettricità, di cui c’è un disperato bisogno.

Israele ha mantenuto restrizioni severe sui beni autorizzati nell’enclave occupata, sostenendo che materiali da costruzione come il cemento, potessero essere utilizzati da Hamas e altri gruppi di resistenza palestinesi a scopi militari.

Inoltre, alcuni documenti del ministero di Difesa israeliano pubblicati nel 2012 hanno messo in luce che Israele ha posto dei limiti sui beni alimentari: nel 2010, l’importazione a Gaza di prodotti come cardamomo, cioccolata e patatine è stata proibita dal legale nell’ONG Gisha.

Nel frattempo il settore agricolo di Gaza è stato gravemente danneggiato da quelle che sono state vagamente definite “buffer zones” (zone cuscinetto, ndr) allestite sia via terra che via mare, dato che pescatori e agricoltori palestinesi rischiano la vita se si avvicinano troppo al confine o se si allontano dalla piccola “zona di pesca designata” fuori dalle coste di Gaza. 

Il persistente impatto delle tre guerre.

Negli anni, Israele ha applicato tolleranza zero nei confronti della resistenza palestinese nella Striscia di Gaza, sostenendo che i razzi lanciati sporadicamente dalla piccola enclave palestinese e i tunnel costruiti tra Gaza e Israele o Egitto, giustificassero l’imposizione di misure punitive contro Gaza.

(Secondo Israele, ndr) i tunnel posti tra Gaza e Israele sono utilizzati dai gruppi di resistenza per cercare di colpire Israele, mentre quelli con l’Egitto servono a Hamas come fonte di tasse e ingresso per armi e provviste largamente richieste dalla popolazione di Gaza inclusi cibo, farmaci e i più utili materiali da costruzione.

Il blocco, già stringente, ha visto il suo impatto moltiplicato a seguito di operazioni militari in larga scala condotte da Israele a Gaza nel giro di dieci anni, durante i quali Israele è stato accusato di uso indiscriminato di violenza, che secondo i gruppi per i diritti umani, equivale a crimine di guerra.

Durante l’“Operazione Piombo Fuso”, un’offensiva di tre settimane iniziata nel dicembre del 2008 e conclusasi nel gennaio 2009, furono uccisi 1391 palestinesi, di cui 926 civili, e più di 500 rimasero feriti, secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR). 13 israeliani furono uccisi, di cui quattro da fuoco amico, e 518 feriti.

Nel novembre 2012, l’attacco israeliano di una settimana noto come “Operazione Colonna di Nuvola”, uccise 160 palestinesi e ne ferì 1000, stando al PCHR, contro sei Israeliani morti e 299 feriti secondo fonti governative.

Eppure, il conflitto più devastante è avvenuto nell’estate del 2014, quando una guerra di sette settimane (Operazione Margine protettivo, ndr) tolse la vita a 2310 palestinesi, per il 70% civili, secondo i dati del ministero della Salute di Gaza, e oltre 10500 furono i feriti. Israele perse 72 persone cui 67 soldati e 555 israeliani rimasero feriti.

Hamas non ha rivendicato la responsabilità di alcun attacco con i razzi da quando, dopo la guerra del 2014, era stato posto un cessate il fuoco, e il movimento ha tentato di porre una stretta sull’attività armata di gruppi più piccoli che invece lanciavano razzi dal territorio di Gaza.

Ciononostante, gli ufficiali Israeliani hanno accusato Hamas di “preparare” un’altra guerra contro Israele e hanno minacciato misure di rappresaglia contro la Striscia di Gaza, attuando soprattutto attacchi aerei nel 2016 e anche in anni precedenti, mentre le autorità israeliane hanno ritenuto Hamas responsabile di tutti gli attacchi aventi come obiettivo Israele e provenienti dalla Striscia di Gaza.

Una crisi umanitaria sempre più grave.

Le tre offensive israeliane hanno provocato gravi danni all’acqua di Gaza, all’igiene, all’energia e alle infrastrutture mediche e distrutto centinaia di abitazioni, la cui ricostruzione è stata duramente frenata dalle limitazioni poste da Israele sull’importazione di materiali, come pure a causa della lenta erogazione di aiuti umanitari internazionali.

Ad Agosto dello scorso anno, circa il 50% delle abitazioni completamente distrutte durante il devastante conflitto del 2014 non erano ancora state ricostruite, mentre stando ad un report dell’ONU dell ‘Aprile 2016, 75000 palestinesi erano ancora senza casa a due anni dal conflitto.

Classificandosi come una delle più alte percentuali di disoccupazione nel mondo, con il 44%, circa 80% della popolazione di Gaza dipende dagli aiuti umanitari

Nel 2015, l’ONU aveva detto che entro il 2020, Gaza diventerà “invivibile” se non di farà nulla per migliorare la situazione, ma sviluppi recenti fanno temere che l’impoverimento degli standard di vita possa avvenire ancora prima del previsto.

Gaza ha combattuto per anni con le limitazioni di energia dovute all’accesso limitato al carburante e alle infrastrutture degradate e come se non bastasse, l’unica centrale elettrica di Gaza è stata smantellata ad Aprile, da quando funzionari che gestiscono la rete elettrica di Gaza hanno dichiarato di non potersi permettere di pagare le imposizioni fiscali sul diesel, che costano più del doppio del costo di gestione della centrale.

Di conseguenza, la popolazione di Gaza è passata da otto ore di elettricità al giorno ad appena tre o massimo quattro. Intanto, la decisione di Israele di applicare la richiesta della PA di limitare la fornitura di energia, avanzata perché la PA ha accusato Hamas di avere fallito nel trasferimento dei pagamenti per l’elettricità, potrebbe addirittura dimezzare l’accesso all’energia.

Un gruppo di 16 organizzazioni civili ha esortato le autorità israeliane a riconsiderare le limitazioni di emissione di elettricità a Gaza, criticando la decisione come “non correlata a reali esigenze di sicurezza” e “di natura politica”, perciò contro il diritto internazionale.

“Israele non può pretendere di essere l’unico fornitore di energia, rispondendo in modo neutrale alla richiesta di un cliente.Dato il suo controllo esteso sulla vita nella Striscia, Israele ha la responsabilità di consentire delle esistenze normali ai residenti”, sostiene il gruppo.

“Il pericolo per Israeliani e Palestinesi e per la regione tutta che le ostilità si inaspriscano è molto più grande di qualsiasi beneficio (politico o di altra natura) che possa essere tratto dall’attuazione di tale decisione”.

L’accesso alla sanità ha avuto un duro colpo a seguito del blocco, dei tagli all’energia e al budget del PA, mettendo a rischio le vite di centinaia di pazienti.

Micheal Lynk, Relatore Speciale dell’ONU ha dichiarato, riguardo la situazione nei territori palestinesi occupati che “Il settore sanitario è in grado di provvedere solo allo standard minimo di cure, di fatti alcuni ospedali sono stati costretti ad annullare delle operazioni, a ridurre i costi di gestione e dipendono dalle Nazioni Unite in caso di necessità di carburante per far funzionare i generatori”.

Link ha inoltre aggiunto che, dal momento che le centrali a Gaza funzionano solo al 15 % circa della possibilità a causa dei tagli all’energia, le fognature sono state versate nel Mediterraneo senza essere prima trattate.

Lynk ha messo in guardia sul fatto che il costo di beni primari, a partire dal cibo, è aumentato, mentre i continui tagli all’elettricità hanno costretto le compagnie a chiudere o a ridurre il loro orario, portando anche a un aumento della disoccupazione.

Persistente divisione politica in Palestina.

Nell’arco di un decennio, la rivalità tra Hamas e Fatah è andata avanti senza tregua, con recenti mosse da parte dell’Autorità Palestinese che hanno esacerbato le già tragiche condizioni di vita a Gaza.

Negli ultimi mesi la tensione è aumentata a causa della crisi elettrica. Ad aggravare la situazione, accuse di arresti per motivi politici sia in Cisogiordania che a Gaza, l’ANP che ha imposto tagli ai salari dei dipendenti statali di Gaza e elezioni locali tenute solo in Cisgiordania, anche se boicottate da Hamas e altri partiti.

Durante il suo decennio al potere, Hamas è stata denunciata per le sue violazioni ai diritti umani, incluso l’uso della pena di morte contro persone accusate di “collaborare” con Israele, e la repressione di voci dissidenti.

Lo scorso mercoledì, il notiziari israeliano YNET ha reso nota una dichiarazione dell’ANP che sostiene, nell’anniversario del decennio di occupazione, che Hamas è colpevole della situazione a Gaza.

“La seconda Nakba si è abbattuta sul nostro popolo” legge il giornalista, riferendosi al forzato esodo di centinaia di migliaia di palestinesi durante la creazione dello stato di Israele nel 1948.”Hamas ha trasformato Gaza in un insostenibile inferno”.

Lynk, il relatore speciale dell’ONU, ha criticato Israele, l’ANP e Hamas per avere “una diretta responsabilità nella crisi”, e li ha esortati ad agire nell’interesse dei residenti di Gaza.

“Li ho invitati a mettere da parte le loro differenze, a tener fede ai loro obblighi morali e politici ed assicurare i fabbisogni energetici, affrontando immediatamente i gravi problemi delle infrastrutture”, ha aggiunto.

“Tenere Gaza in una paralisi economica e socialmente isolata è una ricetta per un rischio umanitario e di un ennesimo conflitto in un futuro prossimo.I diritti di libertà e sicurezza andrebbero rispettati al fine di raggiungere la pace”, ha concluso.

Mentre Robert Piper, Coordinatore Umanitario delle Nazioni Unite per i territori occupati in Palestina, ha caratterizzato la crisi a Gaza, che peggiora di giorno in giro come una disputa interna alla Palestina, i gruppi che si battono per i diritti umani attribuiscono il grosso della colpa all’occupazione israeliana.

B’Tselem, ONG israeliana, ha incolpato l’occupazione per aver messo Gaza “nel vortice di un disastro umanitario”, aggiungendo che Israele sta “consegnando gli abitanti di Gaza all’assoluta povertà sotto condizioni senza pari nel resto del mondo”.

“Non si tratta di un disastro naturale,” aggiunge B’Tselem. “Fosse stato questo il caso, Israele avrebbe volentieri inviato aiuti umanitari.La realtà è che Gaza è il risultato di un lavoro manuale di Israele, ottenuto dal suo decennale abbrutimento di politiche”.

Traduzione di Ada Maria De Angelis