I neopalestinesi

Memo. Di Anis Fawzi Qasim. «Neopalestinesi» non è un’imitazione di «neoconservatori», la cerchia interna alla destra americana che considera giusta la forza e che si è sviluppata durante la presidenza Bush junior. Il termine si riferisce invece alla realtà attuale dei palestinesi. I vecchi palestinesi erano soliti affrontare i progetti nazionali con franchezza e onestà, e possedevano una capacità comunicativa molto sviluppata. Più importante ancora, si appassionavano ai problemi della gente e agli affari nazionali.
I neopalestinesi, al contrario, cercano di monopolizzare il potere nelle questioni nazionali, agiscono con arroganza, melliflui con il popolo, manipolano le parole dichiarando il contrario di ciò che in realtà vogliono dire. Sono diventati i più odiati dalla loro gente. L’esempio più recente delle lusinghe dei neopalestinesi è ciò che loro chiamano la bozza di risoluzione per presentarsi al Consiglio di sicurezza dell’Onu (composta senza aver preso in considerazione i soliti riferimenti palestinesi), al fine di far ritirare Israele dai territori palestinesi occupati.
Vale la pena ricordare che ci sono diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e dell’Assemblea generale, così come di molti altri gruppi arabi, islamici e non allineati, che chiedono il ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati. Queste risoluzioni sono ancora sulla carta, finite nel cestino dei rifiuti del governo israeliano. Quindi, come potrà differenziarsi una nuova risoluzione da tutte le precedenti, considerato soprattutto che i neopalestinesi non hanno insistito sul fatto che la loro bozza debba accordarsi al Capitolo VII dell’atto costitutivo delle Nazioni unite per poter essere vincolante?
Il contenuto della risoluzione suggerisce una riflessione dei neo-palestinesi. Nel 1988 la leadership palestinese si riunì e lanciò una campagna mediatica per annunciare che il Consiglio nazionale palestinese avrebbe tenuto una conferenza in Algeria, al fine di annunciare la fondazione dello Stato palestinese. La conferenza si tenne e i leader si abbracciarono l’un l’altro quando lo Stato palestinese venne annunciato: il pubblico pianse, e si ebbe un riconoscimento internazionale dello Stato appena dichiarato. Scoprimmo più avanti che tutto ciò fu solo un modo per riconoscere la risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza dell Nazioni unite, pubblicata il 22 novembre 1967, che l’Olp rifiutò allora categoricamente, dichiarandosi per nulla interessato ad essa.
Ora il progetto dei neopalestinesi è andare al Consiglio di sicurezza dell’Onu per ottenere una risoluzione che chieda a Israele il ritiro dai territori palestinesi entro la fine del 2017. I neopalestinesi devono rendersi conto di quanto sia futile e condannata all’insuccesso questa mossa, dato l’appoggio indiscusso dell’America che garantisce a Israele l’occupazione continua della Palestina. In realtà questa mossa è un tentativo dei neopalestinesi di riprendere i negoziati senza insistere sulla fine dell’espansione degli insediamenti: per essere più precisi, è un tentativo di far rivivere il progetto di John Kerry, che non ha dato alcun risultato nell’aprile 2014, e che è anzi terminato con ulteriori concessioni dei palestinesi.
Non c’è abbastanza tempo per discutere nei dettagli la bozza della risoluzione, ma voglio soffermarmi a commentare alcuni dei passaggi principali. Dopo 13 articoli introduttivi sui fondamenti logici, che comprendono un’illogico riepilogo di molte risoluzioni dell’Onu, soprattutto la 181 (su Israele Stato ebraico), la bozza «afferma il bisogno urgente di approdare, non più tardi di 12 mesi dopo dopo l’adozione della risoluzione, a una soluzione pacifica, giusta, duratura ed esauriente che ponga termine all’occupazione israeliana del 1967, e che soddisfi la visione dei due Stati indipendenti, democratici e prosperi, Israele e lo Stato sovrano palestinese, che possano vivere contigui e in pace…». Solamente un anno dopo l’adozione della risoluzione si raggiungerà una «soluzione pacifica e giusta», il cui prodotto sarà «la fine dell’occupazione israeliana». Questo mi ricorda la proposta del segretario di Stato Usa, che, nell’estate 2013, disse che «entro 9 mesi» tutte le questioni in sospeso tra israeliani e palestinesi si sarebbero risolte. I 9 mesi passarono, ma non si approdò a nulla, se non a un’ulteriore insediamento illegale israeliano.
I neo-palestinesi accettarono la promessa di Kerry nel 2013, e abbandonarono le precondizioni alle quali si erano appellati dal 2010, cioè che «i negoziati non sarebbero ripresi finché gli insediamenti non si fossero fermati». I neopalestinesi credevano di riuscire a ottenere ciò che a Kerry non era riuscito, semplicemente proponendo la questione al Consiglio di sicurezza, che sottosta al veto americano? O questo sarebbe stato un nuovo tentativo di far passare il progetto fallito? Prima di proseguire ripeto che la bozza di risoluzione promette di ottenere il ritiro e una giusta soluzione, ma questo è solo un modo in più di gettare polvere negli occhi della gente, poiché sarebbe da ingenui credere che il ritiro di Israele avverrà entro il 2017.
La bozza di risoluzione si rivela semplicemente un ulteriore trucco tramite il quale i neopalestinesi vogliono riprodurre il progetto di Kerry. Le delegazioni arabe, guidate dal segretario generale della Lega araba, si precipitarono a New York per fornire alla proposta dei neopalestinesi una foglia di fico, sperando che questa nuova «esca» avrebbe nascosto le altre clausole della risoluzione, che contraddicono la prima.
La seconda clausola nella bozza di risoluzione insiste sul fatto che «la soluzione negoziata si baserà sui seguenti parametri»: ciò contraddice la prima clausola, che sostiene il ritiro, 12 mesi dopo l’adozione della risoluzione, di Israele e la fine dell’occupazione. Cosa ci sarebbe da negoziare a ritiro ultimato? La seconda clausola elenca i parametri su cui questi negoziati si baserebbero, e uno di questi sarebbe l’organizzazione della sicurezza, la stessa organizzazione menzionata da Kerry nella sua iniziativa. La disputa era incentrata sulle scadenze desiderate dagli israeliani e su quelle desiderate dai neopalestinesi. Inoltre, i neopalestinesi promettono di assicurare la sicurezza di Israele «prevenendo il terrorismo», ma come possono garantire ciò, soprattutto considerato che gli Usa, con tutto il potere e la competenza, non sono in grado di farlo, e dopo aver combattuto una sanguinosa guerra in Afghanistan e in Iraq, stanno ora combattendo i terroristi in Somalia e nello Yemen, oltre allo Stato islamico nella Siria nord-orientale e in Iraq? C’è un qualche documento, o clausola, nella quale i neopalestinesi chiedono a Israele di impedire ai coloni di continuare con i rapimenti o con il dare fuoco a un altro Mohammed Abu Khudair? E’ come se loro non si accorgessero del terrorismo di Stato di Israele, messo in atto contro i palestinesi di Gaza, l’ultima volta negli attacchi del luglio 2014. Chi deciderà quale terrorismo sia da combattere e quali sono le sue caratteristiche fondanti?
Questa clausola rappresenta il peggior pericolo che i neo-palestinesi stanno cercando di promuovere con la loro proposta; essa evita di dire che la loro stessa gente ha sofferto sfollamenti, pulizia etnica e massacri. Invece, i neopalestinesi, deliberatamente o per caso, si sono aggiunti alle file israeliane dichiarando il loro stesso popolo la maggior minaccia per Israele, anziché descriverlo come vittima di Israele nel corso degli ultimi settant’anni. Questa negazione dei diritti dei palestinesi è una vergognosa sottomissione agli israeliani e agli europei. La dignità nazionale rifiuta tali azioni, che non rappresentano i veri sentimenti dei palestinesi.
Un altro parametro proposto dai neopalestinesi è «una giusta e condivisa soluzione della questione dei profughi palestinesi, basata sull’Iniziativa di pace araba, sul diritti internazionale e sulle risoluzioni dell’Onu pertinenti, compresa la 194 (III). «Essa non concede il diritto al ritorno per i rifugiati? Il diritto al ritorno è stato legittimato nella risoluzione 194 ed è stato ribadito oltre 100 volte dall’Assemblea generale, fino a diventare parte integrante del diritto internazionale, che lega tutti i Paesi senza che sia necessaria una legislazione nazionale per la sua applicazione. Però, affermando che il diritto al ritorno debba «basarsi sulla risoluzione 194», i neopalestinesi lo considerano un diritto legale affinché la risoluzione stessa venga applicata, non chiedono che venga messo in pratica «secondo la risoluzione». I neopalestinesi oserebbero mai concedere ai palestinesi il più sacro diritto individuale? Se sì, avrebbero l’autorità per farlo? E chi darebbe loro tale autorità?
In quanto a Gerusalemme, la risoluzione, incautamente e imprudentemente stipula che «Gerusalemme sarà una capitale indivisa per entrambi gli Stati». Ora i neopalestinesi devono spiegare al loro popolo da dove hanno preso quest’idea, quando tutte le risoluzioni pubblicate dal comitato nazionale e dal Comitato esecutivo dell’Olp, oltre che da tutte le dichiarazioni della leadership palestinese, indicano che Gerusalemme è la capitale dello Stato palestinese. In ogni modo, a quale Gerusalemme si riferiscono? A quella intera, est e ovest, o Gerusalemme est viene data a Israele e la est ai palestinesi, o entrambe condivise da noi e loro? I signori neopalestinesi devono sapere che da quando venne occupata nel 1967, Gerusalemme est è di fatto un territorio occupato sul quale molte risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale dell’Onu sono state pubblicate, e su cui anche il Tribunale di giustizia internazionale ha emesso un’opinione consultiva nel 2004. Se la terra è considerata occupata dal mondo intero, come può essere concessa? Chi ha l’autorità di fare tale concessione?
Il parametro finale proposto dai neo-palestinesi nella loro risoluzione è che «una accordo su questioni rilevanti, compresa l’acqua» è stato raggiunto. La questione dell’acqua non è nemmeno una «questione rilevante», è una questione di vita o di morte per la Palestina. Gli israeliani hanno rubato questa risorsa nazionale dall’occupazione del 1967, rendendola inaccessibile ai contadini palestinesi, o accessibile solo in minima parte. Quando gli israeliani rubarono il petrolio del Sinai, poi compensarono l’Egitto per il furto di questa risorsa nazionale, dopo dopo le richieste degli egiziani, che erano consapevoli dei loro diritti. L’acqua palestinese è una risorsa nazionale, e la questione dell’acqua viene messa sullo stesso piano di Gerusalemme e delle colonie, mentre il consumo idrico medio di un palestinese è appena di due terzi di quello minimo deciso dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il consumo medio dei coloni israeliani è di circa quattro volte quello dei palestinesi, e l’acqua che loro utilizzano è in gran parte di proprietà palestinese. Nemmeno la condivisione dell’acqua dei palestinesi, sottolineata nei secondi accordi di Oslo, è seguita dagli israeliani.
Con una popolazione in crescita, i neopalestinesi dovrebbero riconoscere l’importanza dell’acqua, in quanto risorsa nazionale e diritto sovrano dei palestinesi in base alle risoluzioni internazionali. Oltre a questo, i neopalestinesi dovrebbero sapere che il primo ordine militare israeliano sull’acqua in Cisgiordania venne emesso il 7 giugno 1967, durante la guerra dei sei giorni, il che prova che era nelle loro intenzioni rubare le riserve acquifere palestinesi sin dall’inizio dell’occupazione. I neopalestinesi devono rendersi conto che il loro popolo ha bisogno di acqua più di quanto gli israeliani necessitino sicurezza, in quanto i palestinesi non hanno risorse acquifere escluse le acque di falda, e Israele è uno Stato nucleare a braccetto di Stati Uniti ed Europa. Devo anche aggiungere che il muro dell’apartheid, non toccato nella risoluzione dei neopalestinesi, è stato costruito per assicurare che le riserve d’acqua sotterranee della Cisgiordania andassero a cadere nella parte israeliana.
Quindi, cari neopalestinesi, abbiamo sperimentato il vostro genio con gli accordi di Oslo, più dannosi per i palestinesi del mandato britannico e del Piano di partizione delle Nazioni unite. Gli accordi, soprattutto la Dichiarazione di principi e Oslo 1 e 2, sono una pura creazione israeliana. Nonostante ciò, Israele non ha voluto e non è stato capace di rispettare le condizioni decise da sé. Solo in base a ciò, come potete ottenere il ritiro di Israele e un accordo finale, giusto o ingiusto che sia? Finitela di fare i nuovi orientalisti; questa è la Palestina, non una fattoria della periferia di Gerico.
Traduzione di Stefano Di Felice