‘Nessuna pace in Medio Oriente per almeno 10 anni’. Parola di Lieberman

Al-Quds (Gerusalemme) – Afp. “Prima di raggiungere un accordo di pace con i palestinesi, dovranno trascorrere ancora almeno dieci anni”, ha affermato Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri dello Stato d'Israele e leader della destra estremista a sostegno della colonizzazione della Palestina.

“Credo che gli attuali livelli di cooperazione economica e quelli in materia di sicurezza (con i palestinesi) siano soddisfacenti e sostengo che siano proprio questi i campi in cui proseguire nelle relazioni a partire dal posticipo – di almeno dieci anni – di una soluzione politica”.

“Non è plausibile forzare un processo politico. Dovremmo procedere semmai per gradi. Ribadisco che i due Paesi, le due entità stringono rapporti esclusivamente su questi tre livelli: politico, di sicurezza ed economico”.

“Come strada intermedia, oggi abbiamo bisogno di un accordo di lungo termine”, ha aggiunto Lieberman, che negli scorsi incontri di pace con i palestinesi aveva ricoperto un ruolo prominente al fianco del premier Benjamin Netanyahu.

Lieberman ha ammesso di non intravedere alcuna “predisposizione, intenzione, prontezza e nemmeno disponibilità”, da parte dell'attuale leadership palestinese, rispetto alle possibilità di intraprendere un vero processo politico di pace: “Pensano di poter raggiungere i propri obiettivi per mezzo della comunità internazionale e senza alcun'intesa (con Israele). Questa è la loro strategia”.

Quando, all'interno di questa intervista, è stato chiesto al ministro degli Esteri israeliano quali siano, a suo parere, i punti di forza a sostegno della pace, egli ha ribadito: “Rafforzare i rapporti economici e la cooperazione in materia di sicurezza. Il coinvolgimento internazionale viene dopo, perché da esso derivano troppe aspettative e da queste nascono frustrazioni che conducono a violenza e scontri.

“Troppi sforzi, discussioni e fin troppo coinvolgimento da parte di tutta la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, il Quartetto diplomatico per il Medio Oriente e terzi”.

Per Lieberman, questioni quali “rifugiati palestinesi, status di al-Quds (Gerusalemme) e riconoscimento d'Israele in qualità di Stato ebraico, non sono altro che aspetti di “natura emozionale del conflitto”.

“E' estremamente difficile trovare una soluzione a queste questioni”.

“Il riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese è contrario a tutti gli accordi sottoscritti e credo che qualora dovessero proclamarlo in questa maniera, per i palestinesi le perdite saranno maggiori dei profitti” e aggiunge: “In fondo, l'Autorità nazionale palestinese non potrebbe esistere senza l'assistenza di Israele”.

Colloqui diretti per raggiungere un'intesa e un accordo di pace tra le parti furono avviati lo scorso 2 settembre, per arenarsi da lì a breve in concomitanza della scadenza – e il mancato rinnovo – della moratoria sulle attività edilizie (insediamenti, ndr) di Israele nei Territori palestinesi occupati, il 26 settembre.

Allora, i palestinesi si erano rifiutati di riprendere i negoziati senza una proroga sulle attività edilizie in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

Dopo vani tentativi e dietro laute concessioni, anche gli Stati Uniti avevano annunciato pubblicamente (7 dicembre) di aver fallito nell'ottenere da Israele un'estensione della moratoria.

Un riluttante Netanyahu aveva poi accettato la proposta Usa di un'estensione di tre mesi, ma solo dietro garanzie scritte da parte americana.

L'invio di George Mitchell, inviato speciale Usa per la pace in Medio Oriente per sondare le possibilità di una ripresa di colloqui, questa volta in privato, aveva incontrato la reiterata richiesta palestinese “Israele deve fermare le costruzioni edilizie”.

L'ultimo sviluppo pochi giorni fa, quando il premier israeliano aveva fatto sapere che il discorso sul congelamento edilizio era caduto perché gli Usa aveva rinunciato a porre condizioni.

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