‘Niente pace senza Hamas’.

NIENTE PACE SENZA HAMAS

Di Mahmud al-Zahar, The Electronic Intifada, 17 Aprile 2008[1]

Il progetto ragionevole, da parte dell’ex Presidente degli Stati 
Uniti Jimmy Carter, di incontrare questa settimana i capi di Hamas, 
porta un contributo di onestà e di pragmatismo alle vicende del Medio 
Oriente e, nello stesso tempo, evidenzia il fatto che la politica 
americana è giunta ad un punto morto. Il Segretario di Stato 
Condoleezza Rice agisce come se pochi ritocchi qui e lì rendessero 
meno odiosa la camicia di forza dell’apartheid. Mentre la Rice 
persuade le forze di occupazione israeliane a tagliare poche dozzine 
di insignificanti blocchi stradali dai più di 500 posti di blocco 
della Cisgiordania, queste stesse forze strangolano i rifornimenti di 
carburante di Gaza; tengono sotto assedio un milione e mezzo di 
persone; approvano progetti di insediamenti illegali in Cisgiordania; 
e attaccano Gaza City con gli aerei F-16, uccidendo uomini, donne e 
bambini. Tristemente, è la "solita storia" dei palestinesi.

L’attacco della scorsa settimana al deposito di carburante di Nahal 
Oz, non dovrebbe sorprendere gli osservatori occidentali. I 
palestinesi stanno combattendo una guerra totale intrapresa contro di 
noi da una nazione che si mobilita contro il nostro popolo con ogni 
mezzo a sua disposizione – da un esercito ad alta tecnologia allo 
strangolamento economico, dalla falsificazione della storia ad una 
magistratura che "legalizza" le infrastrutture dell’apartheid. La 
resistenza rimane la nostra sola opzione. Sessantacinque anni fa, gli 
ebrei coraggiosi del ghetto di Varsavia si sollevarono a difesa del 
proprio popolo. Noi cittadini di Gaza, che viviamo nella più grande 
prigione a cielo aperto del mondo, non possiamo essere da meno.

L’alleanza Stati Uniti-Israele ha cercato di negare i risultati delle 
elezioni del Gennaio del 2006, quando il popolo palestinese ha 
affidato al nostro partito il compito di governare. Centinaia di 
osservatori indipendenti, tra cui lo stesso Carter, hanno dichiarato 
che queste sono state le elezioni più regolari mai avvenute nel Medio 
Oriente arabo. Tuttavia gli sforzi di sovvertire la nostra esperienza 
democratica comprendono anche il colpo di stato americano che ha 
creato il nuovo modello settario di Fatah e la guerra permanente – 
assieme al rafforzamento dell’assedio – contro i cittadini di Gaza.

Ora, finalmente, abbiamo il sostegno benaccetto di Carter, che dice 
quello che direbbe ogni pensatore indipendente e integro: che nessun 
"piano di pace" o "road map" possono avere successo, a meno che ci 
venga permesso di sedere al tavolo dei negoziati senza pre-condizioni.

L’escalation di violenza attuata da Israele a partire dalla 
"conferenza di pace" di Annapolis dello scorso Novembre, è stata 
coerente con la sua politica di illegale, e spesso mortale, punizione 
collettiva – in violazione delle convenzioni internazionali. Gli 
attacchi aerei degli israeliani contro Gaza hanno ucciso da allora 
centinaia di palestinesi con l’approvazione risoluta della Casa 
Bianca; solo nel 2007 la proporzione tra palestinesi e israeliani 
uccisi è stata di 40 a 1, da quella di 4 a 1 durante il periodo dal 
2000 al 2005.

Solo tre mesi fa ho seppellito mio fratello Hussam, che studiava 
finanza al college e che voleva diventare commercialista; egli è 
stato ucciso da un attacco aereo. Nel 2003, ho seppellito Khaled – il 
mio primogenito, dopo che un aereo F-16 che voleva colpirmi ferì mia 
figlia e mia moglie e distrusse l’edificio dove vivevamo, ferendo e 
uccidendo molti dei nostri vicini. L’anno scorso, è stato ucciso mio 
genero.

Hussam aveva solo 21 anni ma, come la maggior parte dei giovani di 
Gaza, era cresciuto prima del tempo. Quando avevo la sua età, volevo 
diventare un chirurgo; negli anni ’60 eravamo già profughi ma allora 
non c’erano blocchi umilianti. Ma adesso, dopo decenni di 
incarcerazioni, uccisioni, vita da apolidi e povertà, ci domandiamo: 
che pace può esserci se prima non viene riconosciuta la nostra 
dignità? E da dove viene la dignità se non dalla giustizia?

Il nostro movimento continua a lottare perché non possiamo permettere 
che il crimine fondatore che sta alla base dello stato ebraico – 
l’espulsione violenta dalle nostre terre e dai nostri villaggi che ci 
ha fatto diventare dei profughi – scivoli via dalla coscienza del 
mondo, e venga dimenticato o escluso dai negoziati. Il giudaismo – 
che ha dato così tanto alla cultura umana grazie ai suoi antichi 
legislatori e ai moderni fautori del tikkun olam[2], ha corrotto se 
stesso degenerando in sionismo, nazionalismo e apartheid.

Un "processo di pace" con i palestinesi non può fare neppure il più 
piccolo passo in avanti fino a quando Israele non si ritirerà nei 
suoi confini del 1967; non smantellerà tutti gli insediamenti; non 
rimuoverà tutti i soldati da Gaza e dalla Cisgiordania; non ripudierà 
la sua illegale annessione di Gerusalemme; e non toglierà in modo 
permanente il blocco ai nostri confini internazionali, alle nostre 
coste e al nostro spazio aereo. Questo fornirebbe il punto di 
partenza per giusti negoziati e getterebbe le basi per il ritorno di 
milioni di profughi. Considerato quello che abbiamo perso, si tratta 
del solo punto di partenza per tornare ad essere di nuovo integri.

Sarò eternamente orgoglioso dei miei figli, e ne sento la mancanza 
ogni giorno. Li immagino come [futuri] padri ovunque, anche in 
Israele, e penso ai loro figli – come ragazzi innocenti, come 
studenti curiosi, come giovani uomini di illimitato potenziale – non 
come "banditi" o come "militanti". Ma meglio che siano i difensori 
del proprio popolo che complici della propria finale espropriazione; 
meglio che siano attivi nella lotta palestinese per la sopravvivenza 
che testimoni passivi del loro soggiogamento.

La storia ci insegna che ogni cosa è in divenire. La nostra lotta per 
sanare i crimini del 1948 è appena iniziata, e le avversità ci hanno 
insegnato la pazienza. Mentre per quanto riguarda lo stato israeliano 
e la sua cultura spartana della guerra permanente, esso è fin troppo 
vulnerabile al tempo, alla fatica e alla demografia; alla fine è 
sempre un problema di posterità: i nostri figli, e coloro che 
verranno dopo di noi.

Mahmud al-Zahar, chirurgo, è uno dei fondatori di Hamas. E’ il 
Ministro degli Esteri del governo del Primo Ministro Ismail Haniyeh, 
che è stato eletto nel Gennaio del 2006. Questo articolo è stato 
originariamente pubblicato sul Washington Post.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile 
all’indirizzo: http://electronicintifada.net/v2/article9469.shtml
[2] Il tikkun olam è un’espressione ebraica che può essere tradotta 
con "riparare il mondo" o "perfezionare il mondo". Nel pensiero 
ebraico, è "l’impegno affinché il mondo non sia guidato dai valori 
dell’ego, malvagi e materialisti, ma dalla rivelazione spirituale 
secondo la quale siamo un tutto indivisibile" (http://
www.gazzettadisondrio.it/14898-mai_insieme__1_.html ).

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