“Noi cristiani di Palestina diciamo Allahu Akbar”

downloadRT. L’unico vescovo palestinese cristiano- ortodosso in Terra Santa parla della sofferenza dei cristiani di Palestina, della loro unità coi musulmani nella lotta palestinese, dei martiri cristiano-ortodossi, e dell’Ucraina.

L’arcivescovo Sebastia Theodosios (Atallah Hanna), quarantanovenne, è l’unico vescovo ortodosso palestinese a Gerusalemme e in Terra Santa, mentre gli altri vescovi del Patriarcato di Gerusalemme sono greci. Le autorità israeliane l’hanno detenuto diverse volte, o bloccato al confine, sequestrandogli il passaporto. Tra tutti i sacerdoti di Gerusalemme è l’unico che non ha il privilegio di passare attraverso l’imbarco VIP in aeroporto a causa della sua nazionalità. “Per le autorità israeliane, io non sono un vescovo, piuttosto un palestinese”, spiega sua Beatitudine. Quando parla al telefono, dice molte delle parole normalmente pronunciate da un musulmano: “Alhamdulillah, insha’Allah, Masha’allah“. Parla l’arabo, e la parola araba ‘Allah significa Dio, tanto per i cristiani, quanto per i musulmani.

Sua beatitudine, cosa significa essere un vescovo palestinese in Terra Santa?

Innanzitutto, mi piacerebbe confermare che io sono il solo vescovo palestinese del Patriarcato ortodosso di Gerusalemme. C’è un altro vescovo che opera nella città di Irbid, nel nord della Giordania, e vi sono diversi altri preti palestinesi. Sono orgoglioso di appartenere a questa grande istituzione religiosa vecchia più di duemila anni. La mia chiesa ha protetto i cristiani presenti in Terra Santa, e gli oggetti sacri legati alla vita di Cristo e alla storia della sua Chiesa. Sono fiero della mia religione e della mia nazionalità. Fiero di appartenere alla mia patria. Sono palestinese e faccio parte di quella gente religiosa che sta combattendo per amore della libertà e della dignità per ottenere i propri sogni e i diritti nazionali. Sono al fianco dei palestinesi e condivido la loro causa e le loro rivendicazioni. Noi cristiani-ortodossi di Palestina non siamo indifferenti alle loro difficoltà. La questione palestinese è un problema che riguarda noi tutti, cristiani e musulmani. È il problema di ogni individuo libero che aspira alla giustizia e alla pace in questo mondo. Noi cristiani di Palestina soffriamo assieme al resto dei palestinesi a causa dell’occupazione e delle difficoltà della nostra situazione economica. Cristiani e musulmani soffrono allo stesso modo, senza alcuna differenza. Noi tutti viviamo le medesime complesse circostanze, e superiamo le stesse difficoltà.  In qualità di chiesa, e di singoli individui, proteggiamo questa gente, sperando che venga il giorno in cui i palestinesi otterranno libertà e dignità.

Per chi viene a visitare la Terra Santa sono poche le opportunità di vedere quanto dura sia la situazione dei palestinesi. Cosa vorrebbe dire a quanti si augurano di meglio comprendere la questione palestinese?

Le autorità israeliane trattano i palestinesi in un modo che non possiamo accettare né approvare, prima di tutto perchè vengono trattati come stranieri, come se noi fossimo stranieri nella nostra terra. I palestinesi non sono mai stati estranei né a Gerusalemme, né all’intera patria. Israele è una forza d’occupazione che ci tratta come fossimo dei visitatori o dei residenti temporanei. Invece noi siamo i nativi di questa terra. Non siamo venuti qui, ci siamo sempre stati. Al contrario, é Israele che è apparso all’improvviso. Ci stanno trattando come se fossimo qui venuti da altrove, come se ci fossimo stabiliti in questa terra di recente e per caso. Non ci siamo introdotti in Israele, è Israele che s’è introdotto nelle nostre vite nel 1948, e nel 1967 ha occupato Gerusalemme Est. Siamo qui da molto prima di Israele. E quando questo è venuto, i nostri padri vivevano qui da molti secoli. È  per questo che non possiamo accettare che Israele ci tratti come stranieri nella nostra patria. Devo essere onesto e dirlo nuovamente: cristiani e musulmani subiscono la medesima sofferenza dalle autorità israeliane.

Visitare Gerusalemme è difficile tanto per un cristiano palestinese proveniente dalla Cisgiordania quanto per un musulmano?

Loro non chiedono se una persona che arriva a Gerusalemme da Beit Jala o Ramallah sia cristiana o musulmana. L’unica cosa che chiedono è: hai un permesso per entrare a Gerusalemme o no?
Concedere ad un palestinese l’ingresso a Gerusalemme viene stabilito da Israele. Nessuno può entrare senza. Adottando la sua politica razzista nei confronti dei palestinesi, Israele ignora le differenti confessioni. Noi tutti veniamo presi di mira allo stesso modo. Tutto dipende da un lasciapassare, che tu sia cristiano o musulmano. Siamo tutti presi di mira. Ancora di più, Israele assume il controllo di diverse proprietà della Chiesa cristiano-ortodossa, interferendo nei suoi affari interni. Esercitano pressione sui cristiani di Palestina in ogni modo, tentando di obbligarli ad andare via. La causa delle sofferenze di cristiani e musulmani in Terra Santa è una sola.

Il recente attacco alla rivista satirica francese ha innescato un’ondata di cortei anti-musulmani in Europa. Netanyahu ha sfliato alla testa di un simile corteo. Come si rapporta a quanto accaduto?

Noi denunciamo gli attacchi di Parigi commessi da gente che presumiblmente rappresenta una particolare religione. Questi, però, non rappresentano alcuna religione. Sono assassini. Tale attacco è stato commissionato da gente che dichiara di aver fede, ma in realtà non rappresenta l’islam, né può agire in suo nome. È soltanto gente che danneggia l’immagine dell’islam con le sue azioni. Allo stesso tempo, così come denunciamo gli attacchi terroristici in Siria ed Iraq, così denunciamo quelli di Parigi. Coloro i quali hanno commissionato gli attentati di Parigi e di altri luoghi, appartengono allo stesso gruppo che semina il terrore in Siria ed Iraq, attaccando luoghi sacri, dissacrando le chiese, e rapendo i capi religiosi. Essi attaccano donne e bambini in Siria, Libano ed Iraq. Abbiamo assistito all’atto terroristico compiuto due giorni fa a Tripoli di Libano, in cui decine di innocenti seduti in un caffè sono morti. Noi condanniamo gli attentati di Parigi, così come ogni altro attentato in qualsiasi parte del mondo. Siamo fermamente contrari all’idea di collegare tali attacchi all’islam. Attualmente, ci stiamo preparando ad una conferenza internazionale, alla quale prenderanno parte figure religiose -cristiani, musulmani, ed ebrei- provenienti da diversi paesi, per affermare che noi, rappresentanti delle tre religioni monoteistiche, siamo contro il terrore, il fanatismo e la violenza usati in nome della religione. La conferenza dovrebbe svolgersi ad Amman, in Giordania.

Ad un orecchio occidentale, Allahu Akbar suona come una minaccia. Cosa ne pensano i cristiani di Terra Santa?

Anche noi cristiani diciamo Allahu Akbar. Questa é un espressione che ci fa capire che Dio é grande. Non vogliamo che venga associata al terrorismo e ai crimini, e ci rifiutiamo che tali parole vengano collegate a massacri ed omicidi. Siamo contrari al suo uso in tali contesti. Quelli che lo fanno, insultano la propria religione e i propri valori religiosi. Chi usa tali parole mentre compie azioni non religiose, non spirituali, non civili, danneggia la religione. Allahu Akbar è una delle espressioni della nostra fede. Nessuno deve utilizzarla per compiere azioni non legate alla religione e per giustificare violenza e terrore.

La gente pronuncia Allahu Akbar in chiesa?

Certamente. Per noi Allah non è un termine islamico, bensì la parola usata in arabo per indicare il Creatore che ha fatto il mondo in cui viviamo. Dunque, quando diciamo Allahu Akbar nelle nostre preghiere, intendiamo il Creatore di questo mondo. Nelle nostre preghiere, e nelle cerimonie cristiano-ortodosse usiamo esattamente questa parola. Diciamo sia gloria ad Allah, ed è sbagliato pensare che la parola Allah sia usata soltanto dai musulmani. Noi arabi cristiani diciamo Allah nella nostra lingua in modo tale che i nostri fedeli identifichino il Creatore.

E riguardo a Cristo? È stato il solo a provocare una spaccatura religiosa in Terra Santa? Cristiani e musulmani riconoscono che Gesù Cristo è nato, ed attendono la sua seconda venuta ed il giorno del giudizio. Gli ebrei invece lo negano, e aspettano il loro Messiah

Noi cristiani crediamo che Gesù sia già venuto. Abbiamo da poco celebrato il Natale e ricordato che Gesù è venuto a questo mondo, è nato a Betlemme, e ha intrapreso il suo cammino in Terra Santa per amore del genere umano, e per la salvezza del mondo. Dunque, per quel che ci riguarda, Gesù è già venuto. Gli ebrei credono che non sia ancora arrivato, ed attendono la sua venuta. Questo è il disaccordo principale tra loro e noi. Noi crediamo che Gesù sia già venuto, loro no. Nonostante ciò, non siamo in guerra con gli ebrei. Non vogliamo aggredire né loro, né chiunque altro al mondo, sebbene le differenze delle nostre convinzioni. Preghiamo per quanti sono in disaccordo con noi. Quando Gesù è venuto a questo mondo, non ci ha detto di odiare, ignorare, o essere in guerra con uno o l’altro, né ci ha detto di uccidere questo o quello. Ci ha dato una semplice istruzione: amarci l’un l’altro. Quando ci ha detto di amarci, tale amore non era condizionato dall’essenza o dalle azioni di una persona. Se siamo davvero cristiani, nostro compito é amare tutti gli uomini, e trattarli positivamente e con amore. Quando vediamo qualcuno peccare, essere perduto o distante da Allah e dalla fede, é nostro dovere pregare per lui, anche se diverso da noi e dalla nostra religione. Quando abbiamo disaccordi religiosi con qualcuno, noi preghiamo Allah perché li guidi sulla retta via. L’odio, la rabbia, le accuse di avere una fede sbagliata non fanno parte della nostra etica cristiana. Questo è il punto chiave di disaccordo tra la religione ebraica e la nostra. L’ebraismo esisteva prima di Cristo, é la religione di chi attende la sua venuta. Molti ebrei lo seguirono, ma ci fu chi non gli credette, e lo respinse. Sappiamo che Gesù venne perseguitato, così come lo furono i primi cristiani. Re Erode, per esempio, uccise migliaia di bambini a Betlemme pensando che Gesù fosse in mezzo a loro. Il libro degli Atti degli Apostoli, così come la tradizione sacra, parlano di numerosi casi di persecuzione a danno dei primi cristiani. Nonostante ciò, vediamo chiunque rifiutare di essere nostro fratello. Allah ha creato tutti noi, ci ha dato la vita, ed è nostro dovere amare ogni persona e pregare per coloro che sono in errore, in modo tale che Allah li guidi sulla retta via.

È per questo che cristiani e musulmani vengono perseguitati?

Noi non dividiamo il popolo palestinese sulla base di chi è cristiano o musulmano, religioso o no, o di chi è rimasto o andato via. Non dividiamo le persone sulla base di convinzioni o religione. Alla resistenza non importa se sono musulmani o cristiani. Indipendentemente dalle loro convinzioni politiche, tutti i palestinesi sostengono attivamente l’idea che il popolo debba essere in grado di esercitare i propri diritti e realizzare il proprio sogno. Si, un gran numero di cristiani sono stati uccisi dal 1948 ad oggi. Alcuni sono stati cacciati dalle loro case. Alcuni villaggi cristiani sono stati completamente distrutti, dei quali non rimane ora alcuna abitazione o alcun residente. Per esempio, al-Galil sulle alture del Golan. Molte chiese di Gerusalemme sono state attaccate, e sono stati diversi i tentativi di confiscare le loro proprietà e le loro terre. Ci sono cristiani nelle carceri israeliane, non così tanti come i musulmani, ma ci sono ugualmente. La comunità cristiana é più piccola, ma anche noi abbiamo i nostri martiri uccisi, e i nostri prigionieri che hanno trascorso anni ed anni dietro le sbarre. I cristiani soffrono sotto l’occupazione israeliana proprio come i musulmani. L’intera popolazione soffre sotto di essa.

Ci sono aspetti particolari da tenere in considerazione quando si parla dei cristiani che vivono in Terra Santa?

Ecco uno dei tanti esempi legati alla Chiesa ortodossa russa.
La Cattedrale della Trinità si trova nella parte occidentale di Gerusalemme, ed apparteneva alla Chiesa ortodossa russa. Ma dopo il 1948, Israele ha volto la situazione presente in Russia a proprio vantaggio, e sequestrato alcuni degli edifici attorno alla cattedrale, utilizzandoli come stazioni di polizia e come priogione in cui compiere torture. Quando qualcuno dice “moskobiya”, riferendosi al Patriarcato di Mosca, e dunque a qualcosa di sacro e spirituale, la prima cosa che viene in mente ad un palestinese che vive a Gerusalemme sono la tortura, la polizia, gli interrogatorii, e la prigione. A Nazareth, per esempio, la parola “moskobiya” viene associata esclusivamente alla scuola russa in cui l’élite culturale, scientifica e politica palestinese ha studiato. Sebbene sia stata chiusa dopo la rivoluzione russa del 1917, la sua fama continua a sopravvivere. Dunque, vale soltanto per i palestinesi di Gerusalemme.

Cosa pensano i cristiani di Palestina -intendo innanzitutto quelli cristiano-ortodossi- della crisi ucraina?

Nel complesso, siamo profondamente preoccupati. Crediamo che tutti i cristiani d’Ucraina debbano rimanere nell’orbita della Chiesa Madre, vale a dire il Patriarcato di Mosca. Vorrei che tale crisi si risolvesse attraverso il dialogo, così da vedere la riconciliazione e la fine della violenza e degli spargimenti di sangue. I cristiani non hanno bisogno di guerre, di uccisioni o di massacri. La crisi deve risolversi in modo pacifico. La Chiesa deve lavorare duramente per assicurare che le divisioni vengano colmate e superate. La Chiesa ortodossa ucraina è forte perché gran parte della persone predicano il cristianesimo ortodosso. Le divisioni devono essere risolte. Ci auguriamo che gli sforzi compiuti dal Patriarcato di Mosca e da quello di Costantinopoli contribuiranno a riunire la Chiesa ucraina. Credo che la divisione possa essere inverita, e che quanti si siano separati, possano ritornare. Prchè ciò accada, abbiamo bisogno di umiltà, di fede, e di forza di volontà.
Preghiamo per la Chiesa ortodossa d’Ucraina.

Traduzione di Michele Di Carlo