Non c’è “il medio”, oggi, in Medio Oriente

middle_east98middle-east.we-magazine.netL’ultima cosa di cui il Medio Oriente ha bisogno oggi è un nuovo conflitto. Ma il Libano sembra pronto a diventare una volta ancora il campo di battaglia per le potenze più grandi in lizza per la supremazia regionale. Oggi, questa battaglia è diventata esistenziale – e il Libano può esser visto come un’ultima possibilità per assestare un colpo fatale all’”Asse della resistenza” formato da Iran, Siria e Hezbollah.
Il conflitto tra sunniti e sciiti sembra aggravarsi, in Libano. Chi alimenta questa divisione, e perché?
Sono diffidente quando sento parlare di conflitti tra sunniti e sciiti in Medio Oriente. Pur essendoci tensioni storiche tra questi due gruppi, nella regione si verificano innumerevoli matrimoni tra sunniti e sciiti, particolarmente in quei Paesi – Libano, Bahrein, Siria, Iraq – che si considerano essere maggiormente affetti dai conflitti tra i due gruppi.
Preferisco sempre dire che il conflitto vero lo si ha tra “settari” e “non settari”. Questa è una descrizione più accurata, in quanto si trovano Sunniti e Sciiti in entrambe le parti che alimentano la divisione. I “settari” rappresentano l’opinione in minoranza nelle loro comunità, ma, essendo rumorosi e aggressivi, si pensa che siano in tanti.
È molto facile credere alla narrativa della discordia costante tra sunniti e sciiti, strombazzata da tutti i nostri giornali. Ma a questo punto, in un Medio Oriente in rapida destabilizzazione, ci conviene andare più a fondo.
L’Arabia Saudita rappresenta l’epicentro della narrativa sunniti-contro-sciiti. Essendo i sauditi dei Wahhabiti (sunniti) estremamente conservatori, il discorso è soprattutto un comodo strumento politico per tenere a bada l’ascesa iraniana. In seguito alla rivoluzione islamica del 1979 in Iran, i sauditi temettero che una rivolta islamica popolare capace di rovesciare un dittatore degli Stati Uniti nella regione avrebbe potuto ispirare la masse musulmane (in maggioranza sunnite), e cercarono di separare gli iraniani dagli arabi, e i sunniti dagli sciiti.
Queste narrative negative sono all’opera da più di trent’anni, e sono una strategia chiave nel divide et impera rivolto a quelle nazioni i cui governanti e le cui popolazioni sono alleate con l’Iran.
Il Libano è stato un terreno di gioco per questi dispetti sauditi. Riyad ha investito per anni soldi e prestigio nel tentativo di danneggiare il gruppo della resistenza libanese, Hezbollah, fedele alleato dell’Iran, e gioca un ruolo centrale nella politica regionale. Si può essere certi che dietro a ogni militante salafita che invoca rappresaglie contro Hezbollah, l’Iran o la Siria, oggi, c’è denaro saudita, o del Golfo.
Alcuni giorni fa una figura di spicco di al-Qa’ida è stata catturata e detenuta dalle Forze di sicurezza libanesi, ed è poi deceduta in custodia, dopo aver dichiarato che i “cristiani” erano il suo obiettivo, in Siria e in Libano. Stiamo lentamente entrando in una nuova guerra in Libano?
Presumo che tu stia parlando del cittadino saudita Majed al-Majed, leader delle (presunte) connesse ad al-Qa’ida Brigate ‘Abdallah ‘Azzam, che ha rivendicato l’attentato all’ambasciata iraniana di Beirut, pochi mesi fa – il primo attacco suicida verificatosi in Libano da decenni, per inciso.
Majed è morto il 4 gennaio, mentre si trovava in custodia dell’Esercito libanese: si sono fatte molte congetture sulla sua morte. Gli iraniani sono indignati, e sospettano un gioco sporco, in quanto, se Majed fosse vissuto, avrebbe potuto fornire alcune risposte chiare riguardo quali persone e quali Stati stiano finanziando oggi le attività terroristiche in Libano. I sauditi avevano chiesto l’estradizione di Majed dal momento del suo fermo, il che li rende sospetti. Essi avevano del resto promesso, molto di recente, 3 miliardi di dollari all’Esercito libanese.
Tutti questi eventi e sviluppi contribuiscono alla crescente apprensione per la situazione della sicurezza in Libano – la gente qui è stata messa in guardia sulle ripercussioni siriane, ed è stata trascinata in guerra da più di due anni.
Ma vorrei dire una cosa: quali siano le motivazioni politiche dei vari partiti e dei loro mentori stranieri, e quale sia il livello di rabbia e di desiderio di vendetta, si è verificata una sorta di comprensione universale sulla necessità che il Libano non sconfini in una situazione di guerra aperta e diffusa.
Per cominciare, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu – inclusi Usa, Gran Gretagna e Francia, così intimamente coinvolti nell’aver alimentato il conflitto siriano – sono determinati a evitare qualsiasi reale conflagrazione in Libano. Essi vogliono evitare assolutamente il conflitto su più di un confine con Israele. Per altri giocatori, quali la Russia, l’Iran e la Cina, una guerra in Libano confonderebbe le acque siriane, mentre essi vogliono che l’attenzione sia ora concentrata sulla risoluzione del conflitto siriano, evitando ulteriori destabilizzazioni dal levante al golfo persico. I due Stati che restano interessati a un conflitto in Libano restano l’Arabia Saudita e Israele – i sauditi perché vedono il conflitto in Siria come esistenziale, e sembrano pronti a “mettere la regione in fiamme” pur di conseguire i propri obiettivi: gli israeliani perché accoglieranno qualsiasi opportunità di indebolire il loro maggior avversario militare, Hezbollah.
Fuori dalla Siria Hezbollah e Hamas sono alleati; all’interno della Siria combattono l’uno contro l’altro. Perché?
Nel cuore della politica c’è l’opportunismo, e non sono sicura che sia una cosa cattiva. Chi decide dev’essere capace di passare a posizioni e ad alleanze diverse a seconda delle circostanze.
L’Asse della resistenza (Iran, Siria, Hezbollah, e una volta anche Hamas) è un gruppo davvero insolito. È l’unico, nella regione, formato da sunniti e sciiti, da iraniani e da arabi, da islamici e da laici.
Al centro di questo asse c’è una visione politica comune – ed è per questo che i tentativi esterni di dividere questo raggruppamento sono in gran parte falliti. L’anti-imperialismo – e il desiderio di un’auto-determinazione regionale – e l’anti-sionismo sono i fili uniscono.
Hamas, un ramo della Fratellanza musulmana (Mb), è stato lacerato quando le rivolte arabe hanno agevolato l’insediamento di governi in maggior parte correlati alla Fratellanza, sostenuti dal Qatar e dalla Turchia, due governi islamici che hanno una visione “sunnita” nella regione e che hanno cercato di sfidare l’Iran e i suoi alleati. In un certo senso, Hamas è stato costretto a scegliere tra le proprie identità sunnita e islamica, e l’identità della “resistenza”.
La scelta ha creato delle gravi spaccature all’interno del gruppo, pertanto la battaglia, all’interno di Hamas, è ancora in corso. Hanno cercato di affrontarla riconoscendo entrambe le priorità – secondo me a loro danno, perché in Medio Oriente semplicemente non c’è nessun “medio”.
Però dò dei “crediti di maturità” all’Asse della resistenza – gli operativi di Hamas hanno lavorato contro Hezbollah all’interno della Siria, ed ora, ritornati in Libano, condividono un nemico comune in Israele. Entrambi i gruppi si sono preoccupati di mantenere le loro differenze scendendo nella sfera pubblica, quindi c’è un determinato livello di impegno nei rapporti. L’Asse della resistenza ha degli alleati-chiave all’interno dell’ala militare di Hamas a Gaza – questo è un vantaggio che continueranno a supportare con il bello e col cattivo tempo.
Qual è la posizione dell’esercito libanese?
Le Forze armate libanesi (Laf) sono un’istituzione alquanto debole, che non può agire senza il consenso tra i partiti politici in competizione, consenso che si raggiunge di rado in Libano. Inoltre, sono diventate una pedina nel più grande scacchiere geopolitico, e non possono acquistare o ricevere le armi di cui hanno bisogno per la difesa del Paese – soprattutto da Israele, il principale nemico dichiarato del Libano.
Per esempio, Israele attua dei sorvoli illegali sul territorio libanese ogni singolo giorno, violando le leggi internazionali, ma nessuno invierà alle Laf i missili antiaerei che porrebbero fine a questa pratica. Se l’Iran o la Cina offriranno queste armi, si scatenerà l’inferno nell’arena politica libanese – le Laf non hanno voce in capitolo in questo dibattito, e così è toccata a Hezbollah la protezione del Libano dalle aggressioni israeliane.
La cosa interessante è che nel 2013, con l’intensificarsi della violenza politica e della retorica settaria in Libano, molti libanesi – stanchi dei loro politici impotenti – hanno cominciato a desiderare un colpo di stato e la presa del potere da parte delle Laf.
Vale la pena ricordare che in questo periodo in tutta la regione – dall’Egitto alla Siria – abbiamo assistito a un aumento delle fortune degli “eserciti nazionali” e all’affidarsi loro della popolazione nella difesa dai militanti islamici e dagli jihadisti. Il Libano, in questo, non ha fatto eccezione.
Ritengo che l’impegno saudita da 3 miliardi di dollari sia la più grande infusione di capitale nella storia delle Laf. Ma è uno sforzo imbarazzante di acquisto dell’esercito libanese che affossa la collaborazione tra Hezbollah e le Laf nella lotta alla militanza salafita (spesso) appoggiata dall’Arabia Saudita all’interno del Libano. Ancora più imbarazzante è il fatto che tutte le armi e le munizioni delle Laf debbano essere acquistate dalla Francia, come ricompensa offerta dall’Arabia Saudita per gli sforzi francesi al sabotaggio dell’accordo nucleare dei P5+1 sull’Iran e per il continuo supporto politico offerto dalla Francia alla ribellione siriana.
Chi finanzia i diversi gruppi (militanti) in Libano, e quali sono gli obiettivi di questi finanziamenti?
La risposta a questa domanda è molto difficile in quanto la segretezza è la natura essenziale di questi gruppi. Essi non trasferiscono fondi tramite le banche, ne’ fanno chiamate da cellulare tracciabili per trasmettere informazioni o per concordare azioni di terrore.
I donatori cambiano anche a seconda del clima politico. Alcuni sono interessati a sfidare lo Stato o uno dei suoi vicini, altri possono avere interessi settari o funzionare come mafie criminali. Ma oggi denaro e armamenti vengono incanalati a questi gruppi per favorire una lotta geopolitica contro l’Iran, la Siria e Hezbollah. La battaglia viene presentata in termini settari, e ciò ha infiammato gli estremisti takfiri dal levante al Golfo persico. Le unità di volontariato in diversi Stati del Golfo hanno finanziato gli jihadisti di decine di Paesi per farli entrare a combattere in Siria e anche in Iraq.
Il Libano viene spesso visto come un luogo di riposo per molti di questi gruppi, ma ultimamente è diventato un attivo campo di battaglia nel tentativo (dichiarato) di fermare l’assistenza di Hezbollah all’esercito siriano, e per spostare l’equilibrio di potere del levante a favore degli interessi sauditi. Questi gruppi erano molto ideologici, ma sono ora diventati opportunisti – e sono pronti a seppellire l’ascia di guerra avuta dalle monarchie del Golfo per concentrarsi su comuni obiettivi settari.
In Libano, l’Arabia Saudita è considerata oggi come il maggior finanziatore di questi gruppi, sospetto sensato, se si considera l’atteggiamento di Riyad verso la Siria e l’Iran. I puntini cominciarono ad essere collegati quando le istituzioni saudite collocarono il principe Bandar bin Sultan a capo dell’intelligence – Bandar è noto per i suoi sporchi trucchi e per il comando della rete jihadista/salafita in molte regioni.
Quali sono le possibilità e le modalità, per i libanesi, di non lasciarsi trascinare in una guerra?
Come accennato in precedenza, credo che il mantenimento della stabilità in Libano sia interesse di tutti i principali partiti politici libanesi, dei loro mentori stranieri e delle potenze globali. Questo è diventato prioritario da quando i militanti hanno cominciato a mescolare i loro interessi (Siria e Iraq) attraverso le frontiere, minacciando di instabilità un lungo arco attraverso la regione.
Ancora, alcuni, come l’Arabia Saudita e Israele, sono contrari, ma nessuno Stato sembra al momento interessato a sostenere un’escalation in Libano, soprattutto perché le conseguenze sono imprevedibili.
Purché non si verifichi alcun evento che possa fa cambiare idea, il mantenimento dello statu quo in Libano è auspicabile per tutte le parti. Il Libano continua ad essere visto da molti come una “leva politica” – questo è il posto in cui vengono mandati gli avvertimenti e le minacce reciproche. Un bombardamento qua, uno scontro a fuoco là… è così che i giocatori interni ed esteri mandano le loro missive, oggi. Ma non si spingono mai troppo lontani – almeno, non ancora. La migliore scommessa per il Libano è cercare di mantenere una certa neutralità anche quando le le sue varie parti prendono assistenza nel conflitto siriano e altrove. Non credo che la formazione di un nuovo governo possa essere di minimo aiuto – un grosso evento in uno Stato confinante, e il piccolo governo del Libano salta un’altra volta.
La cosa principale che il Libano deve fare mentre ancora è a galla, è fermare la proliferazione di gruppi militanti dentro il Paese, e fermare l’accesso di combattenti stranieri dai suoi confini. Non si tratta di prendere le parti – si tratta del diritto fondamentale di tutti gli Stati-nazione alla difesa della propria sovranità e integrità territoriale.
Un esercito libanese politicamente indipendente e ben fornito è essenziale a questo scopo, ma attualmente, senza l’assistenza di Hezbollah (che cerca di mantenere un basso profilo al fine di non alimentare ulteriori settarismi) non può farcela. Il Coinvolgimento di Hezbollah, a sua volta, fa infuriare l’altro “campo” – ma anche loro dovrebbero intensificare i controlli e sorvegliare le città di confine per impedire le infiltrazioni straniere e l’afflusso di armi pesanti e di piccolo calibro.
Se il Libano è oggi impotente nel contesto delle grandi battaglie regionali, il minimo che possa fare è mantenere, intanto, la propria integrità territoriale. Ogni attacco terroristico, qui, sembra conferire maggior potere alle Laf – è l’indignazione popolare che lo chiede. Non so poi come le Laf possano ricevere 3 milioni di dollari in assistenza dall’Arabia Saudita – il Paese stesso che appoggia i militanti salafiti che attaccano i soldati libanesi.
Traduzione di Stefano Di Felice