Per non dimenticare: la pulizia etnica della Palestina

nakba3-400x213Da Parallelo Palestina.

Gli editori del diario di Ben Gurion furono sorpresi nello scoprire che tra il 1° aprile e il 15 maggio 1948 il leader della comunità ebraica in Palestina sembrava trascurare l’aspetto militare degli eventi1.

Invece pareva molto più preoccupato della politica interna sionista e si occupava intensamente di problemi organizzativi, tipo la trasformazione degli organismi della diaspora in organi del nuovo Stato d’Israele. Il suo diario, certamente, non tradisce nessuna sensazione di catastrofe annunciata o di “secondo Olocausto”, come invece proclamava con enfasi nelle sue apparizioni pubbliche.

Alla sua cerchia ristretta egli parlava un linguaggio differente. Ai membri del suo partito, il Mapai, già all’inizio di aprile, fece orgogliosamente un elenco dei villaggi che le truppe ebraiche avevano da poco occupato. In un’altra occasione, il 6 aprile, lo troviamo che rimprovera i membri di tendenza socialista del direttivo dell’Histadrut, i quali mettevano in dubbio il fatto che fosse più sensato attaccare i contadini invece che i loro padroni, gli effendi, manifestando così uno dei suoi pensieri fondamentali: “Non sono d’accordo con voi sul fatto che dobbiamo affrontare gli effendi invece dei contadini: i nostri nemici sono i contadini arabi!”2.

Il suo diario si pone senza dubbio in netto contrasto con la paura che seminava durante gli incontri pubblici e, di conseguenza, nella memoria collettiva di Israele. Il diario indica che, già allora, egli aveva capito che la Palestina era ormai nelle sue mani. Non era, tuttavia, troppo sicuro di sé e non partecipò alle celebrazioni del 15 maggio 1948, conscio dell’enorme compito che lo attendeva: ripulire la Palestina e assicurarsi che gli attentati arabi non interrompessero l’espansione ebraica. Come la Consulta, anche egli temeva le conseguenze dello sviluppo in luoghi dove ci fosse un evidente squilibrio tra insediamenti ebraici isolati e un potenziale esercito arabo – come nel caso di remote zone della Galilea e del Negev e di alcune parti di Gerusalemme.

Ben Gurion e i suoi colleghi, nondimeno, capivano perfettamente che questi problemi locali non avrebbero cambiato il quadro nel suo insieme: la capacità delle forze ebraiche di impadronirsi, anche prima del ritiro inglese, di molte aree che la Risoluzione di spartizione delle Nazioni Unite aveva assegnato allo Stato ebraico. Dove “impadronirsi” era sinonimo di una sola cosa: l’espulsione massiva dei palestinesi, che vivevano lì, dalle loro case, dal loro lavoro e dalla loro terra, sia nelle città che nelle aree rurali.

Forse Ben Gurion non festeggiò pubblicamente con le masse ebraiche che danzavano nelle strade il giorno in cui il Mandato britannico si concluse ufficialmente, ma era ben consapevole che la potenza delle forze militari ebraiche aveva già cominciato a mostrarsi sul terreno. Quando il Piano Dalet fu messo in atto, l’Haganà disponeva di più di 50.000 effettivi, metà dei quali erano stati addestrati dall’esercito inglese durante la seconda guerra mondiale. Era arrivato il momento di mettere in funzione il piano.

Operazione Nachsons: la prima operazione del Piano Dalet

La strategia sionista di costruire insediamenti isolati al Centro di aree arabe densamente popolate, approvata con effetto retroattivo dalle autorità mandatarie inglesi, si dimostrò un peso in tempi di tensione. Non sempre si poteva garantire il trasporto di rifornimenti e di truppe fino a questi avamposti e quando tutto il paese era in fiamme, la strada per Gerusalemme proveniente da ovest, che attraversava numerosi villaggi palestinesi, era particolarmente difficile da difendere, creando un senso di assedio nella piccola popolazione ebraica della città. I leader sionisti erano preoccupati per gli ebrei di Gerusalemme anche per una diversa ragione: la maggior parte di loro appartenevano alle comunità ortodosse e mizrahi, e il loro impegno nei confronti del sionismo e delle sue aspirazioni era alquanto tenue o persino dubbio. Quindi, la prima area scelta per mettere in atto il Piano Dalet fu quella delle colline rurali sul fianco occidentale delle montagne di Gerusalemme, a metà strada lungo la via per Tel Aviv. L’operazione si chiamava Nachshon e sarebbe servita da modello per le campagne future: le improvvise espulsioni di massa servivano a provare i mezzi più efficaci per difendere gli insediamenti ebraici isolati o per liberare le strade in pericolo come quella che conduceva a Gerusalemme.

A ogni brigata venne ordinato di prepararsi a spostarsi nel Mazav Dalet, Stato D, cioè di predisporsi a eseguire gli ordini del Piano D: “Vi sposterete verso lo Stato Dalet per un’operazione esecutiva del Piano Dalet”, era la frase di apertura per ogni unità. E quindi “i villaggi che occuperete, ripulirete o distruggerete saranno decisi consultando i vostri esperti per gli affari arabi e i funzionari dell’intelligence3.A giudicare dai risultati di quel periodo, aprile-maggio del 1948, le istruzioni erano di non risparmiare neanche un villaggio. Mentre il Piano Dalet ufficiale dava ai villaggi la possibilità di arrendersi, gli ordini operativi non risparmiarono nessun villaggio per nessuna ragione. Con ciò il Piano venne convertito nell’ordine militare di cominciare a distruggere i villaggi. Le date differivano a seconda della geografia: la brigata Alexandroni, che avrebbe imperversato sulla costa annientando decine di villaggi, lasciandone intatti solo due, ricevette gli ordini verso la fine di aprile. Le istruzioni di epurare la Galilea orientale arrivarono al quartier generale della brigata Golani il 6 maggio 1948 e il giorno successivo il primo villaggio nella loro “area”, Shajara, venne evacuato4.

Le unità del Palmach ricevettero gli ordini per l’operazione Nachshon proprio il 1° aprile 1948. La notte precedente, la Consulta si era riunita a casa di Ben Gurion per definire le direttive alle unità. Gli ordini erano chiari: “il principale obiettivo dell’operazione è la distruzione dei villaggi arabi… e l’evacuazione degli abitanti in modo che loro divengano un peso economico per le forze arabe in generale”5.

L’operazione Nachshon fu una novità anche sotto altri aspetti. Fu la prima operazione in cui tutte le varie organizzazioni militari ebraiche cercarono di agire insieme come un unico esercito, stabilendo le basi del futuro esercito israeliano di difesa (IDF).

E fu la prima nella quale gli ebrei veterani dell’Europa orientale, che naturalmente dominavano la scena militare, si unirono in una campagna a fianco di altri gruppi etnici, quali i nuovi arrivati dal mondo arabo e dall’Europa post-Olocausto.

Il comandante di uno dei battaglioni che parteciparono all’operazione, Uri Ben-Ari, scrisse nelle sue memorie che “la fusione delle varie diaspore” fu uno dei più importanti traguardi della Nachshon. Ben-Ari era un giovane tedesco arrivato in Palestina alcuni anni prima. La sua unità effettuò i preparativi finali per la Nachshon sulla costa del Mediterraneo, presso Hadera.

Egli ricorda di essersi paragonato ai generali russi che avevano combattuto contro i nazisti durante la seconda guerra mondiale.

I “nazisti” nel suo caso erano i molti villaggi palestinesi indifesi in prossimità della strada Giaffa-Gerusalemme e i gruppi paramilitari di Abd al-Qadir al-Husayni venuti in loro soccorso. Le unità di al-Husayni avevano compiuto rappresaglie, dopo i primi attacchi ebraici, sparando a caso contro i convogli ebraici che transitavano sulla strada, ferendo e uccidendo i passeggeri. Ma gli abitanti dei villaggi, come ovunque in Palestina, cercavano di continuare una vita normale, ignari dell’immagine demoniaca attribuita loro da Ben-Ari e dai suoi commilitoni. In pochi giorni la maggior parte sarebbe stata espulsa per sempre dalle case e dai campi nei quali loro e i loro antenati avevano vissuto e lavorato per secoli. I gruppi paramilitari palestinesi al comando di Abd al-Qadir al-Husayni opposero una resistenza superiore alle previsioni del battaglione di Ben-Ari, il che significa che all’inizio l’operazione Nachshon non andò secondo i piani. Tuttavia, il 9 aprile la campagna era terminata:

Quel giorno, il villaggio di Qastal (il Castello) fu, malgrado il suo nome, il primo di numerosi villaggi intorno a Gerusalemme a cadere in mani ebraiche. Era dotato di antiche fortificazioni che però non riuscirono a proteggerlo dalle truppe nemiche superiori. Qastal era situato sull’ultima cima occidentale prima del pendio verso Gerusalemme. Il monumento all’Haganà che Israele ha posto in quel sito omette di dire che proprio lì una volta c’era un Villaggio palestinese. La targa che commemora la battaglia è un tipico esempio di quanto profondamente radicato sia il linguaggio del Piano Dalet nella storiografia popolare israeliana. Sia nel piano, sia nella targa, Qastal appare non come un villaggio, ma come “una base nemica”: i suoi abitanti palestinesi vengono disumanizzati per poterli trasformare in “legittimi bersagli” di distruzione ed espulsione. In tutto il territorio israeliano molti insediamenti e molti parchi nazionali nuovi sono entrati a far parte della memoria collettiva del paese, senza nessun riferimento ai villaggi palestinesi che c’erano una volta, anche quando ne restano le vestigia, quali una casa isolata oppure una moschea, evidenti testimonianze del fatto che altre persone vissero lì, almeno fino al 1948.

Il 9 aprile, mentre difendeva Qastal, Abd al-Qadir al-Husayni venne ucciso in battaglia. La sua morte demoralizzò a tal punto le sue truppe, che gli altri villaggi intorno a Gerusalemme caddero rapidamente nelle mani delle forze ebraiche. Uno alla volta, furono circondati, attaccati e occupati, gli abitanti espulsi e le loro case ed edifici demoliti. In alcuni di questi villaggi, l’espulsione fu accompagnata da massacri, il più noto dei quali fu quello che le truppe ebraiche perpetrarono a Deir Yassin, lo stesso giorno della caduta di Qastal.

Deir Yassin

La natura sistematica del Piano Dalet fu evidente a Deir Yassin, un villaggio pastorale e amico che aveva sottoscritto un patto di non aggressione con l’Hagana a Gerusalemme, ma che fu condannato a essere distrutto perché si trovava all’interno dell’area destinata all’epurazione. A causa dell’accordo preventivamente firmato con il Villaggio, l’Hagana, per liberarsi da qualsiasi responsabilità ufficiale, decise di inviare l’Irgun e le truppe della Banda Stern. Nelle successive epurazioni di villaggi “amici” faranno a meno anche di questo stratagemma.

Il 9 aprile 1948 forze ebraiche occuparono il villaggio di Deir Yassin situato su una collina a ovest di Gerusalemme, ottocento metri sul livello del mare e vicino all’insediamento ebraico di Givat Shaul. La vecchia scuola del villaggio funge oggi da ospedale psichiatrico per quel quartiere ebraico che si è sviluppato sull’area del villaggio distrutto.

Come irruppero nel villaggio, i soldati ebrei crivellarono le case con le mitragliatrici, uccidendo molti abitanti. Le persone ancora in vita furono radunate in un posto e ammazzate a sangue freddo, i loro corpi seviziati, mentre molte donne vennero violentate e poi uccise6.

Fahim Zaydan, che all’epoca aveva dodici anni, così ricorda l’esecuzione della sua famiglia davanti ai suoi occhi: “Ci portarono fuori uno dopo l’altro; spararono a un uomo anziano e quando una delle sue figlie si mise a piangere spararono anche a lei. Poi chiamarono mio fratello Muhammad e gli spararono davanti a noi, e quando mia madre gridò chinandosi su di lui, con in braccio la mia sorellina Hudra che stava ancora allattando, spararono anche a lei”.7

Spararono anche allo stesso Zaydan, insieme a un gruppo di bambini allineati contro un muro che gli ebrei crivellarono di colpi “solo per divertimento” prima di andarsene. Fu fortunato a sopravvivere nonostante le ferite.

Una recente ricerca ha ridotto il numero delle persone massacrate a Deir Yassin da 170 a 93. Naturalmente, a parte le vittime del massacro, decine di altri individui furono uccisi in combattimento e perciò non vennero inseriti nella lista ufficiale delle vittime. Comunque, poiché le truppe ebraiche consideravano ogni villaggio palestinese una base militare nemica, la distinzione tra massacrare gli abitanti e ucciderli “in battaglia” era di scarsa importanza. Bisogna solo dire che tra le persone massacrate a Deir Yassin vi erano 30 neonati; si capisce così che il calcolo “quantitativo” – che gli israeliani hanno ripetuto recentemente, nell’aprile del 2002, nel massacro di Jenin – è privo di senso. Allora, la leadership ebraica annunciò orgogliosamente un alto numero di vittime, in modo da fare di Deir Yassin l’epicentro della catastrofe – un avvertimento per tutti i palestinesi: un destino simile attendeva coloro che si fossero rifiutati di abbandonare le loro case e di fuggire8.

Poi fu la volta di quattro villaggi nelle vicinanze: Qalunya, Saris, Beit Surik e Biddu. Impiegando un’ora o poco più per ciascun villaggio, le unità dell’Haganà fecero saltare in aria le case e cacciarono gli abitanti. Stranamente (o, meglio, ironicamente) gli ufficiali dell’Haganà dichiararono che dovettero lottare con i loro subordinati per evitare un saccheggio selvaggio dopo ogni occupazione. Ben-Ari, che dirigeva i genieri responsabili dell’esplosione delle case, racconta nelle sue memorie come avesse, da solo, fermato il saccheggio di questi villaggi, ma tale affermazione sembra come minimo esagerata, dato che i contadini scapparono senza niente, mentre le loro cose presero la strada dei salotti e delle fattorie dei soldati e degli ufficiali come ricordi di guerra9.

In quell’area furono risparmiati solo due villaggi: Abu Ghawsh e Nabi Samuil. Questo perché i loro mukhtar avevano stabilito un rapporto relativamente buono con i comandanti locali della Banda Stern. Ironicamente, ciò li salvò dalla distruzione e dall’espulsione: mentre 1’Haganà voleva demolirli, il gruppo più estremista accorse in loro aiuto. Questa fu, tuttavia, una rara eccezione e centinaia di villaggi subirono lo stesso destino di Qalunya e di Qastal10.

L’urbicidio della Palestina

La fiducia che, all’inizio di aprile, il comando ebraico aveva nelle sue capacità non solo di conquistare ma anche di ripulire le zone che l’ONU aveva assegnato allo Stato ebraico, si può giudicare dal fatto che immediatamente dopo l’operazione Nachshon esso rivolse la sua attenzione ai maggiori centri urbani palestinesi, che furono sistematicamente attaccati per tutto il mese, mentre i rappresentanti ONU e i funzionari inglesi stavano a guardare indifferenti.

L’offensiva contro i centri urbani cominciò con Tiberiade. Non appena le notizie del massacro di Deir Yassin, e dopo tre giorni (il 12 aprile) del vicino villaggio di Khirbat Nasr al-Din, raggiunsero la grande popolazione palestinese della città, molti fuggirono11. La gente era anche sconvolta dai pesanti bombardamenti quotidiani da parte delle forze ebraiche situate sulle colline sovrastanti la storica, antica capitale del lago di Tiberiade, nella quale 6000 ebrei e 5000 arabi e i loro antenati avevano convissuto pacificamente per secoli. L’ostruzionismo britannico significò solamente che l’ALA aveva cercato di fornire alla città una forza di circa trenta volontari. Essi non potevano competere con le forze dell’Haganà, che fecero rotolare giù dalle colline bombe-barile e diffusero con altoparlanti terribili frastuoni per terrorizzare la gente: una versione primitiva dei voli supersonici sopra Beirut del 1983 e su Gaza del 2005, che l’organizzazione per i diritti umani ha definito atti criminali. Tiberiade cadde i1 18 aprile12.

Gli inglesi svolsero un ruolo discutibile nell’attacco di Tiberiade: all’inizio offrirono protezione ai residenti palestinesi, ma presto li spinsero a negoziare con le forze ebraiche un’evacuazione generale della città. Re Abdullah di Giordania fu più “pratico”: inviò trenta autocarri per aiutare donne e bambini a fuggire. Nelle sue memorie affermò che era convinto che stesse per verificarsi un’altra Deir Yassin13. In seguito, gli ufficiali inglesi dichiararono di aver avuto preoccupazioni simili, ma i documenti, che mostrano pesanti pressioni britanniche sui leader della comunità affinché lasciassero la città, non rivelano alcuna preoccupazione per un massacro incombente. Qualcuno dirà che con questo gli inglesi impedirono che i residenti arabi di Tiberiade venissero massacrati, altri obietteranno che essi collaborarono con gli assedianti. Il ruolo degli inglesi è molto più chiaro, e molto più negativo, nei capitoli successivi dell’urbicidio palestinese, quando furono occupate Haifa e Giaffa.

 

Il brano è tratto da “LA pulizia etnica della Palestina”, di Ilan Pappe – Fazi editore – Capitolo 5

Ilan Pappé è uno dei maggiori storici del Medio Oriente. Nato ad Haifa nel 1954 da genitori ebrei sfuggiti alla persecuzione nazista, si è laureato alla Hebrew University e ha conseguito il dottorato a Oxford. Nel 2005 ha sostenuto il boicottaggio (incluso quello accademico) di Israele e per questo, dopo aver insegnato per anni a Haifa, si è dovuto trasferire in Gran Bretagna, all’Università di Exeter.