Non si “falcia più l’erba”: in che modo la resistenza palestinese è riuscita a modificare l’equazione

MEMO. Di Dr Ramzy Baroud. Il cessate il fuoco del 21 maggio scorso ha, per il momento, messo fine alla guerra di Israele contro Gaza. Ma questa tregua non è permanente e le continue provocazioni israeliane in ogni luogo della Palestina potrebbero riaccendere nuovamente il ciclo sanguinoso. Inoltre, l’assedio di Israele su Gaza rimane in vigore, così come l’occupazione militare ed il radicato sistema di apartheid che esiste in tutta la Palestina.

Ciò, comunque, non preclude il fatto che la guerra israeliana contro la Striscia di Gaza assediata, durata 11 giorni, abbia modificato profondamente alcuni elementi nel rapporto tra Israele e i Palestinesi, soprattutto con la resistenza palestinese, in tutte le sue manifestazioni.

Esaminiamo i principali attori dell’ultimo conflitto e discutiamo brevemente l’impatto della guerra israeliana e della determinata resistenza palestinese sulle loro rispettive posizioni.

Non si “falcia più l’erba”.

“Falciare l’erba” è un termine israeliano riferito di solito agli attacchi israeliani e alla guerra contro Gaza assediata, che descrive la necessità, per Israele, di debellare o umiliare sistematicamente le capacità dei vari gruppi di resistenza palestinese.

“Falciare l’erba” fornisce anche dei vantaggi politici, dato che spesso si inserisce perfettamente nei programmi elettorali di Israele – ad esempio, quando c’è la necessità di distrarre la gente tra una crisi politica e un’altra, o di consolidare la società israeliana attorno alla sua leadership.

Il mese di maggio del 2021 verrà ricordato come il mese in cui il termine “falciare l’erba” non ha più potuto essere utilizzato così facilmente dal governo israeliano come strategia militare e politica, in quanto la resistenza di Gaza e la rivolta popolare, scoppiata in tutta la Palestina, ha aumentato di molto il prezzo che Israele ha dovuto pagare per le sue violente provocazioni.

Mentre gli strateghi militari e politici di Israele ci vogliono convincere, e vogliono convincere se stessi, che il loro rapporto con Gaza e con la resistenza palestinese non sia cambiato, in realtà lo è, e probabilmente in modo irreversibile.

L’equazione modificata.

Anche la lotta palestinese per la libertà è stata modificata radicalmente, non solo grazie alla resilienza senza precedenti della resistenza palestinese, ma anche all’unità del popolo palestinese, per la nascita di una nazione palestinese post-Oslo/Processo di Pace unita intorno ad un nuovo discorso popolare – quello che non fa differenza tra i Palestinesi di Gerusalemme, di Gaza o altrove.

L’unità palestinese intorno alla resistenza, non al processo di pace, pone Israele davanti ad un nuovo tipo di dilemma. Per la prima volta nella sua storia, Israele non può vincere la guerra contro i Palestinesi. Nè può perdere la guerra, perché dare concessioni significa essenzialmente che Israele è pronto a scendere a compromessi – mettere fine all’occupazione, eliminare l’apartheid, e così via. Per questo motivo Israele ha optato per un cessate il fuoco unilaterale. Sebbene umiliante, ha preferito lanciarsi in un accordo negoziato, veicolando quindi il messaggio che la resistenza palestinese funziona.

Tuttavia, la guerra di maggio ha dimostrato che Israele non è più l’unica parte che detta le regole del gioco. I Palestinesi sono finalmente in grado di avere un impatto e costringere Israele ad abbandonare le sue illusioni per cui i Palestinesi siano vittime passive e che la loro resistenza sia inutile.

Altrettanto importante, non possiamo continuare ancora a parlare di resistenza popolare e resistenza armata come se fossero due concetti o strategie separati tra loro. Per la resistenza armata sarebbe stato impossibile continuare a lungo, soprattutto sotto l’enorme quantità e potenza del fuoco israeliano, se non avesse avuto il sostegno dei Palestinesi a tutti i livelli della società e indipendentemente dalle loro differenze politiche e ideologiche.

Di fronte ad un nemico che non fa differenza tra civili e combattenti, tra un sostenitore di Hamas e uno di Fatah, il popolo palestinese in tutta la Palestina ha superato ogni divisione politica e tutte le dispute tra fazioni. I giovani palestinesi hanno coniato nuove terminologie, incentrate sulla resistenza, la liberazione, la solidarietà e così via. Questo cambiamento nel discorso popolare avrà importanti conseguenze che potranno consolidare l’unità palestinese per molti anni a venire.

Gli alleati di Israele non sono pronti al cambiamento.

In molti sono stati colti di sorpresa dalla rivolta popolare in Palestina, compresi gli alleati di Israele. Storicamente, i sostenitori occidentali di Israele hanno più volte dato prova di essere falliti moralmente, ma l’ultima guerra ha dimostrato che sono falliti anche politicamente.

Durante tutta la durata del conflitto, Washington e le altre capitali occidentali hanno ripetuto la stessa vecchia linea sul diritto di Israele a difendersi, sulla sicurezza di Israele e sulla necessità di tornare al tavolo dei negoziati. Si tratta di una posizione arcaica ed inutile perché non ha aggiunto niente di nuovo al discorso, ormai superato e sterile. Semmai, dimostra semplicemente la loro incapacità di evolversi politicamente e di affrontare i drammatici cambiamenti in corso nella Palestina occupata.

Inutile dire che la nuova amministrazione statunitense di Joe Biden, in particolare, ha perso un’occasione cruciale per poter dimostrare di essere diversa da quella della precedente amministrazione di Donald Trump. Nonostante, a volte, il linguaggio prudente ed alcune sfumature, Biden si è comportato esattamente come avrebbe fatto Trump se fosse stato ancora presidente.

Quale ‘Leadership palestinese’?

Il capo dell’Autorità Palestinese (ANP), Mahmoud Abbas, e la sua cerchia di sostenitori rappresentano ormai il passato. Sebbene siano felici di rivendicare un ampio supporto finanziario internazionale che potrebbe essere utilizzato per ricostruire Gaza, in Palestina, al momento, non rappresentano nessuna tendenza politica.

La decisione di Abbas di annullare le elezioni in Palestina previste per maggio e luglio lo ha lasciato ancor più isolato. I Palestinesi sono pronti a guardare oltre lui; come, in effetti, hanno già fatto. Questa cosiddetta leadership non sarà in grado di galvanizzare l’attuale momento storico, costruito sull’unità e la resistenza palestinese.

L’ANP è corrotta e superflua. Peggio ancora, è un ostacolo sulla strada della libertà palestinese. La Palestina ha bisogno di una leadership che rappresenti tutto il popolo palestinese ovunque, che sia veramente capace di guidare la gente nel tentativo di tracciare un percorso chiaro verso l’agognata libertà.

Allargare il cerchio della solidarietà.

L’incredibile dimostrazione di solidarietà globale che ha fatto notizia in tutto il mondo è stata una chiara indicazione che i molti anni di preparazione a livello popolare hanno dato i loro frutti. A parte le numerose espressioni di solidarietà, un aspetto in particolare merita un’analisi approfondita: la diversità geografica di questa solidarietà che non è più solo circoscritta a poche città in pochi paesi.

Proteste di solidarietà a favore della Palestina, veglie, conferenze, webinar, arte, musica, poesia e molte altre espressioni simili si sono manifestate dal Kenya al Sudafrica, dal Pakistan al Regno Unito e ad altre decine di paesi in tutto il mondo. Anche i dati demografici sono cambiati: minoranze e persone di colore hanno guidato o preso il centro della scena in molte di queste proteste, un fenomeno indicativo della crescente intersezionalità tra Palestinesi e numerosi gruppi oppressi intorno al globo.

Una lotta determinante per i Palestinesi è quella volta a delegittimare e a smascherare il colonialismo, il razzismo e l’apartheid israeliani. Questa lotta può essere vinta presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), la Corte Penale Internazionale (ICC), la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), l’UNESCO e altre numerose organizzazioni internazionali e regionali, oltre agli innumerevoli gruppi della società civile e centri comunitari in tutto il mondo.

Perché questo possa accadere, ogni voce è importante, ogni voto conta, dall’India al Brasile, dal Portogallo al Sudafrica, dalla Cina alla Nuova Zelanda, e così via. E Israele lo sa perfettamente; da qui l’offensiva di suggestione globale che il primo ministro israeliano di destra Benjamin Netanyahu sta conducendo da anni. E’ essenziale che anche noi lo comprendiamo e che ci rivolgiamo a ciascun membro delle Nazioni Unite come parte di una strategia più ampia per isolare, come lo merita, Israele per i crimini di guerra in corso e i crimini commessi contro l’umanità.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi