Nuova Nakba: le forze di occupazione scacciano gli abitanti di Umm al-Hairan

Beer Sheva (Bir es-Saba’a)-QudsPress/InfoPal. Rabbia e ansia prevalgono tra gli abitanti del villaggio palestinese di Umm al-Hairan, nel Negev, nel sud dei territori palestinesi del ’48, in seguito alla decisione del Consiglio nazionale israeliano per la pianificazione e l’Edilizia di espellerli dal loro villaggio per costruire una colonia per gli ebrei ultra-ortodossi.

Il Consiglio nazionale israeliano per la pianificazione e l’Edilizia ha respinto il ricorso presentato per conto degli abitanti del villaggio di Umm al-Hairan (circa un migliaio di persone), da alcune organizzazioni per i diritti, contro Comitato distrettuale per la pianificazione e le opere edilizie di Beersheva, che ha approvato un piano per la creazione di un insediamento ebraico con il nome di Hairan sul territorio del villaggio beduino arabo di Umm al-Hairan, con la demolizione di tutte le case e lo sfollamento dei suoi abitanti.

L’esercito israeliano aveva espulso i residenti di Umm al-Hairan dalle proprie case nella zona di Wadi al Zebaleh, nel deserto del Negev, e poco dopo, nel 1956, li aveva costretti a trasferirsi nella zona dove risiedono attualmente.

Nel 2004, gli abitanti del villaggio si sono trovati esposti ad nuova minaccia, quando la Commissione di pianificazione delle aree meridionali, aveva reso noto il suo piano generale che consisteva nell’espellere i residenti di Umm al-Hairan, per costruire una città ebraica chiamata Hairan, nello stesso luogo. Il governo israeliano sostiene che i residenti di Umm al-Hairan hanno invaso la proprietà degli altri, mettendo la mani abusivamente su un territorio appartenente allo Stato.

Nel sud dei territori palestinesi occupati nel 1948, risiedono circa 90 mila beduini palestinesi, in villaggi non riconosciuti, ovvero mai censiti dal governo israeliano. Come risultato di questo status, l’occupazione può demolire quando vuole tutti gli edifici situati in queste comunità; inoltre, questi villaggi non hanno l’accesso ad alcun servizio di base, come l’elettricità, le strade asfaltate, le strutture sanitarie, le scuole e l’acqua potabile.

Politica di espropriazione della terra 

Suhad Bishara, legale del Centro al-Adalah per i diritti delle minoranze arabe all’interno di Israele, afferma che la decisione della Commissione israeliana rientra nella politica di espropriazione della terra dei beduini arabi nel Negev, e la demolizione dei loro villaggi, al fine di raggrupparli in spazi ristretti e limitati. Nel caso di Umm al-Hairan, la tribù di Abu al-Qaya’an che era stata già espulsa dalla propria terra nel 1948, si vede di nuovo derubata e sempre per lo stesso motivo: costruire delle abitazioni per soli cittadini ebrei.

Bishara, che ha rappresentato legalmente i residenti del villaggio, ha affermato che la decisione israeliana ha decretato che gli abitanti di Umm al-Hairan, costretti dalle autorità israeliane a trasferirsi lì nel 1956, non hanno alcun diritto sul proprio villaggio, inoltre che lo Stato può disporre facilmente il loro spostamento da un luogo all’altro senza alcuna giustificazione o pianificazione.

In una dichiarazione esclusiva a Quds Press, Bishara ha affermato che la decisione della Commissione elimina l’effetto del diritto costituzionale, e annulla i diritti degli abitanti di Umm al-Hairan; il tutto per attuare il piano della segregazione dei beduini. Questa decisione contribuirà a radicare l’apartheid su base etnica e religiosa nella zona di Umm al-Hairan, oltre a privare i beduini palestinesi dei loro diritti costituzionali, della dignità, della proprietà e dell’uguaglianza.

Il legale palestinese ha spiegato che il villaggio di Umm al-Hairan, nella sua posizione attuale, sorse per ordine del governatore militare israeliano, quando, nel 1956, l’esercito sfollò con la forza gli abitanti di Wadi al Zebaleh, impedendo il ritorno alla loro terra, che venne inclusa nel kibbutz di Shoval.

Il legale ha aggiunto che “questa non è la prima volta in cui vengono sfollati dalla loro terra: nel 1948 furono costretti ad abbandonare le proprie case in Kherbat al-Hazil, poi essi fuggirono nella zona di Kahla e Abu Kaff. Nel 1956 furono sfollati (per la terza volta) nell’area di Wadi Atir, dove vivono tutt’oggi. Lì avevano costruito le loro case fisse, fatte di mattoni e cemento, e avevan investito tutti i loro sforzi per riprendere la loro integrazione sociale e tribale, alterata in seguito ad ogni sfollamento. Ora il villaggio conta 150 famiglie con una popolazione di 1000 persone, tutti appartenenti alla tribù di Abu al-Qaya’an”.

Pronti a morire per il nostro villaggio.

Salim Abu al-Qaya’an, sindaco del villaggio, ha dichiarato: “Con il pretesto della costruzione abusiva ci hanno privati di tutti i servizi, perfino dell’acqua potabile, il tutto per spingerci ad abbandonare il nostro villaggio”.

In alcune dichiarazioni rilasciate a Quds Press, Abu al-Qaya’an afferma che gli abitanti del villaggio hanno respinto la decisione israeliana, e sono determinati a non lasciare la loro terra, anche se le autorità di occupazione dovessero usare la forza per sfollarli.

Egli ha aggiunto: “Abbiamo giurato di morire su questa terra. Questa volta non sarà come le precedenti: difenderemo la nostra terra e il nostro villaggio con tutte le nostre forze e con tutti i mezzi, perché se dovessero riuscire a cacciarci dalle nostre case, tale comportamento verrà applicato a tutti i villaggi arabi del Negev”.

Il sindaco ha definito la decisione del consiglio israeliano, “razzista”, e ha aggiunto che le autorità di occupazione si dovranno scontrare con i residenti del Negev, nel caso in cui decidessero di evacuarli con la forza.

Abu al-Qaya’an ha condannato la decisione israeliana di dare il nome del suo villaggio al nuovo insediamento pianificato, sottolineando che ciò rappresenta “un tentativo di furto israeliano ai danni della storia e la geografia palestinese del Negev. Con ciò gli israeliani vorrebbero affermare che la presenza ebraica in quel deserto è di vecchia data”.

Sradicare la presenza palestinese dal Negev.

Da parte sua, il deputato arabo nel parlamento israeliano Ibrahim Sarsour, capo della Lista araba unita per il cambiamento, ha condannato “il sostegno del governo al complotto che ha lo scopo di eliminare il villaggio arabo di Umm al-Hairan per sostituirlo con un insediamento ebraico del nome Hairan”. Egli ha definito l’attuazione di questo piano una “nuova aggressione che si somma al numero infinito di aggressioni contro la presenza araba nel Negev, dalla fondazione dello Stato ebraico fino a oggi. Ciò dimostra che Israele sta applicando, pur lentamente ma in modo pericoloso, il suo piano di pulizia etnica, nonostante i rischi che comporterebbe per ciò che rimane del rapporto tra Israele e il popolo arabo”.

Il deputato ha aggiunto che questa decisione fa parte della sistematica politica israeliana atta a sradicare la presenza araba nel Negev, attraverso i tentativi di strangolarla, assediarla e controllarla, per deportarla nel momento giusto. Egli ha anche sottolineato che la decisione di demolire le case del villaggio e sfollare tutti i suoi abitanti per creare un nuovo insediamento ebraico, “svela le intenzioni di Israele e le sue politiche contro la presenza araba, messe in atto senza alcun riguardo per la giustizia, la legge o il buon senso”.

Sarsour ha affermato che la decisione israeliana rappresenta la più grande testimonianza delle politiche razziste dei governi sionisti nei confronti degli arabi: “Ciò che accadrà a Umm al-Hairan si replicherà con decine di villaggi arabi. Questo dimostra che la politica di espulsione degli arabi è una parte integrante dell’ideologia sionista. Il caso della tribù di Abu al-Qaya’an, che venne espulsa dalla propria terra nel 1948 per assegnarla ai cittadini ebrei, e viene cacciata anche ora per lo stesso motivo, può essere definito ‘politica di Apartheid per eccellenza’”.

* Il Piano Praver (dal nome dell’ex collaboratore di Netanyahu, Ehud Praver) riguarda la demolizione di 20 villaggi non riconosciuti e l’espulsione di 20-40.000 residenti, se questi non accettassero un’offerta di compensazione piuttosto scarsa ed inadeguata”.