Obama all’Onu respinge lo Stato palestinese

Onu – InfoPal. Il presidente americano Barak Obama ha respinto, nel suo discorso di ieri, il piano con il quale i palestinesi intendono chiedere la benedizione internazionale del loro Stato e, da parte sua, ha insistito per un ritorno ai negoziati con Israele rischiando, in tal modo, di dar luogo a un imminente disastro diplomatico.

Rivolgendosi all’Assemblea Generale Onu, Obama – i cui precedenti sforzi di pace avevano prodotto ben poco – ha insistito sui negoziati in Medio Oriente: “La pace non giungerà per mezzo di dichiarazioni o risoluzioni”.

“Non esiste una scorciatoia per porre fine al decennale conflitto. La pace è una missione dura da realizzare”.

Obama si è aggrappato alla crisi economia, al calo dei sondaggi nazionali e ai crescenti dubbi all’estero sulla sua leadership. La sua diplomazia in Medio Oriente, insomma, procede camminando sui trampoli, e questo lo condurrà a un punto critico per la sua presidenza e per la credibilità del suo Paese nel mondo.

Egli sta affrontando un test scoraggiante che prova come l’influenza americana nella regione sia erosa. Lo ha dimostrato la sua ultima disfatta, quando ha provato a convincere i palestinesi a non portare avanti  la loro richiesta di uno Stato indipendente al Consiglio di Sicurezza Onu questa settimana. Ma i palestinesi sono intenzionati a farlo, a dispetto dell’opposizione israeliana e della minaccia del veto Usa.

Salendo sul podio dell’Onu, Obama ha tentato di sbilanciare il delicato equilibrio. Ha rassicurato i palestinesi che, così dichiarando, egli non sta abbandonando il proprio impegno ad aiutarli a fondare il loro Stato, mentre, da un altro lato, ha cercato di placare le preoccupazioni di Israele in materia di sicurezza e ha reiterato le promesse di Washington.

I membri dell’Assemblea generale Onu – dove si è riscontrato un alto indice di gradimento per i palestinesi – lo hanno ascoltato tutti, ma il responso al discorso di Obama – durato 36 minuti – è stato un freddo silenzio.

Diffuso era lo scetticismo sulle probabilità che le parole di Obama potessero suscitare successo – non solo per le profonde divergenze tra le due parti – e sul fatto che il presidente Usa non sia capace di fare molto, se non contenere i danni.

L’amministrazione di Obama aveva affermato che “solo colloqui diretti possono portare alla pace con i palestinesi”. Questi ultimi sostengono: “Dopo due decadi di negoziati privi di risultati, non abbiamo avuto altra scelta se non quella di rivolgerci all’organizzazione internazionale”.

Al discorso di Obama hanno fatto seguito una serie di colloqui con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il quale ha ribadito le affermazioni americane sul ripristino dei negoziati come unica via per la pace, senza, tuttavia, fare alcuna nuova proposta.
“Non avrà successo”, ha affermato Netanyahu con riferimento alla mossa palestinese all’Onu per il proprio Stato.

Dopo anni di ostracismo della diplomazia americana, ieri gli europei sono sembrati essere meramente pazienti.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha esposto un piano ambizioso per la ripresa dei negoziati entro un mese e per raggiungere un accordo finale entro un anno.

Il dramma dello Stato. Dal momento che America, Israele e leadership palestinese lottano tutti all’ombra delle rivolte arabe dalle quali stanno venendo fuori nuove tensioni politiche in Medio Oriente, il dramma del voto all’Onu per lo Stato palestinese rappresenta un fuorigioco.

Esso arriva anche nel periodo in cui Israele si ritrova maggiormente isolato rispetto agli ultimi decenni e rappresenta una sfida per Washington. Continuando a proteggere Israele, gli Stati Uniti produrranno un aumento della diffidenza araba in un momento in cui l’inclinazione di Obama per il mondo musulmano è già al tramonto.

Annotando le profonde frustrazioni per la mancanza di qualunque progresso sul fronte israelo-palestinese, Obama ha affermato: “Israele deve sapere che qualunque accordo sarà condotto nel nome della sua sicurezza. (…) I palestinesi meritano di avere certezze sulle basi territoriali del loro Stato”.

Dopo il suo discorso all’Onu, Obama avrebbe poi incontrato il presidente dell’Autorità palestinese (Anp), Mahmoud ‘Abbas.

Con l’imminente questione che domina l’agenda Onu di Obama, il suo fallimento nel disinnescare la situazione non segnerà solo una sconfitta diplomatica per il presidente americano, ma sarà anche il segno eloquente dei nuovi limiti statunitensi. E questi segnali avranno il loro peso in Medio Oriente.

Nel suo discorso, Obama ha dato sostegno ai cambiamenti democratici nel mondo arabo, insistendo sulla necessità di imporre ulteriori sanzioni contro il leader siriano Bashar al-Assad e richiamando Iran e Corea del Nord a rispettare i propri obblighi in materia di nucleare – due punti questi, che sono serviti a Obama ad evadere dalla risoluzione dei palestinesi.

I diplomatici da Usa, Russia, Unione Europea (Ue) e Onu – ovvero il Quartetto per il Medio Oriente composto da mediatori -, hanno cercato di raggiungere un altro compromesso, senza risultati.

Il discorso di Obama non ha offerto alcuna nuova ricetta per la pace israelo-palestinese. A maggio scorso egli era stato chiaro su un accordo finale che aveva provocato l’ira di Israele quando aveva dichiarato che “il punto di partenza per qualunque negoziato, sarebbero state le frontiere antecedenti alla guerra del 1967 (a partire da quell’anno, e fino ad oggi, occupate da Israele, ndr)”.

Obama chiederà un faccia a faccia con ‘Abbas, per farlo desistere dal sottoporre al Segretario generale Onu, Ban Ki-moon, la richiesta di piena adesione alla comunità internazionale, domani, venerdì 23 settembre. Gli Usa hanno annunciato di voler porre il veto per bloccare l’iniziativa.

Ed è stato prevedibile che, durante incontri separati, Obama avesse chiesto a Netanyahu – da cui era stato posto sotto pressione – di aiutarlo ad adulare ‘Abbas, convincerlo a tornare ai negoziati, mentre chiedeva al premier israeliano di mettere a freno le nuove pericolose tensioni con Egitto e Turchia, due partner regionali di rilievo dell’America.

E’ inverosimile che il presidente americano potesse fare troppe pressioni sui falchi della leadership israeliana in merito a concessioni da riservare ai palestinesi. Obama, infatti, è conscio di non poter osare alienare l’ampia base del sostegno che Israele gode tra gli elettori americani, dal momento che nel 2012 egli dovrà inaugurare la propria campagna elettorale.

Gran parte degli analisti sono scettici sul fatto che l’ultima diplomazia di Obama e quella di altri possano fare abbastanza per spronare negoziati che siano attendibili e dopo i precedenti sforzi che hanno condotto a un punto morto.

Il discorso di Barak Obama

Elisa Gennaro

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