Obama e Fratelli musulmani, convergenza sulla Turchia

Di Maurizio Molinari. La Stampa

24 Maggio 2012

Il presidente, pronto a “sdoganarli”, li riceve a Washington.

Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Georgetown University e Fondazione Carnegie: le porte di Washington si sono aperte in aprile a una delegazione dei Fratelli musulmani egiziani segnando il formale momento di inizio di un dialogo con l’amministrazione degli Stati Uniti d’America che rientra nella strategia di Barack Obama di consolidare i rapporti con i partiti islamici considerati «più moderati» nonché protagonisti della stagione della Primavera araba.

La scelta di far cadere il tabù dei rapporti con l’Islam fondamentalista risale al 2009, quando Obama scelse il podio dell’Università cairota di Al Azhar, loro roccaforte, per aprire una nuova stagione di dialogo con i musulmani traducendo in politica il suggerimento che nel febbraio precedente l’opinionista Fareed Zakaria gli aveva dato dalle colonne di «Newsweek»: «Dobbiamo imparare a vivere con l’Islam radicale». Il rovesciamento di Hosni Mubarak in Egitto, nel febbraio 2011, ha offerto un concreto terreno di incontro fra l’amministrazione Obama e l’Islam politico perché mentre la Casa Bianca spingeva il Raiss ad abbandonare il potere i Fratelli musulmani erano in piazza a sostenere la rivolta popolare. I contatti diretti sono iniziati poco dopo la caduta di Mubarak e la vittoria dei Fratelli musulmani nelle elezioni parlamentari terminate lo scorso gennaio ha spinto la Casa Bianca ad accelerarli, in vista delle presidenziali che potrebbero portare a prevalere proprio un candidato islamico.

Da qui la decisione di accogliere a Washington una delegazione del partito Libertà e Giustizia, espressione diretta dei Fratelli musulmani, che si è presentata alla Casa Bianca con le parole di Sondos Asem: «Rappresentiamo il punto di vista dei musulmani moderati, centristi, e le nostre priorità sono economiche e politiche, vogliamo preservare gli ideali di giustizia sociale della rivoluzione e garantire la sicurezza del nostro popolo».

Da quanto trapelato, durante i colloqui gli ospiti egiziani hanno scelto di tacere del tutto sui temi più spinosi: aiuti statunitensi all’esercito egiziano e trattato di pace con Israele. Sebbene l’amministrazione Obama non abbia mai specificato i nomi dei funzionari che hanno ricevuto Asem e gli altri componenti della delegazione, la svolta avvenuta si spiega con la scelta della Casa Bianca di raccogliere le indicazioni giunte da due degli Paesi mediorientali più vicini e ascoltati: la Turchia e il Qatar. Se l’Emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa al-Thani, è stato il primo, dopo la caduta di Gheddafi a Tripoli, a suggerire a Obama di «aprire il dialogo con i partiti islamici nel mondo arabo perché sono le forze che guideranno la primavera di riforme», la Turchia guidata dal primo ministro Recep Tayyp Erdogan è considerata da Washington il modello di democrazia islamica da promuovere in Medio Oriente.

Tantopiù che un sondaggio appena pubblicato dalla Brookings Istitution testimonia che la nazione straniera più ammirata dagli egiziani è con una percentuale del 61 per cento proprio la Turchia. Erdogan è anche il leader straniero con cui il presidente Obama registra il maggior numero di contatti fra incontri e telefonate – perché in comune c’è l’approccio alla Primavera araba, confermato dal fatto che durante una riunione a Washington fra islamici tunisini, marocchini ed egiziani si è discusso proprio di «modello turco».