Obama: “Trasformare il Medio Oriente”. Il gulag americano

Global Research. Di James Petras.

Durante l’inizio del suo primo mandato, il presidente Obama aveva promesso “di trasformare il Medio Oriente in una zona di prosperità e di libertà”. A sei anni di distanza, la realtà dei fatti è totalmente contraria: il Medio Oriente è governato da regimi dispotici, le cui carceri traboccano di prigionieri politici. La stragrande maggioranza degli attivisti a favore della democrazia che sono stati incarcerati sono stati oggetto di torture e stanno scontando lunghe pene detentive. I governanti mancano di legittimità dopo aver assunto il potere e mantenuto il loro dominio attraverso uno stato di polizia centralizzato ed una repressione militare. Interventi militari diretti statunitensi e quelli della CIA, massicci rifornimenti di armi, basi militari, missioni di addestramento e forze speciali sono tutti estremamente determinanti nella costruzione di una catena di gulag che si estende dal Nord Africa fino agli stati del Golfo.

Si procederà documentando prima la scala e la portata della repressione politica in ogni stato di polizia sostenuto dagli Stati Uniti, successivamente si descriverà l’entità e la portata degli aiuti militari americani che rafforzano l’idea del “trasformare il Medio Oriente” in una catena di prigioni politiche gestite da ed in favore dell’impero americano.

I paesi ed i regimi interessati sono Egitto, Israele, Arabia Saudita, Bahrain, Iraq, Yemen, Giordania e Turchia, ognuno dei quali promuove e difende gli interessi imperiali degli Stati Uniti contro la maggioranza in favore della democrazia, rappresentata da movimenti politico-sociali indipendenti.

Egitto: Uno strategico stato vassallo

Uno stato vassallo di lunga data ed il più grande paese arabo in Medio Oriente, l’attuale dittatura militare in Egitto, frutto del colpo di stato nel luglio 2013, ha scatenato un’ondata selvaggia di repressione in seguito alla presa del potere. Secondo il Centro egiziano per i diritti sociali ed economici, nel secondo semestre del 2013, sono state arrestate 21.317 persone che manifestavano in favore della democrazia. A partire da aprile 2014, oltre 16.000 prigionieri politici sono incarcerati e la maggior parte è stata torturata. I processi farsa dei tribunali fantoccio hanno comminato condanne a morte per centinaia di persone e lunghe pene detentive per la maggior parte di esse. Il regime di Obama si è rifiutato di chiamare “colpo di stato” il rovesciamento militare del governo – democraticamente eletto – di Morsi, al fine di continuare a fornire aiuti militari alla giunta. In cambio, la dittatura militare continua a sostenere il blocco israeliano di Gaza e le operazioni militari statunitensi in tutto il Medio Oriente.

Israele: Il più grande carceriere della regione

Israele, i cui sostenitori statunitensi si ostinano a definire “ l’unica democrazia del Medio Oriente”, è infatti il ​​più grande carceriere della regione.

Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselm, tra il 1967 ed il dicembre 2012, sono stati detenuti oltre 800.000 palestinesi, vale a dire oltre il 20% della popolazione. Oltre 100.000 sono stati costretti alla “detenzione amministrativa” senza accuse specifiche né un vero e proprio processo. Quasi tutti sono stati torturati e brutalizzati. Attualmente Israele ha 4.881 prigionieri politici in carcere. E questo stato ebraico sarebbe quello scelto da Dio… il maggiore carceriere, tuttavia, è il “proprietario” di 1,82 milioni di palestinesi che vivono a Gaza in una prigione virtuale a cielo aperto. Israele ne limita i viaggi, il commercio, la pesca, l’edilizia, la manifattura e l’agricoltura attraverso blocchi di polizia e politiche restrittive per aria, mare e terra. Inoltre i 2,7 milioni di palestinesi che vivono nei territori occupati (Cisgiordania) sono circondati da mura simili a prigioni, soggetti ad incursioni militari quotidiane, arresti arbitrari ed aggressioni violente da parte delle forze armate israeliane e dei coloni ebrei impegnati nella spoliazione continua dei beni degli abitanti palestinesi.

Arabia Saudita: Una monarchia assoluta

Secondo la “trasformazione del Medio Oriente” del presidente Obama l’Arabia Saudita si configura come “l’alleato più fedele nel mondo arabo” di Washington. Come uno stato vassallo fedele, le sue prigioni traboccano di dissidenti democratici, in carcere per aver cercato libere elezioni, libertà civili e la fine delle politiche misogine. Secondo la Commissione islamica di diritti umani, i sauditi stanno trattenendo 30.000 prigionieri politici, la maggior parte dei quali arbitrariamente detenuti senza accuse né processo.

La dittatura saudita gioca un ruolo importante nel finanziamento dei regimi statali di polizia in tutta la regione. Hanno versato 15 miliardi dollari nelle casse della giunta egiziana in seguito al colpo di stato militare, come ricompensa per la massiccia e sanguinosa epurazione dei funzionari eletti e dei loro sostenitori in favore della democrazia. L’Arabia Saudita gioca un ruolo importante nel sostenere il dominio di Washington, finanziando e dotando di armi i “regimi-carcerieri” di Pakistan, Yemen, Bahrain, Giordania ed Egitto.

Bahrain: Piccolo paese, numerose carceri

Secondo il rispettato centro locale per i diritti umani, il Bahrain ha il triste primato di essere il “paese con il più alto numero di prigionieri politici pro capite a livello mondiale”. Secondo l’Economist (02/04/14) il Bahrain ha ben 4.000 prigionieri politici su una popolazione di 750.000 persone. Secondo il Pentagono, la dittatura assolutista del Bahrain svolge un ruolo fondamentale nel fornire agli Stati Uniti basi aeree e marittime per attaccare Iraq, Iran e Afghanistan. La maggior parte dei dissidenti che manifestano per la democrazia sono in carcere per aver cercato di porre fine al vassallaggio, all’autocrazia ed al servilismo nei confronti degli interessi imperiali degli Stati Uniti e della dittatura saudita.

Iraq: Abu Ghraib in caratteri arabi

Cominciando con l’invasione e l’occupazione statunitense dell’Iraq nel 2003 e continuando con la delega al suo primo ministro vassallo Nouri al-Maliki, decine di migliaia di cittadini iracheni sono stati torturati, incarcerati e uccisi. La giunta militare dell’Iraq ha continuato a fare affidamento sui militari degli americani e le loro forze speciali, nonché a coinvolgere le medesime tipologie di “ripulite” militari che sviscerassero eventuali pretese democratiche. Il potere di al-Maliki si basa sui rami speciali della sua polizia segreta, la famigerata Brigata 56, per assaltare le comunità di opposizione e le roccaforti dei dissidenti. Sia il regime sciita che l’opposizione sunnita sono continuamente impegnati in un regime di guerra del terrore. Entrambi hanno svolto la funzione di stretti collaboratori di Washington in momenti diversi.

Il bilancio settimanale delle vittime è sempre intorno alle centinaia. Il regime di al-Maliki ha ripreso il potere sui centri di tortura (tra cui Abu Ghraib), le tecniche e le carceri in precedenza gestite dagli Stati Uniti e ha mantenuto i consiglieri americani delle “Special Forces” a supervisionare i raduni di esperti di diritti umani, sindacalisti e dissidenti democratici.

Yemen: Un satellite congiunto USA-Arabia Saudita

Lo Yemen è stato governato per decenni da dittatori clienti americano-sauditi. Il governo autocratico di Ali Abdullah Saleh è stato accompagnato dall’incarcerazione e dalla tortura di migliaia di attivisti democratici, laici e religiosi, inoltre è servito come centro di tortura clandestino per quei dissidenti politici rapiti e trasportati dalla CIA sotto la cosiddetta dicitura “programma di consegne”. Nel 2011 nonostante la repressione prolungata e violenta da parte del regime filoamericano di Saleh, è esplosa una ribellione di massa minacciando l’esistenza dello Stato e dei suoi legami con gli Stati Uniti e regimi sauditi. Al fine di preservare la loro posizione dominante ed i legami con i militari, Washington e l’Arabia hanno orchestrato un “rimpasto del regime”: si sono svolte elezioni truccate ed un tale Abdo Rabbo Mansour Hadi, amico intimo di Saleh e fedele a Washington, è salito al potere. Hadi ha continuato dove Saleh era stato interrotto: rapimenti, torture, uccisione dei manifestanti pro-democrazia … Washington ha scelto di chiamare il governo di Hadi “ una transizione verso la democrazia”. Secondo il Yemen Times (05/04/14) oltre 3.000 prigionieri politici riempiono le carceri dello Yemen . La “democrazia della prigione” serve a consolidare la presenza militare americana nella penisola arabica.

Giordania: Un durevole stato di polizia-cliente di lunga data

Per oltre mezzo secolo, tre generazioni di monarchi assoluti giordani sono stati sul libro paga della CIA e hanno servito gli interessi americani in Medio Oriente. I governanti vassalli della Giordania hanno assalito i movimenti nazionalisti arabi e quelli di resistenza palestinese; hanno firmato un cosiddetto “accordo di pace” con Israele per reprimere qualsiasi sostegno transfrontaliero nei confronti della Palestina; hanno fornito basi militari a sostegno di Stati Uniti, Arabia ed Europa, addestrando, inserendo e finanziando i mercenari che invadevano la Siria.

La monarchia corrotta e la sua oligarchia hanno perpetrato un’economia perennemente dipendente dai sussidi stranieri per stare a galla: la disoccupazione sfiora il 25% e la metà della popolazione sopravvive in stato di povertà. Il regime ha imprigionato migliaia di manifestanti pacifici. Secondo un recente rapporto di Amnesty International (Giordania 2013), la dittatura di re Abdullah “ ha arrestato migliaia di persone senza processo”. La monarchia della prigione svolge un ruolo centrale nel rafforzare la costruzione dell’impero americano in Medio Oriente e nel facilitare la sottrazione israeliana di terra in Palestina.

Turchia: Baluardo della NATO e democrazia delle prigioni

Sotto il regno del sedicente partito di “Giustizia e Sviluppo”, guidato da Tayyip Erdoğan, la Turchia si è trasformata in una delle maggiori basi operative militari per l’invasione della Siria sostenuta dalla NATO. Erdoğan ha avuto le sue divergenze con gli Stati Uniti: in particolare, il raffreddamento delle relazioni turche con Israele a seguito dell’ultimo sequestro di una nave turca in acque internazionali ed il massacro di nove attivisti umanitari turchi disarmati. Ma dal momento che la Turchia si è trasformata progressivamente in una nazione sempre più assoggettata ai flussi di capitale internazionale ed integrata nelle guerre internazionali della NATO, Erdoğan è diventato più autoritario. Di fronte alle sfide pubbliche su larga scala nei confronti della sua privatizzazione arbitraria degli spazi pubblici ed all’espropriazione delle abitazioni in quartieri popolari, Erdoğan ha inaugurato una sorta di purga della società civile, dei movimenti di classe e delle istituzioni statali. A fronte delle manifestazioni di massa a favore della democrazia nell’estate del 2013, Erdoğan ha intrapreso un assalto selvaggio nei confronti dei dissidenti. Secondo i gruppi per i diritti umani, oltre 5.000 sono stati arrestati e 8.000 sono stati feriti durante le proteste di Gezi Park.

All’inizio Erdoğan ha istituito i “tribunali speciali autorizzati”, incaricati di organizzare processi politici farsa sulla base di prove falsificate che avevano facilitato l’arresto e la detenzione di centinaia di ufficiali militari, attivisti di partito, sindacalisti, avvocati dei diritti umani e giornalisti, in particolare quelli critici nei confronti del suo sostegno alla guerra contro la Siria. Nonostante la retorica conciliante, le carceri di Erdogan trattengono diverse migliaia di dissidenti curdi, tra cui attivisti elettorali e legislatori (Global Views 17/10/12).

Mentre Erdogan ha servito come un’ancora islamista capace e leale contro movimenti popolari democratici e nazionalisti in Medio Oriente, la sua ambizione di una maggiore influenza turca nella regione ha portato gli Stati Uniti ad approfondire i legami politici con il più sottomesso, filoamericano e filoisraeliano movimento Gulen, incorporato nell’apparato statale, nelle imprese e nell’istruzione. Quest’ultima ha adottato una strategia di espansione: epurare gli avversari nella sua tranquilla marcia al potere all’interno dello Stato. Gli Stati Uniti si basano ancora sulla “democrazia della prigione” di Erdoğan per reprimere i movimenti anti-imperialisti in Turchia, nonché come ancoraggio militare per la guerra contro la Siria, per eseguire le sanzioni contro l’Iran e sostenere il regime pro-NATO di Maliki in Iraq.

Il Gulag del Medio Oriente e gli aiuti militari degli Stati Uniti

I regimi statali di polizia e la cultura politica autoritaria di lungo periodo nel mondo arabo sono un prodotto del sostegno militare degli Stati Uniti a lungo termine ai governanti dispotici. L’assenza di democrazia è una condizione necessaria per l’espansione e l’escalation della presenza militare imperiale degli Stati Uniti nella regione.

Un piccolo esercito di accademici islamofobi statunitensi, “esperti”, giornalisti e critici televisivi ignorano completamente il ruolo degli Stati Uniti nel promuovere, sostenere e rafforzare i dittatori al potere e nel reprimere quei movimenti di massa profondamente democratici che sono scoppiati nel corso di un lungo periodo di tempo. Guidati da scribi e studiosi filoisraeliani mediorientali nelle università della Ivy League, questi propagandisti sostengono che le dittature arabe sono il risultato di una “cultura islamica” o della “personalità autoritaria degli arabi” sempre alla ricerca di un uomo forte per guidarli e governarli. Ignorando o falsando la storia delle lotte della classe lavoratrice, delle proteste per democrazia e la sua affermazione in tutti i principali paesi arabi, questi studiosi giustificano i legami degli Stati Uniti verso le dittature come “politiche realistiche”, date le “opzioni disponibili”.

Dovunque la democrazia reale comincia ad emergere ed i diritti politici ad essere esercitati, Washington provoca colpi di stato ed interviene per sostenere l’apparato repressivo dello Stato (Bahrain 2011-2014, Yemen 2011-2014, Egitto 2013, Giordania 2012, oltre a numerosi altri casi). Poiché la maggior parte degli “esperti” del Medio Oriente incolpa i cittadini arabi dei governi autoritari, essi ignorano completamente e nascondono la maggioranza razzista di Israele che sostiene saldamente la detenzione e la tortura di centinaia di migliaia di palestinesi in cerca della democrazia.

Per capire il gulag del Medio Oriente è necessaria una precisazione in merito alla “politica degli aiuti” degli Stati Uniti, che è centrale nel sostenere i “regimi delle prigioni”.

Gli aiuti degli Stati Uniti in Egitto: Miliardi per i dittatori

Lo stato di polizia egiziano blocca ‘l’arco imperiale’ statunitense dal Nord Africa al Medio Oriente. L’Egitto è stato attivamente impegnato nella destabilizzazione di Libia, Sudan, Libano e Siria, nonché nel collaborare con Israele per l’espropriazione dei palestinesi. La dittatura di Mubarak ha ricevuto 2 miliardi di dollari in un anno da Washington – dei quasi 65 miliardi di dollari totali per i suoi servizi imperiali. Tali aiuti degli Stati Uniti hanno rafforzato la sua capacità di incarcerare e torturare gli attivisti pro-democrazia ed i sindacalisti. Washington ha continuato con il suo sostegno militare nei confronti del regime dittatoriale in seguito al colpo di stato militare contro il primo governo democraticamente eletto dell’Egitto, per una somma di 1,55 miliardi di dollari per il 2014.

Nonostante le “espressioni di preoccupazione” per l’assassinio di migliaia di manifestanti in favore della democrazia da parte del nuovo generale dell’esercito Abdul Fattah al-Sisi, non vi è stato alcun taglio nei finanziamenti per la cosiddetta “lotta al terrorismo” e “sicurezza”. Per continuare a finanziare la dittatura in virtù della legislazione del Congresso degli Stati Uniti, Washington ha rifiutato di definire la violenta presa di potere come un colpo di stato… riferendosi ad esso come ad una “transizione verso la democrazia”. Il ruolo chiave dell’Egitto nella politica estera degli Stati Uniti è quello di proteggere il ‘fianco orientale’ di Israele. Gli aiuti americani all’Egitto sono il risultato della pressione e dell’influenza della configurazione del potere sionista al Congresso ed alla Casa Bianca: gli aiuti degli Stati Uniti sono tarati sulla ‘sorveglianza’ egiziana sul confine di Gaza, per assicurare che il blocco di Israele sia efficace. La Casa Bianca sostiene la repressione del Cairo nei confronti della maggioranza nazionalista ed anticoloniale che si oppone alla spoliazione dei palestinesi per mano di Tel Aviv. Nella misura in cui gli interessi israeliani definiscono la politica americana in Medio Oriente, il finanziamento di Washington alle dittature egiziane della prigione è coerente con la strategia sionista di Washington.

Israele: Il “perno” statunitense in Medio Oriente

I più indipendenti e competenti esperti concordano nel dire che la politica americana in Medio Oriente è in gran parte dettata da una moltitudine di fedelissimi sionisti che occupano posizioni chiave nella definizione delle politiche del dipartimento del Tesoro, di quello di Stato, del Pentagono e del Commercio, nonché grazie alla posizione dominante del Congresso da parte dei presidenti delle 52 maggiori organizzazioni ebraiche americane e dei loro 171.000 attivisti pagati a tempo pieno. Mentre c’è una parte di verità in quello che alcuni critici citano come la divergenza del ‘reale’ interesse nazionale statunitense dalle ambizioni coloniali di Israele, il fatto è che i leader degli Stati Uniti a Washington percepiscono una convergenza tra il dominio imperiale ed il militarismo israeliano. A dire il vero un Egitto sottomesso serve i più ampi interessi imperiali statunitensi e coloniali israeliani.

La guerra di Israele in Libano contro il movimento anti-imperialista Hezbollah è servita agli sforzi statunitensi sia per installare un ‘cliente’ docile così come è stata utile ai tentativi israeliani di distruggere un tale partigiano di autodeterminazione palestinese. La divergenza di Washington con Israele sull’espropriazione di quest’ultimo di tutta la Palestina si contrappone agli interessi di Washington verso un mini-stato palestinese gestito da funzionari arabi neo-coloniali. Come risultato dell’influenza sionista, Israele è il più grande beneficiario pro-capite degli aiuti degli Stati Uniti nel mondo, pur avendo un tenore di vita superiore al 60% dei cittadini statunitensi. Tra il 1985 ed il 2014, Israele ha ricevuto oltre 100 miliardi di dollari, di cui il 70% era per fini militari e comprendeva i più avanzati armamenti in quanto a tecnologia. Israele, il paese che possiede il record mondiale per i prigionieri politici e per gli attacchi militari contro i suoi vicini nel corso degli ultimi 40 anni, detiene anche il record di aiuti militari statunitensi. Israele, essendo la prima ‘democrazia delle prigioni’,  è un anello fondamentale nella catena del gulag che si estende dal Nord Africa agli stati del Golfo.

Arabia Saudita

L’Arabia Saudita compete con Israele per la posizione di centro di incarcerazione per i dissidenti favorevoli alla democrazia: i sauditi riciclano centinaia di miliardi di profitti petroliferi attraverso Wall Street, arricchendo i despoti sauditi locali e, al di là dell’oceano, i banchieri d’investimento filoisraeliani. La convergenza saudita-statunitense-israeliana è più che accidentale. Essi condividono interessi militari come il combattere i movimenti arabi pro-indipendenza e pro-democrazia in tutto il Medio Oriente. L’Arabia saudita ospita la principale base militare statunitense e le più grandi operazioni di intelligence nel Golfo; ha appoggiato l’invasione americana in Iraq; finanzia migliaia di mercenari islamici in guerra contro la Siria, delegati per conto di USA e NATO; ha invaso il Bahrain per distruggere il movimento pro-democrazia; è intervenuta con Washington a sostegno dello stato di polizia in Yemen; è il mercato più grande e più redditizio per il complesso militare-industriale degli Stati Uniti. Le vendite militari statunitensi tra il 1951 ed il 2006 ammontano a 80 miliardi di dollari. Nell’ottobre 2010 ha firmato un contratto d’acquisto da 60,5 miliardi di dollari per armi e servizi americani.

Bahrain: Una portaerei statunitense chiamata “Paese”

Il Bahrain serve come base navale per la quinta flotta degli Stati Uniti e come base operativa per attaccare l’Iran. È stato al servizio dell’occupazione dell’Afghanistan e del controllo delle rotte marittime del petrolio da parte degli Stati Uniti. La dittatura di al-Khalifa è estremamente isolata, altamente impopolare e affronta la pressione costante da parte della maggioranza favorevole alla democrazia: per sostenere i loro governanti vassalli, Washington ha aumentato le sue vendite militari per il piccolo staterello dai 400 milioni di dollari nel periodo 1993-2000 a 1,4 miliardi nel decennio successivo. Washington ha aumentato le sue vendite ed il programma di addestramento militare in modo direttamente proporzionale alla crescita del malcontento democratico, con conseguente crescita dei prigionieri politici.

Iraq: Guerra, occupazione e campi di eccidio di una democrazia delle prigioni

L’invasione e l’occupazione statunitense dell’Iraq hanno portato al massacro di quasi 1,5 milioni di iracheni (per lo più civili e non combattenti) per una spesa di 1,500 miliardi di dollari ed un bilancio di 4.801 militari statunitensi deceduti. Nel 2006 le “elezioni” pilotate dagli statunitensi hanno portato all’instaurazione del regime di Maliki , sostenuto dalle armi, dai mercenari, dai consulenti e dalle basi americane. Secondo un recente studio del Congressional Research Office (febbraio 2014) di Kenneth Kilzman, ci sono 16.000 militari americani e “impresari” attualmente in Iraq. Oltre 3.500 appaltatori militari statunitensi presso l’Ufficio della cooperazione di sicurezza rafforzano lo stato di polizia del corrotto Maliki. La democrazia della prigione è stata rifornita di missili e droni degli Stati Uniti e di oltre 10 miliardi di dollari in assistenza militare: questa cifra include 2,5 miliardi di dollari in aiuti e 7,9 miliardi di dollari di vendite tra il 2005 ed il 2013; per il periodo 2014 -2015 Malaki ha chiesto 15 miliardi di dollari di armi, tra cui 36 aerei da combattimento F-16 e decine di elicotteri d’attacco Apache. Nel 2013 il regime di Malaki ha registrato 8.000 decessi politici derivanti dalla sua guerra interna.

L’Iraq è un centro fondamentale per il controllo da parte degli Stati Uniti del petrolio, del Golfo e come trampolino di lancio per attaccare l’Iran. Mentre Maliki fa i ‘gestacci’ verso l’Iran, il suo ruolo di collegamento avanzato nel gulag imperiale degli Stati Uniti definisce la sua ‘funzione’ reale nella regione del Golfo.

Yemen: Avamposto militare nel deserto per il gulag americano

Lo Yemen costituisce un costoso avamposto militare per il dispotismo saudita e per il potere degli Stati Uniti nella penisola arabica. Secondo lo studio “Yemen: contesto e relazioni statunitensi” di Jeremy Sharp per il Congressional Research Service (2014) , gli Stati Uniti hanno fornito 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari allo Yemen nel periodo 2009-2014. L’Arabia Saudita ha donato 3,2 miliardi di dollari nel 2012 per sostenere la dittatura di Saleh a fronte di una sollevazione popolare anti-dittatoriale. Washington ha progettato un trasferimento di potere da Saleh al “presidente” Hadi e ha assicurato la sua continuità nel raddoppiare gli aiuti militari per mantenere le carceri piene e le rivolte sotto controllo. Secondo il New York Times (31/06/13) Hadi era “un derivato del dittatore Saleh”. La continuità di una democrazia della prigione nello Yemen è un collegamento cruciale tra il triangolo Egitto-Israele-Giordania ed il gulag imperiale di Arabia Saudita e Bahrain.

Giordania: Eterna vassalla e monarchia accattona

La monarchia dispotica della Giordania è rimasta sul libro paga degli Stati Uniti per oltre mezzo secolo. Recentemente è servita come centro di tortura per le vittime rapite e sequestrate dalle forze speciali statunitensi, impegnate nei “programmi di consegna”. La Giordania ha collaborato con Israele nelle aggressioni e negli arresti in terra giordana dei palestinesi impegnati nella lotta per la libertà. Attualmente la Giordania come la Turchia servono come base di formazione e di deposito di armi per i terroristi mercenari che invadono la Siria, supportati dalla NATO. Per la sua collaborazione con Israele, Washington e la NATO, la monarchia corrotta della prigione riceve aiuti economici e militari su larga scala ed a lungo termine. La monarchia e la sua rete estesa di compari, carcerieri e familiari maneggiano decine di milioni di dollari in aiuti esteri, che ripuliscono grazie a conti esteri a Londra, Svizzera, Dubai e New York. Secondo un report del Congressional Reaserch Service (27/01/14), gli aiuti degli Stati Uniti alla dittatura giordana ammontano a 660 milioni di dollari all’anno. Altri 150 milioni di dollari per aiuti militari sono stati convogliati al regime con l’inizio dell’intervento della NATO in Siria. Il fondo è stato indirizzato a costruire le infrastrutture intorno al confine sirio-giordano. Inoltre, la Giordania funge da canale principale per le armi dei terroristi che attaccano la Siria: 340 milioni di dollari destinati a “contingenze oltremare” probabilmente sono incanalati attraverso Amman per armare i terroristi che invadono la Siria. Nell’ottobre 2012, la Giordania ha firmato un accordo con gli Stati Uniti che consente ad un grande contingente di forze speciali di stabilire aerodromi e basi per rifornire ed addestrare terroristi.

Turchia: Un leale stato vassallo con ambizioni regionali

Ultimo baluardo militare meridionale della NATO, sulla frontiera della Russia, la Turchia è stata sul libro paga degli Stati Uniti per oltre 66 anni. Secondo un recente studio condotto da James Zanotti “Turchia-USA, difesa e collaborazione: prospettive e sfide” (Congressional Research Service, 08/04/11) in cambio del rafforzamento della potenza militare turca della “democrazia delle prigioni”, gli Stati Uniti hanno assicurato una maggiore presenza militare, attraverso una grande base aerea a Incirlik, un importante centro operativo che ospita 1.800 militari statunitensi. La Turchia ha collaborato con l’invasione e l’occupazione afghana degli Stati Uniti, per poi sostenere il bombardamento NATO della Libia. Oggi la Turchia è il più importante centro operativo militare per i terroristi jihadisti che invadono la Siria. Nonostante la periodica e demagogica retorica nazionalista del presidente Erdogan, i costruttori dell’impero statunitense continuano ad avere accesso alle basi turche ed ai corridoi di trasporto per le loro guerre, occupazioni ed interventi in Medio Oriente e nell’Asia centromeridionale. In cambio gli Stati Uniti hanno stanziato sistemi di difesa antimissile e hanno notevolmente aumentato le vendite di armi, con il nome di “ assistenza alla sicurezza”. Tra il 2006 e il 2009 le vendite militari statunitensi hanno superato i 22 miliardi di dollari. Nel 2013-14, le tensioni tra Turchia e Stati Uniti sono aumentate dal momento che Erdoğan era deciso ad eliminare lo stato dei gulenisti, la quinta colonna americana, che permeava lo Stato turco ed utilizzava la sua posizione privilegiata per sostenere più da vicino la confluenza tra gli interessi militari israeliani e statunitensi.

Conclusione

L’espansione dell’impero statunitense in tutto il Nord Africa e nel Medio Oriente è stata costruita intorno all’armamento ed al finanziamento degli stati vassalli che potessero servire come avamposti militari dell’impero. Questi regimi vassalli, governati da monarchie dittatoriali e governanti militari e civili autoritari, si basano sulla forza e sulla violenza per sostenere il loro regime. Gli Stati Uniti hanno fornito le armi, i consiglieri ed i finanziamenti, permettendo loro di governare. L’arco di basi militari imperiali statunitensi che si estende dall’Egitto attraverso Israele, Turchia, Giordania, Yemen, Iraq, Bahrain e Arabia Saudita è protetto da una catena di campi di prigionia contenenti decine di migliaia di prigionieri politici.

L’impegno degli Stati Uniti e la sua presenza pervasiva in tutta la regione sono accompagnati da una catena di democrazie e dittature delle prigioni. Contrariamente agli esperti e studiosi delle politiche liberali e conservatrici, la politica degli Stati Uniti per oltre 50 anni ha attivamente cercato, installato e protetto quei tiranni sanguinari che hanno poi saccheggiato il tesoro pubblico, concentrato la ricchezza, ceduto la sovranità e sottosviluppato loro economie.

Gli accademici filoisraeliani presso le più prestigiose università statunitensi hanno sistematicamente distorto le basi strutturali della violenza, dell’autoritarismo e della corruzione nel mondo islamico: incolpano le vittime, ovvero il popolo turco e arabo, ed ignorano il ruolo dei costruttori dell’impero statunitense nel finanziamento e nell’armamento di civili autoritari, governanti militari, monarchie assolutiste e dei loro funzionari militari, giudiziari e di polizia corrotti.

Contrariamente ai tomi mendaci pubblicati dalla prestigiosa stampa universitaria e redatti dai più illustri propagandisti politici filoisraeliani, la trasformazione del Medio Oriente dipende dalla forza delle correnti democratiche nella società islamica. Esse si trovano nei movimenti studenteschi, tra i sindacalisti e disoccupati, tra quegli intellettuali nazionalisti e quelle forze islamiche e laiche che si oppongono all’impero degli Stati Uniti per motivi molto pratici ed evidenti: insieme ad Israele, gli Stati Uniti sono il principale organizzatore della vasta catena di campi politici di prigionia che distruggono le forze più creative e dinamiche della regione. L’ampio vassallaggio arabo provoca l’esplosione periodica di una vibrante cultura democratica e di un altrettanto vivace movimento pro-democrazia; il che purtroppo si traduce anche in maggiori aiuti militari degli Stati Uniti ed in una crescente presenza americana. Il vero scontro di civiltà è tra le aspirazioni democratiche delle classi popolari orientali e l’autoritarismo profondamente radicato nell’imperialismo euro-americano-israeliano.

Traduzione di Erica Celada