“Ognuno di noi era un bersaglio”, afferma un testimone degli attacchi israeliani alla moschea di Al-Aqsa

MEMO. Di Laila Ahmet. Il fotoreporter palestinese Mohammed Atiq stava seguendo gli attacchi israeliani contro i fedeli nei cortili della Moschea di Al-Aqsa, la scorsa settimana, quando le forze di sicurezza gli hanno sparato alla schiena colpendolo con proiettili di acciaio rivestiti in gomma. Lui ed i suoi colleghi sono rimasti feriti anche da schegge di granate stordenti lanciate direttamente contro di loro dalle forze israeliane, che hanno sparato anche gas lacrimogeni, provocando svenimenti e soffocamenti tra i giornalisti ed i fedeli presenti nel luogo sacro. Questi attacchi hanno avuto inizio venerdì 7 maggio.

Secondo Sheikh Azzam Al-Khatib, Direttore Generale del Dipartimento dei Beni Islamici di Gerusalemme, circa 70.000 Palestinesi hanno effettuato quel giorno la quarta ed ultima preghiera del venerdì del mese di Ramadan, presso la Moschea di Al-Aqsa nella città occupata, nonostante le restrizioni israeliane.

“L’enorme numero di fedeli ha preoccupato le autorità israeliane, soprattutto perché era previsto che 30.000 coloni avrebbero celebrato una festa ebraica un paio di giorni dopo, chiamata il Jerusalem Day” mi ha confidato Atiq. L’aggressione israeliana contro la moschea è stata un tentativo di svuotare il luogo sacro.

“Le forze israeliane hanno invaso Al-Aqsa e colpito la gente mentre stava pregando” ha ribadito. “La preghiera è durata due ore. Nel corso di quelle due ore gli incidenti sono via via aumentati. Mentre una metà dei fedeli pregava, l’altra metà cercava di proteggerli dalle aggressioni”. Oltre il 70 percento dei fedeli sono stati scacciati dalla moschea ed obbligati ad abbandonare il luogo sacro.

“Lunedì è poi stato il giorno del grande assalto dopo tre giorni di continue aggressioni contro i fedeli”, ha spiegato Atiq. “Tremila soldati sono entrati nella moschea, prima volta ad averlo fatto in numero così grande dalla rivolta del 2000. Sono state ferite molte persone perché i militari miravano deliberatamente alla testa, al viso e agli occhi. Ho visto persone perdere gli occhi. Ognuno di noi era un bersaglio, e l’intenzione era chiaramente quella di ferire le persone”.

L’ufficio per gli affari umanitari dell’ONU nei territori palestinesi occupati (OCHA) ha reso noto che le forze israeliane hanno ferito 1.000 Palestinesi a Gerusalemme Est dal 7 al 10 maggio. “Il numero reale dei feriti è di molto superiore ai numeri ufficiali riportati. La maggior parte dei casi, come ad esempio il mio, non sono stati riportati perché non siamo andati all’ospedale per timore di essere arrestati”, ha sottolineato Atiq.

Proprio due settimane prima delle aggressioni alla moschea, in effetti è stato arrestato mentre si recava alla preghiera del secondo venerdì di Ramadan, alla Moschea di Al-Aqsa. E’ stato rilasciato soltanto dopo cinque giorni ed obbligato a firmare un documento nel quale si leggeva che sarebbe stato arrestato per un mese e multato di 1.000 shekel se fosse stato sorpreso ad entrare di nuovo nei territori occupati, inclusa la moschea di Al-Aqsa.

La polizia israeliana ha chiuso con catene le porte della Moschea Qibli che si trova all’interno del complesso di Al-Aqsa, nonostante vi fossero presenti i fedeli all’interno, tra cui bambini, ha asserito Ateeq. “Gli israeliani hanno rinchiuso i fedeli all’interno della moschea di Al-Aqsa mentre cercavano di sfuggire agli attacchi. Hanno rotto le finestre della moschea attraverso le quali hanno sparato granate stordenti e lacrimogeni contro coloro che si erano rifugiati all’interno”.

Oltre ad attaccare fedeli e giornalisti, le forze israeliane hanno preso di mira anche il personale medico palestinese che ha tentato di offrire il primo soccorso e di recuperare i feriti. La Mezzaluna Rossa palestinese ha riferito, in una dichiarazione resa pubblica l’11 maggio, che le forze israeliane hanno danneggiato anche due ambulanze.

“L’intenzione era chiaramente quella di bloccare qualsiasi assistenza medica fornita alle vittime degli attacchi”, ha detto Atiq. Gli appelli lanciati dagli imam con gli altoparlanti della moschea, per porre fine alla violenza, sono rimasti inascoltati. “Ho iniziato a piangere per la sensazione di impotenza. E’ stato così doloroso”.

Atiq è convinto che ciò che sta accadendo ad Al-Aqsa sia un tentativo delle autorità di occupazione israeliane di porre fine al culto islamico nella moschea e di trasformarla in un’attrazione turistica.

“Vogliono imporre una divisione temporale e spaziale del complesso della moschea di Al-Aqsa: mattina e mezzogiorno per i coloni ebrei illegali e il pomeriggio per i musulmani”, ha concluso.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi.