Olmert ostacola i diritti palestinesi.

Olmert ostacola i diritti palestinesi

Di Mustafa Barghouti
Al-Ahram settimanale, 28 agosto — 3 settembre 2008

Oslo è entrato nello stadio tragicomico finale. Occorre ora è premunirsi
perché l’epilogo progettato da Olmert non diventi realtà, scrive Mustafa
Barghouti*

Chiunque abbia seguito i discorsi di Annapolis non sarà sorpreso dalle
caratteristiche dell’attuale progetto di Olmert. Cerca di scolpire nella
pietra la strategia doppia e coordinata perseguita da Israele sin da
Oslo: dividere e procrastinare le questioni dello status definitivo fino
a quando non siano rese superflue dalle realtà di tempo e di fatto,
invocando intanto la sicurezza come pretesto per il rifiuto di
rispettare gli impegni. Ogni menzione della sicurezza si riferisce
esclusivamente a quella israeliana; l’idea è di formalizzare lo strano
principio per cui chi è sotto occupazione ha la responsabilità di
garantire la sicurezza dell’occupante.

La proposta di Olmert è un accordo simbolico, di cui posporre
l’implementazione. Potrebbe essere attuato immediatamente senza costare
alcunché ad Israele, nemmeno uno stop all’ampliare le colonie.
L’Autorità Palestinese (AP), intanto, dovrebbe provare due cose: di
essere un espertissimo poliziotto per procura, per conto
dell’occupazione, e di poter riprendere il controllo di Gaza. Se non può
dimostrarlo, l’accordo resta simbolico. In questo modo, Israele prende
due piccioni con una fava: rinvia un’altra volta le questioni chiave,
guadagnando tempo per costruire ulteriori colonie, e può dare la colpa
ai palestinesi per il mancato onore all’accordo e l’attuazione della
pace alla quale il suo governo sostiene di ambire.

Secondo un hadith profetico, "il credente non è punto due volte dallo
stesso buco". Dopo aver sperimentato per 15 anni dell’accordo di Oslo, è
difficile che sia necessario spiegare ai palestinesi cosa accadrà con il
suo equivalente, Annapolis.

Forse l’aspetto più pericoloso del progetto di Olmert è il tentativo di
far dipendere un’attuazione parziale dei diritti nazionali palestinesi
dalle performance securitarie dell’AP. È condannato a fallire fin
dall’inizio: pone l’AP contro il suo stesso popolo e la sua causa
nazionale, rendendo evidente, in modo sfacciato, che chi domina
realmente è Israele. Eppure otterrà lo stesso l’obiettivo primario di
quest’ultimo: approfondire le divisioni interne palestinesi, consolidandole.

Il progetto sostiene che l’AP ha acconsentito a posticipare la questione
dello status di Gerusalemme. Davvero? Fino a quando?

Dato l’intensificarsi della costruzione di colonie e la continua
ebraicizzazione di Gerusalemme, posticipare può avere un solo
significato: rinunciare ad ogni rivendicazione palestinese sulla città.
Ma nessun palestinese, nessun arabo onesto può assolutamente
acconsentire ad un accordo che non faccia sì che la Gerusalemme araba
sia la capitale dello Stato palestinese. Dobbiamo ricordare che ogni
tentativo di posporre la questione della città è un tentativo di
rescinderla dall’insieme dei diritti palestinesi, ponendo le basi per
eliminarla.

Il progetto di Olmert pone il massimo di energie nel legittimare
l’annessione delle principali colonie in Cisgiordania: costituiscono
solo il sette per cento della regione, sostiene Olmert, ma il conto è
quanto mai fuorviante. Significa ratificare il muro dell’apartheid,
condannato dalla Corte Internazionale di Giustizia, come confine
ufficiale di Israele. Vuol dire altresì annettere l’80% delle risorse
idriche cisgiordane. E in cambio di che? Di una chiazza di deserto arido
vicino al confine di Gaza, e solo se la situazione nella Striscia
cambia, con l’affermarsi del controllo dell’AP. Non solo acconsentire
allo scambio di territori ratifica l’annessione di terreni sull’altro
lato del muro e del muro stesso: ratifica anche l’intero sistema di
apartheid israeliano.

Quanto ai coloni, resteranno negli insediamenti — tutti — fino a che
l’AP non dimostri buona volontà, sbarazzandosi di chiunque sia sgradito
a Israele. Nel frattempo, l’espandersi di Ma’ale Adumim, Ariel, Gush
Etzion, e di tutte le colonie intorno a Gerusalemme prenderà velocità,
in apparenza per far posto ai coloni che acconsentono a trasferirvisi.
Come spiegare il silenzio, da parte dei sostenitori del processo di
Annapolis, circa il fatto che la costruzione delle colonie da
quell’incontro è aumentata di 20 volte, e l’insistere perché i negoziati
continuino, malgrado questo ampliarsi febbrile?

Quel che Olmert fino ad ora ha tenuto segreto è che Israele continuerà a
controllare i confini, la valle del fiume Giordano e quanto resta delle
risorse acquifere sotterranee, con il pretesto di misure di sicurezza.
Tutto questo ammonta chiaramente a ben di più che al sette per cento del
territorio. In quel sette per cento non si menzionano affatto la valle
del fiume Giordano, il Mar Morto, i villaggi di Latrun.

Il piano israeliano, sostenuto dagli USA, è di portare ogni accordo
raggiunto alla benedizione dell’ONU, cancellando in questo modo tutte le
precedenti risoluzioni internazionali e le leggi a sostegno dei diritti
nazionali palestinesi. Il prezzo a cui Israele mira consiste, oltre che
nel rimuovere Gerusalemme dall’equazione, nel por fine, una volta per
tutte, alle rivendicazioni dei profughi.

In sostanza, il piano che Olmert ha posto sui tavoli di negoziazione non
è altro che un progetto per por fine ai principi( nazionali palestinesi,
minando una volta per tutte i legittimi diritti del nostro popolo. Segna
la fine della tragicommedia di Oslo, e il trionfo di tutti coloro per i
quali realismo significa resa. È un tentativo di eludere, eliminandole,
quattro questioni dello status definitivo: Gerusalemme ed i profughi,
colonie ed annessione di vaste zone della Cisgiordania, posponendo tutto
il resto fino a quando le realtà sul terreno non rendano parimenti
superflua ogni richiesta palestinese. In breve, è un tentativo di
trasformare ogni idea di uno Stato indipendente in cantoni isolati,
amministrati da un’autorità non sovrana, prigioniera in un regime di
apartheid.

È tempo che i palestinesi fermino la ritirata ed il disintegrarsi. È
tempo perché facciano di più che proferire riserve calcolate su questa o
quella idea di Olmert. Devono rifiutare tutte le soluzioni parziali e ad
interim, smascherando la politica israeliana: imporre realtà di fatto
sotto la guisa di negoziati che non si ha mai lo scopo di far riuscire.

La vera risposta ad Olmert e all’establishment razzista che domina in
Israele è di ristabilire l’unità nazionale, creando una leadership
nazionale unificata e forgiando una strategia collettiva per gestire la
lotta contro l’occupazione, non per conformarvisi. Tale strategia deve
combinare forme di resistenza di massa e di base contro l’occupazione ed
il sistema di apartheid con politiche sociali ed economiche che
sostengano la gente e vadano incontro alle loro preoccupazioni. Deve
anche costruire un forte movimento di solidarietà internazionale con la
nostra causa, ravvivando il legame nazionale comune, fra i palestinesi
qui e quelli all’estero.

L’autore è segretario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese.

Testo inglese: http://weekly.ahram.org.eg/2008/912/op1.htm

(traduzione: Paola Canarutto)

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