“Onore alle vittime: evitiamo gli errori commessi nella ricostruzione di Gaza”

Ma’anAl-Shabaka è un’organizzazione indipendente no-profit la cui missione è educare e stimolare il dibattito pubblico sui diritti umani palestinesi e l’autodeterminazione nell’ambito del diritto internazionale.

Questo breve saggio è stato scritto da Omar Shaban, fondatore e direttore del PalThink di Gaza per gli Studi Strategici e fondatore dei gruppi palestinesi di Amnesty International, dal vice capo del consiglio di Asala, un’associazione che promuove la micro-finanza per le donne, e da un membro dell’Istituto del Good Governance.

Per quanto scioccanti siano stati gli orrori della guerra che dal 7 luglio Israele ha scatenato nella Striscia di Gaza, la portata dei danni risulterebbe ancora più spaventosa.

Una conferenza dei donatori per Gaza è prevista per settembre in Norvegia, ma se i donatori e l’Autorità palestinese di Ramallah adotteranno lo stesso approccio per la ricostruzione che hanno tenuto nelle ultime  due guerre, la sofferenza di Gaza continuerà senza sosta. La Striscia di Gaza – uno dei luoghi più densamente popolati della terra – è stata teatro di tre guerre in soli sette anni.

E la terza guerra si è rivelata peggiore delle prime due: i 22 giorni dell’assalto brutale di Israele nel 2008-2009, l’attacco di otto giorni nel 2012, orribili – e parlo per esperienza personale come chi è riuscito a sopravvivere a tutto ciò.

Nella recente guerra, le aggressioni israeliane per mare, terra e per cielo hanno ucciso più di 2.140 persone e ferito circa 11.000 palestinesi, secondo quanto riferito dal ministero della Sanità Palestinese, rispetto ai 1.400 uccisi tra il 2008 e il 2009.

Le Nazioni Unite hanno stimato che circa il 73% delle vittime uccise nel recente attacco sono stati i civili, tra cui 448 bambini. Molti dei feriti hanno subito lesioni gravi e non potranno guarire del tutto, rimanendo totalmente o parzialmente disabili.

Ma questa guerra è peggiore, non solo perché il numero delle vittime è più alto ma anche perché la ricostruzione sarà più difficile da avviare.

La distruzione è cumulativa: si aggiunge ai danni delle due guerre precedenti, molti dei quali rimangono irreparabili. Per fare solo un esempio, 500 famiglie sono ancora in attesa della ricostruzione delle loro case demolite. Inoltre, danni significativi alle infrastrutture e ai pozzi d’acqua non sono stati riparati.

Solo la guerra del 2008-2009 si stima che abbia causato in tutto 1,7 miliardi di dollari di danni materiali alle aziende agricole, fabbriche, strutture pubbliche, edifici pubblici, strade, reti elettriche, idriche, fognarie e telefoniche.

Questa volta è ancor più grave perché Gaza si trova ad affrontare il tutto in condizioni economiche, politiche e sociali peggiori.  Il blocco israeliano imposto contro la Striscia di Gaza nel giugno 2007 è stato solo leggermente attutito all’inizio del giugno 2010. Poco dopo l’attacco mortale alla Gaza Freedom Flotilla, il 31 maggio del 2010, la pressione internazionale ha costretto il governo di Benjamin Netanyahu ad aumentare il numero e il volume di beni ammessi nella fascia costiera.

Inoltre, i continui sforzi egiziani per distruggere i tunnel (i cui lavori erano stati iniziati durante il governo del presidente egiziano Mohammed Morsi e significativamente accelerati dopo la caduta del Governo) hanno privato le autorità di Hamas a Gaza di una fonte vitale di reddito e di approvvigionamento di materie prime, nonché di servizi intermedi e finali. Questa situazione ha impedito al Governo di Hamas di pagare gli stipendi dei suoi 50 mila dipendenti, molti dei quali non erano stati pagati già da diversi mesi.

Allo stesso modo, nonostante il patto di riconciliazione firmato il 23 aprile 2014, il governo di unità nazionale formato recentemente ha fatto poco per soddisfare le esigenze immediate di Gaza.

Ad esempio, non è riuscito a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici di Hamas, mettendosi in una situazione ancora più instabile, nel bel mezzo di una crisi in via di peggioramento. Ciò è dovuto in parte al rifiuto di Israele di riconoscere e di consentire ai suoi membri di muoversi liberamente tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Una valutazione preliminare dei danni

La portata dei danni dell’estate del 2014 può essere desunta dalle seguenti stime preliminari, calcolate l’11 agosto.

  • -8.800 case sono state distrutte dopo la ricostruzione, e 7.900 sono state parzialmente distrutte e non sono più abitabili. Interi quartieri residenziali sono state demoliti, soprattutto nelle zone di confine di Shujaiyya nella Gaza orientale, Beit Hanoun e Beit Lahiya nella parte nord, e Khuzaa, Abasan, e Rafah nel sud-est.
  • -circa 475 mila persone sono state costrette a lasciare le loro case e rifugiarsi presso i campi delle Nazioni Unite nelle scuole statali, nei parchi pubblici, nelle chiese poiché non sono in grado di tornare alle loro case, non più abitabili. Queste persone hanno perso non solo le loro case, ma anche tutti i loro averi, compresi  mobili, vestiti, automobili e documenti ufficiali.
  • 300 mila cisterne di carburante industriale destinato solo alla centrale di produzione di energia elettrica nella Striscia di Gaza sono state distrutte e la centrale elettrica eliminata. Senza energia elettrica, i beni alimentari vanno in rovina, la fornitura di acqua alle famiglie si interrompe, i residui fognari non possono essere trattati, gli ospedali sono costretti ad affidarsi a generatori di energia elettrica instabili. Inoltre, 8 delle 10 linee elettriche di Israele che alimentano la Striscia di Gaza sono state tagliate, riducendo l’apporto energetico da 120 megawatt a meno 30 mw.
  • i danni alle infrastrutture (tra cui strade, reti elettriche, idriche e fognarie) devono ancora essere stimati. Decine di pozzi d’acqua e impianti di depurazione sono stati distrutti, il che significa un’enorme disastro ambientale e sanitario.
  • Decine di fabbriche e stabilimenti commerciali sono andati distrutti nella regione di confine e nella zona industriale di Beit Hanoun: negozi, stazioni di rifornimento, impianti di calcestruzzo preconfezionato.
  • Le forze militari israeliane, con il pretesto di colpire il tunnel, hanno raso al suolo migliaia di ettari di terre coltivate ​​e le serre delle zone limitrofe.

Secondo i primi rapporti, sono state anche colpite molte istituzioni governative, compresi il ministero delle Finanze, degli Interni e le dotazioni religiose Awqaf, ma anche il Consiglio Generale del Personale e decine e decine di moschee. In una situazione come questa, anche i documenti e gli atti ufficiali sono andati distrutti o è difficile se non impossibile recuperarli.

Una valutazione completa stimerebbe di sicuro dei danni ancor più enormi. Fare il possibile per riparare i danni di questa guerra significherebbe trovarsi dinanzi ostacoli quasi insormontabili.

Evitare gli errori del passato

La natura, la portata e l’efficacia degli sforzi per la ricostruzione saranno imperniati su un accordo di cessate il fuoco.

Questi potrebbero variare in base alle operazioni militari unilaterali di Israele, come accaduto nel 2008-2009 per un rinnovo dell’accordo di cessate il fuoco concluso nel novembre 2012 che prevedeva di abrogare il blocco, eliminando la zona cuscinetto al confine tra Gaza e Israele, ed estendendo la zona di pesca da tre a sei miglia, con l’accordo di entrambe le parti impegnate a porre fine alle ostilità.

Il governo israeliano ha parzialmente attuato questi termini per un limitato periodo di tempo. Il terza e miglior scenario sarebbe sicuramente la fine della guerra, con il riconoscimento da parte di Israele del Governo di Unità palestinese; l’abolizione completa del blocco; la negoziazione per una pace giusta e globale.

Molti dubbi sono stati sollevati dagli enti internazionali che appoggiano la ricostruzione dopo il conflitto, mentre si cerca di passare dal sollevamento della situazione alla lente ripresa per uno sviluppo globale e sostenibile.

Ad esempio, gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla ricostruzione e sulla ristrutturazione oppure sulla costruzione e lo sviluppo? Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, il Giappone, per esempio, si chiedeva: rammendiamo ciò che la guerra ha distrutto o costruiamo delle nuove fondamenta? Il giusto approccio consiste nel combinare efficacemente entrambi gli aspetti. Ma al di là dell’esperienza internazionale, ci sono altre lezioni più particolari da imparare, a partire dagli ultimi sforzi fatti a Gaza: dire che non sono stati capaci di rimetterla in piedi è un eufemismo.

Il più grande errore che i donatori hanno fatto in passato è stato quello di escludere i rappresentanti di Gaza, tra cui Hamas, nello sforzo di ricostruzione. È accaduto durante la conferenza dei donatori di Sharm al-Sheikh, tenutasi nel marzo 2009, per ricostruire Gaza dopo l’attacco israeliano del 2008-2009.

Erano presenti i rappresentanti di 70 Stati e 16 organizzazioni regionali, ma le istituzioni di Gaza, tra cui il Governo di Hamas no. Inoltre, il fatto che il piano è stato presentato solo in inglese (reso disponibile in arabo solo mesi dopo) ha dimostrato la scarsa importanza dell’Autorità palestinese, lasciando partecipare più attivamente la società civile nazionale e accademica e altre istituzioni.

A quella conferenza, l’ex primo ministro Salam Fayyad ha presentato un piano di 2,8 miliardi dollari, ma più della metà (il 52%) è stato destinato a sostegno dell’Anp per ridurre il suo deficit. In realtà, 4,48 miliardi dollari sono stati promessi – il 167% in più rispetto a quanto richiesto dall’Anp – una cifra rara nella storia dei donatori.

Ma la terribile situazione attuale di Gaza dove le infrastrutture e le persone soffrono ancora i danni inflitti da quella guerra, solleva dubbi se quei fondi sono stati veramente stanziati e se così che fine avrebbero fatto e in che modalità sarebbero stati erogati. In realtà, fino ad oggi, non esiste un rendiconto completo che può fornisce queste informazioni. Coloro che si impegnano per una ricostruzione onesta e duratura di Gaza devono oggi far fronte a queste domande, per impedire che la storia si ripeta.

Anche se Hamas non parteciperà alla conferenza dei donatori prevista a settembre in Norvegia – e non si aspetta neanche di essere invitato, secondo quanto rivelato da alcune fonti attendibili – ci sono altre istituzioni e porta-voci per Gaza che potrebbero partecipare.

Tuttavia, Hamas sarà disponibile a fornire tutte le informazioni che l’Anp richiede per supervisionare il processo di ricostruzione, poiché è nell’interesse di Hamas farlo. Allo stesso tempo, Hamas vuole essere informato e coinvolto per garantire che la ricostruzione sia fatta correttamente, anche se, probabilmente, non potrà che occupare una poltrona in seconda fila. Naturalmente è desideroso di mostrarsi alla popolazione di Gaza come partecipante al processo di ricostruzione, rafforzando ancor di più la propria popolarità.

Soccorsi urgenti ed esigenze di sviluppo

I bisogni da soddisfare immediatamente per risollevare la popolazione sono:

-Riparazione delle reti idriche ed elettriche affinché i residenti a Gaza, in particolare quelli più colpiti dalla guerra, possano usufruire dell’acqua potabile, evitando gravi ripercussioni per la salute pubblica derivanti dalla carenza di acqua potabile;

– Riparazione delle reti elettriche che trasportano energia da Israele e aumento delle importazioni attuali a 120 mw per  compensare la carenza di elettrice a causa del blocco della centrale elettrica locale e per soddisfare le esigenze previste.

– Messa a disposizione da parte delle imprese manifatturiere e locali di servizi minimi d’accoglienza per dare rifugio alle migliaia di famiglie che hanno perso le loro case durante la guerra e per rilanciare l’economia. Questo sforzo dovrebbe includere l’assistenza in denaro per alcune di queste famiglie affinché possano affittare locali residenziali nella Striscia di Gaza alleggerire la pressione sociale e politica che ne può derivare nel caso in cui non trovassero una sistemazione adeguata.

– Sostenere il settore sanitario per curare i migliaia di feriti di guerra. Dal momento che molte strutture sanitarie sono state parzialmente o totalmente distrutte, sarà necessario impiantare ospedali da campo e richiedere assistenza dall’estero. Particolare attenzione dovrà essere data ai disabili e gli orfani che hanno perso le loro famiglie in guerra.

– Aumentare e sviluppare servizi di sostegno psicosociale per la cura di migliaia di cittadini, soprattutto i bambini, che hanno subito un trauma psicologico per via della guerra e perdendo le loro famiglie a causa di essa.

A breve termine, gli sforzi di sviluppo dovrebbero concentrarsi su:

– Progetti di lavoro intensivo nel settore dell’edilizia e delle infrastrutture, dell’agricoltura, della pesca per creare immediatamente posti di lavoro e stimolare l’attività economica.

– Coltivazione di terreni agricoli nelle zone di frontiera per fare in modo che il settore agricolo non solo dia posti di lavoro ma fornisca anche cibo per la popolazione e foraggi per il bestiame.

– Ricostruzione di alcune aree distrutte, per permettere alle famiglie di ritornare alle loro case, se abitabili, e per evitare rischi per la salute nelle aree distrutte durante i primi giorni di guerra.

– Rimozione dei detriti dalle strade e dai locali pubblici al fine di creare posti di lavoro, stimolare l’attività economica e combattere le condizioni di povertà e miseria in cui molte famiglie si trovano a causa della guerra e del continuo stato d’assedio.

Come riportare Gaza in vita

Per raggiungere questi obiettivi, la comunità internazionale deve far pressione su Israele per porre fine all’assedio e consentire a Gaza di essere rifornita di materie prime. In caso contrario, Gaza sarà costretta a vivere di elemosina per gli anni a venire. Inoltre, come osservato in precedenza, non bisogna commettere gli stessi errori. L’Anp così come i donatori internazionali e regionali dovrebbero consultarsi più costantemente e collaborare regolarmente con il Governo di Hamas, le organizzazioni non governative, le associazioni di imprese e le università di Gaza per valutare i danni e pianificare ed attuare gli interventi.

Si dovrebbe puntare sul reclutamento di imprese e istituzioni locali nelle misure possibili per far sì che la ricostruzione sia fatta a livello nazionale piuttosto che internazionale e che la società palestinese riceva la maggior parte del finanziamento previsto.

È necessario che i vari fondi di soccorso locale, regionale e internazionale siano coordinate con le campagne di raccolta fondi per Gaza. Inoltre, il lavoro sul campo deve essere gestito in modo appropriato per evitare dispersioni. Un meccanismo trasparente deve essere imposto per monitorare e seguire le donazioni e guidare i beneficiari per accedervi. Le operazioni dell’entità istituita per la gestione dei fondi e le norme che saranno applicate devono essere di dominio pubblico.

Si potrebbe coinvolgere i palestinesi della diaspora, soprattutto per quanto riguarda i contributi finanziari e le competenze. Il loro contributo e il loro coinvolgimento potrebbe non solo aiutare a consolidare il processo di riconciliazione Fatah-Hamas, ma anche contribuire a far trovare un senso a colore che nonostante la diaspora  siano desiderosi di offrire il loro sostegno. Questi potrebbero stabilire dei legami ancora più forti tra loro, le comunità e le istituzioni di Gaza.

È fondamentale discutere anche dei termini di utilizzo dei depositi bancari, vale a dire, tutte le banche che operano nel territorio palestinese occupato, i cui fondi hanno raggiunto gli 8 miliardi di dollari. Una possibilità è che l’Anp prenda in prestito del denaro da queste banche e lo utilizzi per pagare i mutui di appartamenti acquistati per conto delle famiglie che hanno perso le loro case in guerra.

Va notato, per esempio, che un migliaio di appartamenti, soprattutto a Gaza ma anche in altre parti della Striscia, restano vuoti perché inaccessibili. Si possono abbozzare schemi ipotecari per impiegare questi depositi e affrontare la crisi degli alloggi. Su larga scala, altri strumenti di investimento riconosciuti a livello internazionale come il franchising, partnership strategiche e i joint-ventures possono essere impiegati, in particolare nel settori elettrico ed energetico, per costruire il porto e l’aeroporto e avviare progetti di sviluppo regionale.

Questi sono solo alcuni dei modi per poter contribuire a ripristinare la normalità nelle vite dei palestinesi e la dignità al popolo di Gaza. Nel 2012, l’ONU aveva stimato che se le tendenze attuali fossero continuate Gaza sarebbe diventata invivibile entro il 2020. E questo era stato dichiarato prima del recente assalto di Israele. Se i 1,8 milioni di palestinesi di Gaza non vogliono essere condannati a vivere in una terra invivibile, la ricostruzione deve avvenire il prima possibile.

 

Articolo originariamente pubblicato sul sito web di Al-Shabaka il 18 Agosto 2014.

Traduzione a cura di Gaia Proiti