Coppia franco-palestinese lotta per rimanere a Gerusalemme dopo che la moglie è stata espulsa

unnamedMa’annews. Di Chloe Benoist. Una coppia franco-palestinese lotta contro il tempo dopo che le autorità israeliane a gennaio hanno arrestato e espulso la dipendente del consolato francese Elsa Lefort, incinta di sei mesi e mezzo, impedendole di ritornare dal marito nella loro casa nella Gerusalemme Est occupata.

Con il poco tempo rimasto prima che la gravidanza sia troppo avanzata per viaggiare in aereo, Lefort e suo marito, Salah Hamouri, stanno cercando disperatamente di far pressione con il loro caso perché il loro bambino possa nascere a Gerusalemme, un caso insolitamente di alto profilo che illustra le difficoltà che i Palestinesi affrontano per ottenere – e mantenere – la loro residenza a Gerusalemme Est.

Incinta di sei mesi e un «pericolo per la sicurezza di Israele»

Hamouri, la cui madre è francese e il padre è palestinese, è conosciuto per aver trascorso quasi sette anni imprigionato da Israele durante la seconda Intifada. È stato detenuto con l’accusa di essere un membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e di aver complottato per assassinare il leader di Shas, Ovadia Yossef, accusa che ha negato.

Hamouri è stato liberato nel 2011 all’interno dell’accordo di scambio con il prigioniero Gilad Shalit. Ha poi sposato Lefort, che era stata coinvolta nel movimento di solidarietà francese per il suo rilascio, a Gerusalemme Est, nel maggio 2014.

Lefort ha detto a Ma’an che nel giugno 2014, ha iniziato la procedura di domanda del visto coniugale per ottenere lo status di residente a Gerusalemme Est.

Tuttavia, la procedura si è trascinata per oltre un anno fino all’agosto 2015, quando le è stato notificato che la sua domanda non era stata accolta.

Lefort ha presentato ricorso contro la decisione di rifiutarle il visto coniugale del ministero degli Interni israeliano, e nel frattempo ha ottenuto un permesso di lavoro dal consolato francese a Gerusalemme, valido per un anno, fino ad ottobre 2016.

Ma il 5 gennaio, mentre tornava da un breve viaggio in Francia per le vacanze, Lefort è stata arrestata all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dalle forze di sicurezza israeliane e trattenuta per due giorni e due notti. Le è stato inizialmente detto che i suoi documenti di  lavoro non erano in regola, prima di essere informata che stava per essere rimandata in Francia perché costituiva un “pericolo per la sicurezza di Israele”.

Secondo la coppia, questa non è la prima volta che lo status di ex carcerato di Hamouri viene utilizzato per rendere la loro vita difficile.

Nel  marzo 2015,  le autorità israeliane hanno vietato a Hamouri di entrare nella Cisgiordania occupata per sei mesi, impedendogli a tutti gli effetti di frequentare l’università a Ramallah per ottenere la laurea in legge. L’ordine è stato rinnovato ancora una volta a settembre, ancora una volta in nome della “sicurezza dello stato di Israele”, ha spiegato in un’intervista con Ma’an.

Per Lefort, le lotte che lei e Hamouri hanno affrontato rappresentano una punizione ulteriore dopo il suo rilascio, che è culminata con la sua detenzione a gennaio.

“Avrebbero potuto mettermi sul primo volo per Parigi”, ha detto Lefort. “Non so quale sia l’intento di chi detiene una donna incinta di sei mesi per due giorni. Sicuramente è per volerla scoraggiare dal tornare per sempre”.

La polizia di frontiera l’ha informata in aeroporto che il suo permesso di lavoro era stato revocato, ma Lefort ha detto che lei o il consolato francese non avevano ancora ricevuto la notifica ufficiale.

“Perché mi hanno concesso un visto a ottobre solo per revocarlo due mesi e mezzo più tardi? – ha a chiesto Lefort-.Avrebbero potuto dirmi no fin dall’inizio”.

“Non sono solo io ad essere sanzionata, ma anche la diplomazia francese. Dicono: ‘Noi possiamo revocare il visto del vostro dipendente ogni volta che vogliamo, senza nemmeno avvisarvi'”.

unnamed (1)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trattative delicate

Da gennaio, Lefort si trova in Francia cercando di assicurarsi il diritto di tornare dal marito, che rimane a Gerusalemme Est.

Il ministero degli Esteri francese, insieme all’ambasciata di Francia in Israele e al consolato francese a Gerusalemme, stanno facendo pressione da gennaio perché Israele permetta alla Lefort di tornare a Gerusalemme Est.

“Loro (consolato e ambasciata) hanno fatto il loro lavoro. Quando ero detenuta, hanno cercato di farmi uscire, hanno cercato di migliorare le condizioni in cui ero detenuta”, ha detto Lefort. “Ma ora non è più al loro livello, tocca al ministero degli Affari Esteri”.

Il caso Lefort è stato portato davanti alla sessione dell’Assemblea Nazionale francese di mercoledì, in cui Harlem Desir, il Segretario di Stato francese per gli Affari Europei, ha parlato dell’impegno del governo per trovare una soluzione alla questione.

“Da quando siamo stati informati (della situazione), il ministero degli Esteri francese si è mobilitato completamente a sostegno della signora Lefort”, ha detto Desir. “Noi dobbiamo continuare a chiedere senza sosta perché le autorità israeliane tornino sulle loro decisioni”.

Ma Lefort e Hamouri devono ancora vedere un segnale incoraggiante per l’evoluzione del loro caso.

Secondo Lefort, resta un “tabù” presso la diplomazia francese, quando si deve trattare con Israele. Questa riluttanza influenza direttamente l’incisività degli sforzi del governo nel garantire una soluzione al suo caso.

“Vediamo come sono trattati diversamente i casi di persone che hanno avuto problemi con le autorità del Burundi e del Nepal rispetto a qualcuno che ha avuto problemi con Israele”, ha detto, riferendosi a casi che coinvolgono i cittadini francesi nei paesi sopra citati che hanno ricevuto un’attenzione mediatica e politica considerevole nelle ultime settimane.

“Questo non è molto sorprendente, è un tabù tanto nei media quanto a livello diplomatico. C’è sempre questo ostacolo quando si tratta di Israele”, ha aggiunto. “Abbiamo un supporto popolare molto attivo, proprio come abbiamo visto quando Salah era in prigione, ma a livello politico e mediatico, non è affatto la stessa cosa”.

Il tempo passa per la residenza a Gerusalemme Est

Una delle principali preoccupazioni per Lefort e Hamouri è che il loro bambino può non nascere a Gerusalemme Est, cosa che lo priverebbe del suo status di residente della città.

“Anche partorire là non significa che il nostro bambino sarà registrato come tale, semplicemente perché ci sono tanti ostacoli messi sulla strada dei bambini nati a Gerusalemme, ma è ancora peggio per quelli nati fuori”, ha detto Lefort.

“E’ la pressione dell’occupazione per cercare di buttarci fuori, di costringerci ad abbandonare”, ha detto Hamouri.

Nel 1967, dopo la loro occupazione di Gerusalemme Est, le autorità israeliane hanno fatto un censimento della popolazione palestinese residente in città all’epoca – esclusa quella fuggita durante la guerra dei sei giorni – concedendo loro lo status di residente, invece di cittadini di Israele.

Lo status dei residenti palestinesi di Gerusalemme Est è subordinato all’essere nato in città, ma può essere revocato per diversi motivi, quando il bambino raggiunge i 14 anni di età.

Dal 2003, la legislazione israeliana ha congelato i ricongiungimenti per le famiglie dove alcuni membri vengono dalla Cisgiordania o da Gaza e altri sono residenti di Gerusalemme Est o hanno la cittadinanza israeliana, colpendo migliaia di famiglie.

In un rapporto del 2015, l’organizzazione per i diritti umani Saint Yves ha criticato le “procedure arbitrarie di registrazione del bambino” del ministero degli Interni israeliano. L’organizzazione ha aggiunto che la rigorosa legislazione israeliana che riguarda la residenza a Gerusalemme Est ha fatto sì che “ogni anno che passa, il Ministero si avvicina al raggiungimento del suo obiettivo finale: liberare la città dalla sua popolazione palestinese”.

“Ho ancora speranza che questa situazione sarà risolta e che la nostra famiglia sarà di nuovo riunita”, ha detto Hamouri.

“E’ una pressione psicologica quotidiana. Elsa è ora incinta di otto mesi, si trova in Francia affrontando tutte le complicazioni dell’essere una donna incinta. Lei ha bisogno di me e io ho bisogno di lei”.

A parte le circostanze difficili della sua famiglia, Lefort ha detto che lei e Hamouri sono ben consapevoli che la loro situazione riflette la più grande lotta dei Palestinesi nella Città Santa.

“Vogliamo far luce sul trattamento dei Palestinesi di Gerusalemme”, ha detto. “Stiamo combattendo per riunire la nostra famiglia, ma non stiamo combattendo solo per noi stessi. Vogliamo che la gente sappia cosa sta accadendo a Gerusalemme per cambiare le cose e frenare l’ingiustizia”.

(Foto 1: Elsa Lefort, al centro, partecipa ad un raduno di solidarietà verso di lei e suo marito Salah Hamouri a Parigi, Francia, il 12 febbraio 2016. Foto per gentile concessione di Elsa Lefort.

(Foto 2: Un pannello della riunione di solidarietà per Elsa Lefort e Salah Hamouri a Parigi, Francia, il 12 febbraio 2016. Foto per gentile concessione di Elsa Lefort)

Traduzione di Edy Meroli