Orientalismo, la prima a sinistra, poi sempre dritto

Di mariagrazianemour@alice.itOrientalismo: la prima a sinistra, poi sempre dritto.

A Milano venerdì 5 ottobre si è parlato di Edward Said, perché a Milano – per tutta la scorsa settimana – si è parlato di cultura palestinese.

Uno dei relatori – il prof. Hamid Dabashi della Columbia University di NY – ha aperto il suo intervento ringraziando il sindaco Pisapia (peraltro assente perché impegnato in un consiglio comunale a San Vittore), in quanto a NY non si sarebbe mai potuto organizzare un festival della cultura palestinese. Anche se con poco coinvolgimento della comunità palestinese milanese, ha osservato qualcuno.

Edward Said (nato a Gerusalemme nel 1936 e morto a NY nel 2003) è stato uno degli intellettuali moderni più in vista negli Stati Uniti. Said era palestinese. Un professore di inglese e letteratura comparata che diventa estremamente scomodo a partire dal 1967, anno in cui sceglie il ruolo di ambasciatore del popolo palestinese in esilio. Un militante letterato.

I relatori che venerdì si succedono in piazza della Scala, tracciano un profilo di Said molto variegato, ma fondamentalmente basato sul suo saggio del 1978 “Orientalismo” – un criticatissimo successo editoriale mondiale – che concentra l’attenzione sull’uso, rassicurante e svilente, degli stereotipi arabi. Se prima lo stereotipo orientale viaggiava sul tappeto volante, ora imbraccia un kalashnikov e ha il volto coperto. In poche immagini si ha la presunzione di infilare a forza il Vicino, il Medio e l’Estremo Oriente. I pregiudizi popolari anti-arabi sono precostituiti dai media a uso e consumo del potere politico. Sono un ridicolo tentativo di riduzione della complessità.

Alcuni dei relatori al microfono enfatizzano la natura newyorkese di Said. New York è al tempo stesso il cuore pulsante degli USA, e l’apice della multicultura, dello spaesamento, della diversità, dell’essere apolidi. Uno degli accademici si spinge addirittura a definire Said come il palestinese meno palestinese che sia mai esistito, forse distorcendo il profondo significato che Said attribuisce all’universalizzazione della causa palestinese, che diventa ingiustizia dell’umanità, rendendo apolide ogni uomo.

Nel libro autobiografico di Said “Out of place” – “Sempre al posto sbagliato” nella versione italiana – c’è tutto l’universo del suo essere sempre “l’altro”.

Il prof. Gatto e alcuni interventi del pubblico chiudono la giornata rimarcando lo spessore di Said, che è stato, prima di ogni altra cosa, un militante intellettuale palestinese. Per lui la letteratura non era uno strumento neutro e ingenuo, ma un veicolo di messaggi.

E il suo messaggio, è sempre stato chiaro e coerente: difesa dell’autodeterminazione del popolo palestinese.

Ha pagato le sue prese di posizioni con l’ostracismo di gran parte dell’ambiente universitario. È stato da più parti definito come il volto intellettuale del terrorismo e lo aveva forse addirittura previsto, data la sua profonda conoscenza del potere dei media nella società occidentale per antonomasia.

Ferito e sanguinante nell’animo per l’undici settembre, non smette di denunciare la demonizzazione mediatica di un nemico ignoto etichettato come generico “terrorista”, in grado di tenere l’opinione pubblica in stato di tensione rabbiosa.

La sua onestà intellettuale, negli anni, non ha risparmiato aspre critiche ad Arafat e agli accordi di Oslo, di cui aveva immediatamente individuato il tranello retorico e il gioco mediatico sottostante. “In America – scrive Said – la libertà di stampa è fondante al punto da seguire le ordinarie logiche del mercato”.

Ma scrive anche: “L’umanesimo costituisce l’unica, la massima, forma di resistenza contro le pratiche inumane e le ingiustizie che deturpano la storia dell’umanità”. Grande fiducia nell’uomo, quindi, che è il solo a poter scrivere la storia. Prima dei conflitti vengono gli uomini, e gli intellettuali hanno il solo compito di dire la verità.

Said amava la mondanità, la danza, le persone, la musica. Era anche un pianista. Ammirava il contrappunto, capace di unire nella stessa sinfonia due motivi diversi, che si amalgamano senza annullarsi.