Pace giusta in Palestina o barbarie?

Pace giusta in Palestina o barbarie

 

di Abusabr[1]

 

L’offensiva “Nubi d’autunno” dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza ha già fatto 95 vittime, nella grande maggioranza civili disarmati e, tra questi 4 donne donne e dieci bambini; inoltre, almeno 350 Palestinesi sono rimasti feriti, tra cui 46 donne e 50 bambini.

Non riusciamo più a trovare parole per condannare, per manifestare il nostro dolore e il nostro sgomento per il massacro continuo e feroce di un popolo che ha la sola colpa di essere e voler continuare ad essere sulla sua terra, governato dalle sue istituzioni e che con la sua esistenza rimane il baluardo contro la tragica ingiustizia che il mondo “civile” gli sta scaricando addosso da quasi sessant’anni.

Ogni promessa è stata disattesa, ogni accordo tradito, ogni progetto di pace, seppur minimo, è stato fatto abortire sul nascere dall’azione coordinata e brutale dell’esercito d’occupazione e da quella delle potenze filosioniste, USA in testa, che hanno usato, anzi abusato del loro diritto di veto per bloccare ogni risoluzione ONU di condanna della politica d’Israele.  Gli USA, infatti, lo hanno opposto oltre 60 volte, l’ultima delle quali proprio nei giorni scorsi per vanificare la proposta del Qatar che pure era stata talmente annacquata che condannava perfino il diritto di difesa del popolo palestinese.

Di fronte a tutto questo, è difficile credere alla favola della legalità internazionale, alla funzione pacificatrice delle Nazioni Unite, alla volontà di pace della comunità internazionale: quale altra speranza possiamo coltivare in cuore, quale altro progetto o percorso possiamo costruire e con chi, poi?

Il mondo arabo stretto tra l’oppressione di oligarchie militari o di democrazie neanche formali che fanno da ombrello agli interessi biechi, corrotti e corruttori delle borghesie compradoras di marxiana memoria e una predicazione jihadista tanto improbabile quanto inquinata, non riesce ad esprimere quasi più nulla. Quello islamico, ben più ampio e diffuso, non fa di più e le solidarietà che Hajj Husseyn trovava perfino in Malesia e Indonesia sono ormai un ricordo lontano.

Oltre un appoggio umanitario che consente, di misura, la sopravvivenza fisica dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania, niente di significativo viene né dagli arabi, né dai musulmani.

Anche i politici d’ispirazione cristiana non tengono in gran conto i loro fratelli di Palestina se non per inventarsi inesistenti persecuzioni da parte dei musulmani e agitarle nella polemica antislamica. I migliori di loro si muovono sul terreno umanitario e tutta l’iniziativa politica di solidarietà è rimasta nelle mani di forze borderline di sinistra soprattutto (ma anche di destra) mentre tutta la grande area della socialdemocrazia europea e molti ambienti liberal statunitensi non filosionisti sono stati risucchiati nella grande menzogna della lotta ai terrorismi che cerca di levare ogni legittimità all’azione di resistenza e autodifesa del popolo palestinese e delle sue avanguardie.

In un quadro desolante, quali sono le responsabilità di quelli come noi che sono certi che la questione palestinese sia la vera cartina di tornasole per verificare e valutare la loro capacità di resistenza alla protervia dei potenti e all’ingiustizia diffusa e accettata da più: cosa dobbiamo fare?

Dobbiamo fare la stessa del popolo palestinese: resistere e resistere. Continuare l’agitazione, l’informazione, il sostegno umanitario, le manifestazioni, i sit-in, le raccolte di firme, le scritte sui muri, i cortei, i convegni, le tavole rotonde, la diffusione dei libri, dei video e di quant’altro si produca e sia disponibile. Per far questo dobbiamo metterci nella stessa condizione psicologica dei palestinesi che non ignorano di non avere altra chance che la vittoria o una pace giusta o NIENTE, e quando pensiamo NIENTE intendiamo la distruzione totale di quel popolo, la sua definitiva deportazione o il suo annientamento con qualche nuova arma in seguito qualche nuova “inimmaginabile” provocazione.

Per noi dev’essere la stessa cosa, o riusciremo a continuare in questo sostegno giusto e indefettibile o ci avvieremo sulla via triste della fine di questa, talvolta indecente, democrazia in cui viviamo e il futuro sarà un buco nero di violenza e di oppressione. 


[1] Inizia da oggi la collaborazione alla nostra agenzia di un compagni di lotta che ha scelto il nome di abusabr, intendendo insistere sulle caratteristiche di pazienza e perseveranza che il termine arabo “sabr” esprime.

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