Palestina e Movimento NoTav: due popoli solidali tra loro contro la stessa repressione “sionista”

Di L.P. Strana correlazione, si potrebbe dire, tra questi due popoli in rivolta: uno lotta contro un’oppressione coloniale per la propria libertà ed autodeterminazione; l’altro si oppone alla repressione militare e lotta contro la costruzione forzata di una linea ferroviaria inutile e inquinante.

E’ interessante osservare come essi siano molto vicini, infatti non è difficile andare in Libano e trovare bandiere palestinesi e bandiere NoTav che sventolano libere nello stesso cielo durante manifestazioni a sostegno del diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

La vicinanza di questi movimenti di resistenza è data da molti fattori. Il primo sicuramente è che entrambi si sostengono e si stimano reciprocamente e sono da esempio l’uno per l’altro. Il secondo fattore sono le tematiche ambientali: il popolo palestinese subisce da decenni sia le politiche di rapina ecologica da parte del regime sionista vedendosi rubare l’acqua, le colture di agrumi, di datteri, di olive e di spezie, sia le politiche di greenwashing che Israele attua per mostrarsi al mondo come Paese eco-sostenibile ripetendo a gran voce una delle più grandi falsità, ovvero “di aver fatto fiorire il deserto”. Anche la resistenza NoTav si trova a lottare contro gli espropri di meravigliose terre coltivate sia in montagna sia in pianura, contro la devastazione ambientale che lo Stato italiano sta cercando di applicare in Val di Susa e contro una propaganda di greenwashing che sta affermando i falsi “vantaggi ecocompatibili” di una linea ferroviaria ad alta velocità.

Altro punto fondamentale che li accomuna è la repressione militare che subiscono. Repressioni violente molto legate tra loro.

Infatti più di 20 anni di resistenza civile, di democrazia di massa dal basso contro un’opera inutile e dannosa imposta con la forza è un esempio di democrazia soprattutto quando si tratta della difesa della propria vita e del proprio territorio in Val Susa. Detto ciò non si può non pensare ad un’altra opera, creata per interessi politici, che stupra un territorio ed è odiata dai suoi abitanti: il muro di separazione (Annessione, Apartheid) tra Israele e Palestina.

L’avvio dei lavori per la costruzione del muro, voluto dall’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon, venne giustificato parlando di necessaria difesa di Israele dal terrorismo. Era il 2002, la seconda Intifada era scoppiata da poco, e fu facile convincere il mondo dello scopo difensivo della barriera. Il muro di cemento e ferro, alto 8 metri e circondato da fossati, larghi dai 60 ai 100 metri, da allora si è esteso per una lunghezza di 450 km, ben oltre i limiti fissati dalla Green Line, sconvolgendo la vita di migliaia di palestinesi.

Il 12% della popolazione palestinese della Cisgiordania vive tra la Green Line e la barriera, isolata, costretta all’umiliazione del passaggio quotidiano dai check-point israeliani per uscire dal proprio villaggio o città – una mobilità che spesso viene negata. Il muro divide, inoltre, le case dai campi coltivati, impedendo ai palestinesi di poter lavorare i propri terreni. Un’occupazione militare che si concretizza nella quotidiana esibizione dei documenti, in negazione al passaggio, nella confisca dei terreni, in arresti forzati e in lacrimogeni lanciati contro manifestanti pacifici esattamente come in Val di Susa. Le conseguenze della repressione militare in Val di Susa non sono differenti dagli atti che quotidianamente avvengono in Palestina contro la popolazione civile ad opera dell’esercito israeliano. Infatti dalla Palestina alla Val di Susa, è facile macchiare con l’accusa di terrorismo individui che si battono contro l’esproprio delle proprie terre e per la difesa del proprio territorio.    Sia in Palestina sia in Val di Susa vengono portate avanti campagne contro la costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità. Nel 2013 è nata infatti  la campagna “Stop That Train”, affiliata al movimento BDS che si oppone alla costruzione della linea ad alta velocità tra Tel Aviv e Gerusalemme, che andrebbe a delinearsi per 6,5 km all’interno dei Territori Palestinesi Occupati, in piena violazione delle leggi internazionali e della IV Convenzione di Ginevra a favore della popolazione civile israeliana, rivelando così il suo vero aspetto di infrastruttura parte di un più ampio sistema coloniale e di apartheid.

Inoltre la repressione dei movimenti di protesta contro l’occupazione in Palestina e contro il Tav avviene tramite la militarizzazione del territorio, grazie anche alla collaborazione tra Italia e Israele dal momento che il filo spinato usato in Val di Susa è fornito dallo Stato israeliano, ed impiegato dall’Israel Defence Force nelle più varie situazioni nei Territori Palestinesi Occupati.

Come direbbe Yasser Arafat: “Palestinese non è colui che è nato in Palestina. Il palestinese è un’identità di resistenza e di lotta per la libertà, la giustizia e la pace nel mondo. La lotta di liberazione della Palestina, non è solo la lotta dei palestinesi, ma di tutti i liberi e gli onesti del mondo”.