Patagonia, acqua avvelenata (da Israele)

Argentina-Ilmanifesto.it. Riccardo Bottazzo. Con la benedizione di Milei, la società israeliana Mekorot si è comprata tutto l’oro blu della Patagonia per utilizzarlo nelle attività estrattive. Così i mapuche finiscono per essere trattati come i palestinesi.

Israele si è comperato tutta l’acqua della Patagonia. Lo ha fatto tramite la sua National Water Company, la Mekorot, la multi utility parastatale di Tel Aviv che oggi gestisce l’80% delle risorse idriche della Palestina. Ma cosa è la Mekorot?

Se navigate nel sito della società, troverete una perfetta celebrazione del mito della fondazione d’Israele: «Abbiamo fatto fiorire l’arido deserto della Palestina trasformandolo in una oasi» si legge. «Lo abbiamo fatto per il popolo israeliano: per la famiglia nella casa, per l’agricoltore sul campo, per il lavoratore nell’industria». Inutile cercare nel sito di questi benefattori anche solo un accenno al popolo palestinese.

SIN DALLA SUA FONDAZIONE, nel 1937, 11 anni prima della nascita di Israele, Mekorot ha dimostrato una forte vocazione a uscire dai suoi confini proponendo soluzioni gestionali e tecniche all’avanguardia a tutti i governi del mondo e alle aziende private impegnate in progetti che richiedono un uso intensivo dell’acqua in ambienti ostili, sia per l’arida conformazione del territorio che per l’impatto che detti progetti hanno con la popolazione locale.

Protesta mapuche contro il monopolio Mekorot foto Ya Basta Edi Bese
Protesta mapuche contro il monopolio Mekorot foto Ya Basta Edi Bese

La firma degli accordi di Abramo, il 3 agosto 2020, tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti, ha abbattuto definitivamente ogni ostacolo all’espansione oltre frontiera della Mekorot che oggi è diventata la più importante società che governa le infrastrutture idriche del Golfo Persico, sigillando accordi col Bahrain e la Giordania. Altri contratti sono stati firmati con l’Azerbaigian, il Marocco, Singapore e, in Europa, con la Francia e… l’Italia.

GIÀ, C’È DENTRO anche il nostro Paese con i contestatissimi accordi tra la società israeliana e le multiutility Iren, Reggio Emilia, e Acea, Roma. Accordi per una cosiddetta “partnership strategica” che, grazie alle indignate proteste dei comitati per l’acqua pubblica non sono più stati rinnovati. L’azienda sionista, infatti, è responsabile di continue violazioni dei diritti umani in Palestina, dove il monopolio israeliano delle risorse idriche, o se preferite, il furto dell’acqua, è una delle armi utilizzate per indebolire la resistenza della popolazione palestinese. La stessa acqua che viene venduta ai coloni per tre shekel al metro cubo, costa ai palestinesi trenta shekel (circa 7,50 euro). Un colono dei Territori, inoltre, può accedere a una fornitura di 400 litri al giorno, mentre un palestinese ha il limite di 60 litri. Ricordiamo che il minimo previsto dall’Organizzazione mondiale della Sanità è 100 litri.

COME SIA ARRIVATA, la Mekorot, ad attraversare l’oceano, sbarcare in Argentina e quali siano i suoi progetti per il continente sudamericano è una storia tutta da raccontare. Ad aprire la porta alla società israeliana fu un accordo stipulato nel 1982 con l’allora giunta militare. La caduta della dittatura, avvenuta l’anno successivo come conseguenza della guerra delle Falkland, congelò l’espansione della Mekorot in Argentina. Tutto cambia con l’arrivo di Javier Milei alla Casa Rosada e la conseguente approvazione del piano Rigi (Regime di incentivazione per i grandi investimenti). Grazie all’appoggio incondizionato del governo di Buenos Aires, oggi l’azienda ha in concessione le risorse idriche di 13 delle 23 provincie in cui è federata l’argentina. Guarda caso, si tratta di tutte le provincie della Cordigliera, la zona più ricca di sorgenti e fiumi.

Protesta mapuche contro il monopolio Mekorot foto Ya Basta Edi Bese
Protesta mapuche contro il monopolio Mekorot foto Ya Basta Edi Bese

UNO DEI PRIMI ATTI LEGISLATIVI del presidente “Motosega” infatti, è stato quello di incentivare gli investimenti stranieri assicurando con il Rigi una totale defiscalizzazione degli utili alle imprese che effettuano investimenti superiori ai 200 milioni di dollari. Più che una svendita totale, hanno denunciato i partiti d’opposizione, un vero e proprio regalo alle multinazionali.

I settori interessati dal Rigi sono le infrastrutture, il petrolio, l’energia, l’industria forestale e, soprattutto, quella mineraria. Tutti settori che prevedono un enorme consumo di acqua. Solo un esempio. Per ottenere mezzo grammo d’oro, bisogna macinare una tonnellata di rocce e passare attraverso un processo detto di “cianurazione” che prevede l’uso di arsenico e altri inquinanti.

Tutto va poi lavato con tonnellate d’acqua che, in seguito, viene riversata sui fiumi. Non è nemmeno un caso che molti dei latifondisti “padroni” della Patagonia, tra cui i trevigiani Benetton, abbiano abbandonato il settore della lana e dell’allevamento per capitalizzare sul più redditizio mercato dell’estrazione mineraria investendo sulla contestata Compañia de Tierras Sud che controlla quasi tutte le miniere a cielo aperto della Patagonia.

A QUESTO PUNTO appare chiaro quale sia il compito della Mekorot. Trovare le risorse idriche necessarie e, nel contempo, arginare le proteste delle popolazioni locali. Esattamente come fa in Palestina.

Dal punto di vista dell’anarco-capitalista Milei, l’approvazione del Rigi è un perfetto colpo di motosega ai diritti. Il piano infatti consente una totale mancanza di trasparenza sulle convenzioni firmate con la Mekorot e permette di ignorare l’obbligo della consultazione pubblica prevista per legge su progetti che hanno un forte impatto sull’ambiente e sulla salute dei cittadini. Inoltre, il Rigi concede l’immunità legale alle multinazionali estrattiviste per danni alla popolazione o all’ambiente e l’affido di eventuali contenziosi a un arbitrato privato con sede a Londra.

PER COMPLETARE L’OPERA, Milei ha autorizzato la ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, a organizzare una speciale “Unità di Sicurezza Produttiva” con il compito di mettere a tacere tutte le voci che si oppongono alle ruspe estrattiviste. Il risultato è stata la criminalizzazione di tutte le resistenze dei popoli indigeni della Patagonia tra arresti arbitrari, processi e violente perquisizioni compiute dai militari nelle comunità. I colpevoli degli incendi delle foreste e dell’inquinamento dei fiumi sarebbero solo loro, i Mapuche che ancora si ostinano a difendere la Pachamama, la sacra Madre Terra, che dona la vita a tutto il Creato.