Patrizia Cecconi – In morte di Sinwar: Portate Rispetto!

L’Antidiplomatico.it. Di Patrizia Cecconi. C’è un proverbio arabo che fa più o meno così: i cani ballano sul corpo del leone abbattuto. Ma il leone resterà sempre leone e i cani resteranno sempre cani, servi dell’assassino. Non ci vuole molto a capire chi sono i cani e chi il leone, anzi  i leoni, le cui vite sono state spezzate illudendosi che non ci sarebbero stati cuccioli pronti a sostituirli crescendo.

Per nascondere la dignità degli uccisi si cerca di additarli non come combattenti per una causa nobile, la Libertà,  ma come fuggiaschi, o sfruttatori  del loro popolo, o perversi. S’inventano storie di cui nessuno controllerà la veridicità e s‘inventano perfino soprannomi ignobili, attribuiti ai leoni abbattuti dalla fetida muta del padrone.

Così, mentre la banda di Tel Aviv ordina di stritolare migliaia e migliaia di corpi di bambini e donne e adulti e di abbattere centinaia di migliaia di case, di distruggere ospedali, di bombardare ambulanze e asili e scuole, di bruciare vivi poveri  sfollati ammucchiati in tende di plastica e di commettere ogni tipo di orribile scempio del popolo sotto oppressione e dei suoi pochi alleati, e mentre, col macellaio di Tel Aviv in testa, la stessa banda irride le leggi internazionali, i diritti umani universali, le Istituzioni che osano criticarne l’immensità dei crimini, mentre tutto questo accade vediamo la sua fedele muta politica e mediatica che, in suo omaggio, celebra  gli omicidi dei capi della resistenza, ultimo quello di Yahya Sinwar, assassinato mentre combatteva, e non nascosto nei tunnel come le veline israeliane dettavano ai loro fedeli media per screditarne l’immagine.

Sinwar è stato assassinato dagli israeliani mentre era gravemente ferito, contravvenendo anche al diritto bellico per il quale un nemico gravemente ferito e dunque inoffensivo deve essere arrestato, non ucciso. Ma Sinwar non avrebbe mai detto al suo assassino “Vile, tu uccidi un uomo morto” come abbiamo imparato nei nostri libri di storia e come, dal XVI secolo ad oggi resta ancora l’insulto più forte verso la viltà. Non l’avrebbe mai detto perché conosceva bene la ferocia israeliana che della sua viltà fa vanto e spettacolo senza ritegno, mostrandosi in video autoprodotti , proprio come i colonizzatori italiani agli ordini del criminale fascista Graziani facevano con le foto negli anni bui del colonialismo italiano in Africa. Deve essere una caratteristica propria dei coloni vantarsi dei propri crimini. Così come è una caratteristica dei servi mediatici servire i potenti, all’epoca tramite l’EIAR e la stampa di regime, oggi tramite le Tv di massa e la stampa…  di regime!

L’eliminazione dell’ultimo dei massimi leader della resistenza palestinese avrebbe dovuto significare la fine del genocidio di Gaza e invece no, il macellaio di Tel Aviv, colui che tiene al guinzaglio le massime Istituzioni internazionali e numerosi governi occidentali, Italia compresa, non è ancora sazio di sangue e di terra e quindi va avanti contando sulla fedeltà di quei latranti  che all’unisono ripetono la magica frase della Hasbara “Israele ha diritto a difendersi”, come se fosse lui la vittima.

Sarà dura per loro distruggere l’icona del leader morto combattendo contro un nemico enormemente più potente e così provano ancora a distruggerne l’immagine nel modo più ignobile, lo fa l’Huffington post ipotizzando di aver riconosciuto in un video girato nei sotterranei, sbiadito, sgranato e in grigio e nero, una borsa di pregio nelle mani della moglie lasciando intendere che la sua famiglia vivesse nel lusso mentre la popolazione sta morendo di fame.  In tal modo il misero tentativo di svilire il nemico sposta su di lui  l’attenzione  verso l’ennesimo crimine di guerra  israeliano consistente nel blocco di viveri alla popolazione assediata e bombardata.