Peggiorano le condizioni dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

GazaInfopal

Con l’inizio del mese del Ramadan, la direzione delle prigioni israeliane intensifica la strategia programmata per affamare i detenuti palestinesi.

La peculiarità di questa politica è la durezza nei confronti dei detenuti e le detenute da parte della direzione e dei carcerieri, che usano spesso la violenza fisica.

Secondo i rapporti dei centri per la difesa dei diritti umani, i detenuti hanno confermato che il cibo servito durante il mese del Ramadan è pessimo e non salutare, la quantità è poca e non soddisfa il minimo previsto dalle leggi umanitarie internazionali né le condizioni definite dalla Croce Rossa Internazionale. Il detenuto digiuna tutto il giorno e al momento di mangiare non trova il cibo necessario, e se è sufficiente, è privo di sostanze nutritive.

È chiaro che la mancanza di cibo è voluta dalle direzioni delle prigioni. Per compensare la carenza di alimenti, in particolare nel mese del Ramadan, i detenuti sono costretti a comprarli con i loro soldi dallo spaccio della prigione – controllato dall’occupazione – che ne approfitta per aumentare i prezzi.
Ciò rappresenta un peso per le loro famiglie, vittime dell’assedio imposto contro la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Torture continue

I detenuti palestinesi delle prigioni dell’occupazione sono vittime di ogni forma di tortura e di privazione. Vivono una vita priva del minimo necessario. Con il mese di Ramadan, le aggressioni aumentano.

Circa 11.000 detenuti palestinesi sono rinchiusi in oltre 20 prigioni e centri di detenzione. A metà di essi sono vietate le visite dei parenti. Le violazioni contro i bambini e le donne detenute proseguono: oltre alla tattica delle perquisizioni, delle invasioni notturne nelle celle di isolamento e le condanne assurde dei tribunali militari israeliani, va aggiunto il cibo scadente e sporco.

300 bambini (sotto i diciotto anni) sono ancora rinchiusi nelle prigioni appartenenti alle autorità di occupazione. La maggior parte si trova accanto alle detenute, nella prigione di “Talmud”, sito nella zona “Hasharon”, vicino a Natania, mentre gli altri sono distribuiti in altri centri di detenzione.

Durante “l’Intifada di al-Aqsa” le forze di occupazione hanno sequestrato circa 600 donne palestinesi: ne sono rimaste ancora 109 detenute nelle prigioni “Talmud” e “Nafih Tresta”, a Ramleh e in altri centri di isolamento. 62 sono state condannate, 44 fermate e 3 in arresto amministrativo. Tutte vivono in condizioni molto difficili.

La sofferenza delle detenute

Le detenute affrontano ogni giorno molti attacchi punitivi. Molte testimonianze dimostrano che le donne vengono picchiate e sottoposte a pressioni psicologiche.
Vengono detenute in luoghi non idonei, senza considerare i loro bisogni privati, e senza rispettare i loro diritti minimi. Esse subiscono un trattamento disumano ed umiliante: perquisizioni provocatorie dove vengono denudate, insulti, aggressioni, ogni volta che escono per andare in tribunale, per le visite o per passare da un reparto all’altro. Le loro celle sono spesso invase e perquisite. Spesso hanno fatto ricorso allo sciopero della fame per poter ridurre le ingiustizie.

Per punire i detenuti, le direzioni carcerarie utilizzano l’isolamento, che può durare da ore ad anni, in base a processi ingiusti.

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