Di Fulvio Grimaldi. Chiunque avesse perso quella parte di sé che grida di dolore quando vede bambini fatti a pezzi da bombe e cecchini israeliani, troverebbe difficile rispondere a questa domanda.
Perché dovremmo sentire come nostre le cose che avvengono in Palestina?
Perché la nostra specie, dalla quale si sono estraniati coloro che massacrano in Palestina e nel mondo, non potrebbe continuare a vivere su questo pianeta come se ciò che succede ad altre persone, ad altri organismi, non avesse niente a che fare con noi. Non siamo più in quel mondo. Non siamo più tribù isolate sparse sul pianeta che lottano per sopravvivere, ognuna per conto suo. Siamo otto miliardi di essere umani, al netto di quelli estraniatisi, di cui dicevo sopra, che non sono più separati e distanti come un tempo. Siamo interconnessi in tutti i sensi, siamo globali.
E dunque siamo responsabili ognuno dell’altro. Siamo una comunità che può darsi da fare per salvare il pianeta, o per farselo distruggere. Dipende da come ci sentiamo rappresentanti e co-interessati con tutti gli altri. E’ la nostra possibile forza. E’ per questo che siamo diventati bersaglio.
Gli oligarchi disumanizzati hanno uno scopo: dominare ed estrarre valore da ognuno e da tutto mediante sfruttamento, impoverimento, devastazione ambientale, guerra. I loro meccanismi incidono direttamente su quanto ci è dato, o negato, per vivere. A volte per sopravvivere. Se avessimo un’autentica solidarietà di classe, una solidarietà globale, noi dovremmo stare fianco a fianco dei palestinesi. Palestinesi come epitome e avanguardia della comunità globale della vita, della solidarietà, della compassione, della lotta. Della lotta per impedire che le nostre oligarchie, dedite al culto della morte altrui, facciano divorare la biosfera dalla macchina capitalista, nutrendone l’espansione a forza di morte..
I palestinesi non sono soltanto i combattenti anticolonialisti per la propria esistenza paritaria nel concerto delle nazioni. Sono il granello di sabbia che fa stridere, frenare, alla fine interrompere, la marcia di quella macchina, la macchina del capitalismo imperialista. Sono i protagonisti dell’era della comunità globale che ha preso conoscenza e coscienza di sé.
Pensate quanto siamo vicini, paralleli, sinergici! Avete assistito alla sollevazione dei palestinesi, e anche di parte degli israeliani, contro una cricca di licantropi capeggiata da Netanyahu, cioè da uno che cerca l’impunità assoluta e l’annientamento del controllo giudiziario sulle sue malefatte e, anche a questo scopo, allestisce genocidi. Se se la cava lui, se la cava la perversione statale sionista. Vale uguale uguale per Zelensky e la NATO.
Non vi viene naturale l’accostamento all’uso pro domo sua che il potere, da noi e, in genere, nell’Occidente politico, fa delle riforme che demoliscono il terzo pilastro della democrazia: la magistratura? Via ogni controllo, di sottoposti e di sovrapposti, a fini della verticalizzazione di un potere costruito a esclusiva promozione del privilegio sottratto. Razziale, sociale, subculturale, economico.
Avete visto la cartina dei frantumi in cui è stata ridotta la parte della Palestina, ora ulteriormente insanguinata, chiamata Cisgiordania. Frammenti distanti e incomunicanti. Inoffensivi. Disabili. Non vi è venuta in mente quella che questo nostro regime di parasionisti ha chiamato autonomia differenziata e che disaggrega ciò per cui per secoli si è lottato e sanguinato? Divide et impera. Tutto ciò che è marca, che non è centro imperiale. Deglobalizzare l’umanità e le sue aggregazioni al fine dell’unico globalismo concesso: quello dei vampiri, formulato a Davos. Quello della classe e del popolo “eletti”.
Siamo tutti palestinesi, cari amici, come mai prima. Come solo pochi in passato avevano realizzato la comunanza tra la nostra sorte di lavoratori, proletari, intellettuali ammanettati, con quella degli africani, asiatici, latinoamericani in lotta di liberazione. C’era voluto il Che Guevara. Oggi ci sono i palestinesi. E le marce e le lotte che con loro si fanno in tutto il mondo.
La Palestina ci rappresenta, ci unisce, ci guida. Diceva l’unico nostro degno presidente: “A brigante, brigante e mezzo”. Alla globalizzazione di Davos, globalizzazione e mezza di Gaza.