Perché è un diritto-dovere sostenere i Palestinesi.

Ripubblichiamo questa riflessione, perché l’onesto e professionale lavoro di informazione sulla "questione Palestina" che Infopal svolge è da mesi oggetto di "attenzioni", con tutto ciò che ne segue, da parte di siti, blog e personaggi politici e mediatici che hanno alle spalle lobby potenti e non del tutto "democratiche", almeno, nell’accezione letterale del termine. La ripubblichiamo per ribadire le ragioni razionali, intellettuali, professionali che ci spingono a occuparci di Palestina e palestinesi e non di altre, importanti, questioni.

 Arrivano di notte, com’è loro abitudine, e assaltano villaggi e città, case, persone – vecchi, giovani, bambini, non è importante. Sparano all’impazzata contro le abitazioni, lanciano bombe al suono. E devastano la vita dei cittadini palestinesi, dovunque essi si trovino. La storia delle invasioni barbariche dell’Europa ci ha abituati a leggere di simili atrocità.

Il potere della propaganda e i suoi critici. Qui, tuttavia, ci troviamo di fronte a uno degli eserciti più potenti del pianeta. Con una propaganda editoriale, mediatica, cinematografica (Hollywood) senza pari, che ha fatto credere al mondo intero che Israele sia la vittima e non il carnefice, l’invaso e non l’invasore. Da progetto e poi potenza coloniale e occupante, lo Stato ebraico – dunque confessionale, dunque basato su una visione di razza e religione esclusive ed esclusiviste, discriminatrici – sta facendo intendere a tutti di essere "in pericolo", di essere, appunto, una vittima.

Di fronte a tale propaganda, ingegnosa e ormai centenaria, ma sempre potenziata e rinnovata, non si può che rimanere ammirati. Per fortuna, ci sono storici, scrittori, giornalisti israeliani che ci aiutano a smontarla e a denunciarla. Quindi, non tutto è perduto.

Sia all’interno delle comunità ebraiche mondiali sia nello stesso Israele c’è una coscienza critica, una consapevolezza dell’immoralità che alberga nei governi israeliani, nelle pratiche dell’esercito, nelle prigioni, nelle politiche attuate, potremmo dire, da più di sessant’anni a questa parte.

Terrorismo e "rogue state". Israele è nato con il terrore, con atti di terrorismo veri e propri perpetrati, già a fine degli anni ’30, dall‘Irgun Zvai Leumi, corpo paramilitare della destra sionista, fondato dal filo-fascista Jabotinskij. Nel 1944, il gruppo terroristico ebraico "Stern", nato da una scissione dell’Irgun, uccide Lord Moyne, ministro britannico per il Medio Oriente. Nel 1946, l‘Irgun fa saltare con la dinamite la segreteria generale dell’Alto commissariato britannico a Gerusalemme (Hotel King David), causando oltre 90 vittime. Nell’aprile del 1948, a Deir Yassin, sulla strada per Gerusalemme, un commando dell’Irgun, diretto da Begin, uccide 254 persone, in buona parte bambini e vecchi.
Le operazioni di terrorismo, in Palestina e all’estero – attraverso gli uomini del Mossad, i servizi segreti esterni israeliani – e le stragi sono proseguite sino ad oggi. Il vescovo Desmond Tutu, eroe della lotta contro l’Apartheid sudafricano – in questi giorni in visita nella Striscia di Gaza come inviato del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per indagare sull’efferata strage del novembre 2006, contro Beit Hanoun, dove morirono 19 persone per uno "sbaglio tecnico" dell’esercito israeliano -, ha definito "macellai" i militari israeliani.

Israele può essere chiamato, usando la terminologia in voga negli Usa e utilizzata anche dai nostri media, "rogue state", stato canaglia, in quanto non rispetta né la legalità internazionale, né le risoluzioni del Consiglio di sicurezza Onu, né ha mai siglato il Trattato di Non proliferazione Nucleare pur possedendo numerose testate nucleari, utilizza armi non convenzionali, ha in atto una "pulizia etnica" che dura da sessant’anni, fa strage di civili, assedia una popolazione – quella della Striscia di Gaza – tenendola chiusa come in un campo di concentramento. E altro ancora.

I "perché" di IsraeleE’ uno stato nato come roccaforte coloniale in un’area vasta (il Medioriente in senso lato) che racchiudeva, e ancora racchiude, enormi risorse energetiche – motore dello sviluppo occidentale del XX secolo. A darne altra giustificazione si aggiungono, poi, i millenarismi religiosi di certo protestantesimo cristiano che vede nel "ritorno degli ebrei a Sion, una preparazione per l’apparizione gloriosa del Messia", e le feroci persecuzioni nazi-fasciste, in Europa, a cavallo tra gli anni ’30 e ’40.

Perché sostenere i Palestinesi. Israele è, e rimane, uno stato-potenza coloniale. Non bisogna dimenticarlo. Forse uno degli ultimi paesi coloniali. Per questo, anche, la causa palestinese va sostenuta, in quanto vittima contemporanea di una politica di colonialismo occidentale mai terminata.

Un altro motivo è senz’altro più egoistico e ci riguarda da vicino: la libertà di espressione e di coscienza, i diritti civili. La Palestina rappresenta la lotta dei popoli per le libertà fondamentali. Quindi, anche le nostre. Siamo, infatti, dominati dal Pensiero Unico, sia a livello politico sia a livello di informazione. Tutto ciò che esula e non s’accorda pienamente con questa "nuova linea di pensiero", frutto del New World Order, Nuovo Ordine Mondiale, architettato negli Usa già a metà degli anni ’90, rischia di finire etichettato, e perseguitato, come "minaccia". Negli Stati Uniti, dopo l’11 settembre 2001, è stato promulgato il Patriot Act (http://it.wikipedia.org/wiki/USA_PATRIOT_Act), una legge federale liberticida e violatrice di diritti umani. In Europa, in Italia, sono stati emanati decreti discutibili ed espulsi cittadini di origine araba consegnandoli a Stati dove viene praticata la tortura "d’ufficio"; sono state accettate supinamente le "extraordinary renditions", una vera mostruosità del XXI secolo. Si è permesso a media con tiratura nazionale e a giornalisti embedded (intruppati) con Usa e Israele, con "servizi" di tutti i tipi e genere, di indirizzare, spesso, scelte politiche e giudiziarie. Certe indagini, e decreti, partono infatti da "inchieste" giornalistiche (certo, la tradizione del buon giornalismo investigativo americano e britannico ci insegna che scandali e corruzioni possono essere portati alla luce, resi pubblici e puniti, ma qui parliamo di ben altro!), e non vice-versa. Insomma, siamo di fronte alla Waterloo delle libertà italiane, oltreché mondiali.

Su tutto ciò, incombe lo spauracchio dell’"anti-semitismo" per coloro che si occupano di Palestina e che, come suggerisce loro una coscienza ancora non intorpidita e una lucidità intellettuale ormai anacronistica, criticano e condannano le scelte e l’operato dei governi israeliani.

Ecco allora, che la Palestina è e deve essere la causa di "tutti i liberi" del mondo, di tutte le coscienze ancora vive e vivaci: in Palestina si sta consumando un genocidio lento, seppur inesorabile, da oltre sessant’anni, una pulizia etnica che, per durata, può essere paragonata solo a quella contro i Pellerossa (se non vogliamo parlare, invece, di quelle centenarie contro le popolazione autoctone dell’America Latina ad opera dei conquistadores europei, o contro le "streghe" in Europa).

Lo scontro di civiltà tra Oriente e Occidente, tra islam e cristianesimo e tra islam ed ebraismo non c’entrano nulla. Sono dinamiche create a tavolino, per lo meno, nella forma contemporanea. I popoli non sono mai stati in "scontro", lo sono stati i governi, gli imperi. E’ necessario ricordarlo per avere una visione chiara di cause ed effetti.

Islam, cristianesimo ed ebraismo, cioè le religioni, nulla hanno a che fare con la cosiddetta "Questione israelo-palestinese". Mentre così ci vogliono far credere i diffusori dell’ideologia sionista – con adepti fondamentalisti anche in certo protestantesimo evangelico statunitense e ateismo devoto italiano -, i "think tank" made in Usa, le multinazionali delle armi, ecc., e i loro "devoti" sparsi un po’ ovunque, soprattutto in certo giornalismo italico e tra molti nostri politici.

Si tratta di una menzogna colossale. Le cause del conflitto attuale vanno inquadrate storicamente e in un contesto geo-politico che risale almeno a inizio Novecento (su questo ritorneremo con un lavoro storico collettivo nei prossimi mesi).

Dunque, la Palestina deve essere la nostra lotta per la sopravvivenza in quanto individui liberi e pensanti, non omologati al comodo e carrieristico (in molti casi), ma devastante per il pianeta intero, Pensiero Unico. L’ideologia neo-coloniale e predatrice – distruttrice di popoli, risorse, ambiente, diritti, eco-sistema, pensiero – è una minaccia per tutti. E’ la vera minaccia. Per questo siamo tutti moralmente e civilmente chiamati ad aprire gli occhi.

I Palestinesi ce lo stanno dicendo, anzi, urlando, da decenni. Quando ci sveglieremo dal torpore in cui l’era descritta dal geniale e intuitivo Orwell ci ha fatto sprofondare?

Angela Lano, direttore Infopal.it

Torino, 30 maggio

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