Perché Gaza deve aspettare al buio?

downloadMa’an. Di Sam Bahour. Quando chiesi alla mia collega di Gaza quale fosse il suo sogno più grande, la sua risposta mi fece un certo effetto: “Sogno come potrebbe essere una vita con l’elettricità 24 ore su 24”.

Questa fu la risposta di una professionista single, in carriera, con un’istruzione occidentale, che vive nella parte più benestante di Gaza City.

La sua risposta riflette la profonda disperazione tra i Palestinesi dell’intera Gaza.

La quotidianità di Gaza vissuta tra gli attacchi israeliani è una notizia di poco conto per i principali mezzi di comunicazione occidentali. Di conseguenza, in pochi sanno che l’elettricità in questo posto è un lusso, con black-out che durano dalle 16 alle 18 ore ogni giorno.

Quest’amara realtà ha modificato la vita delle persone da anni: esse devono pianificare le attività quotidiane tra le 4-6 ore quando prevedono l’arrivo dell’elettricità, anche se ciò significa svegliarsi nel cuore della notte per mettere il bucato in lavatrice.

Contrariamente a quanto comunemente si crede, la scarsa fornitura di energia elettrica a Gaza non è nuova come questione né deriva dalla recente aggressione militare.

Gaza non riceve energia elettrica ininterrotta dalla fondazione dell’Autorità Palestinese nel 1994. Nel tentativo di rimediare la distruzione israeliana dell’alimentatore di corrente di Gaza, i Palestinesi hanno costruito la prima centrale elettrica nel 2004.

Da allora, Israele ha regolarmente limitato gli approvvigionamenti di elettricità e di combustibile industriale necessario per il funzionamento dell’unica centrale elettrica della città. La capacità di Israele di negare alle famiglie l’energia di cui hanno bisogno non è nulla in meno alle punizioni collettive adottate nei confronti di questo popolo – punizioni in base alle quali un’intera comunità è ritenuta responsabile per le azioni di pochi.

Separare la questione dei rifornimenti di elettricità dal conflitto politico è un’azione necessaria da tempo. L’accesso all’elettricità – un bisogno primario che gran parte del mondo, incluso Israele, può dare per scontato – non dovrebbe essere subordinato ai risultati dei futuri negoziati.

Il perdurare dell’oscurità a Gaza non giova a nessuno.

Durante l’aggressione militare israeliana su Gaza della scorsa estate, Israele ha bombardato di nuovo l’unica centrale elettrica del paese (lo stesso accadde il 28 giugno 2006).

In un articolo pubblicato il 29 luglio 2014 sulla più recente distruzione, il Guardian ha citato le dichiarazioni di Amnesty International: “La distruzione della centrale si aggiungeva alla punizione collettiva dei Palestinesi”.

Inoltre, Amnesty faceva notare che “l’attacco alla centrale acuisce i problemi già gravi dei rifornimenti idrici, del trattamento delle acque reflue e dei rifornimenti di energia elettrica destinati alle strutture mediche”.

Il 14 settembre 2014, dopo meno di 50 giorni dall’attacco all’impianto e dopo meno di un mese dalla fine dei conflitti, il Middle East Monitor ha riferito che Walid Sayel, CEO della Società elettrica di Gaza, ha annunciato che la centrale elettrica di Gaza era pronta per funzionare e in attesa di rifornimenti di combustibile.

“Il ministro dell’Energia turco”, continuava l’articolo “ha affermato che il suo Paese, una volta ottenuto il via libero (da Israele), è disponibile a inviare una centrale elettrica galleggiante della capacità di 100 megawatt”. Mentre i Palestinesi a Gaza tentano di andare avanti, nessuno degli attori coinvolti nelle recenti disfatte, in primis Israele, si ritiene responsabile.

L’ostacolo non consiste semplicemente nella mancanza di carburante per la centrale. La questione è molto più complessa e pianificata.

Se la Turchia avesse voluto seriamente aiutare i Palestinesi, la sua centrale galleggiante sarebbe già nelle acque territoriali di Gaza pur dovendo affrontare la marina israeliana e rischiare un incidente internazionale. Se l’Autorità Palestinese fosse stata seria, non avremmo visto un amministratore delegato di una centrale elettrica elemosinare i fondi necessari per il funzionamento della stessa.

E, soprattutto, Israele ha la capacità immediata di rifornire Gaza di continua elettricità. Secondo il diritto internazionale, Israele, in quanto potenza occupante, è il solo responsabile in grado di risolvere la questione entro breve tempo.

Sfido i governi e i leader che sono ritornati al Cairo per un nuovo round di negoziati di cessate il fuoco, senza prospettarne una scadenza o una conclusione, a concentrarsi su quest’azione fondamentale e umana: dare agli abitanti di Gaza accesso all’elettricità.

Sarebbe un’azione essenziale per alleggerire le tensioni della vita di Gaza dove le persone care non possono avere notizie reciproche se non ricaricano i cellulari, email e chiamate su Skype non sono prevedibili, e procurare generatori di back-up agli ospedali è letteralmente una questione di vita o di morte.

Dal momento che quello che doveva essere un processo di pace quinquennale sta entrando lentamente nel suo terzo decennio, un’intera generazione di bambini palestinesi nata agli inizi degli anni ’90 ora ha compiuto 16, 18 o 20 anni. Per loro non c’è mai stato un periodo in cui non si è fatto uso di candele per studiare nelle ore di buio a causa dell’elettricità intermittente.

Israele ha il potere di mettere fine all’interruzione di energia elettrica oggi. Le nazioni solidali hanno l’influenza necessaria per insistere affinché esso agisca in tal senso. Se i leader internazionali non riescono a concordare sul fatto che fornire elettricità alla popolazione di Gaza – un obiettivo molto realizzabile – dovrebbe essere una priorità immediata, come possiamo forse immaginare che le questioni politiche più ampie possano essere risolte in qualunque momento e a breve?

Sam Bahour è un consulente aziendale che vive a Ramallah. Opera come consulente politico di al-Shabaka, la rete politica palestinese con blog al sito www.epalestine.com.

Traduzione di Patrizia Stellato