Perché i diritti civili sono un pericolo?

di Ahmed at-Tibi*, 21 luglio 2010

Oggi come non mai, la difesa dei diritti civili in Israele può essere fatale per chi osa farsi promotore di un'impresa del genere.

Negli undici anni di carriera parlamentare israeliana, ho subito numerose minacce alla mia incolumità,  ma, evidentemente, la “Pulsa Denura” ebraica (maledizione rabbinica) mi sta concedendo ancora del tempo.

Nell'ultima lettera recapitatami a casa (la seconda in pochi giorni) si leggeva: “Ti restano solo 180 giorni di vita e la tua morte sarà crudele e particolarmente dolorosa…”.

Lo scorso mese sono stato rimosso dall'aula parlamentare con la forza dalle guardie della Knesset (parlamento israeliano) e, a distanza di pochi giorni da quell'episodio, si sono registrati frequenti casi di oltraggio (accuse verbali e fisiche) ai danni dei miei colleghi.

È da notare che tutta questa rabbia potrebbe non avere collegamenti esclusivi con gli avvenimenti che riguardano Gaza, il suo assedio e l'omicida attacco israeliano contro la Freedom Flotilla dello scorso 31 maggio.

Ripercorriamo i seguenti episodi:

– Un cittadino americano – di origine turca – viene freddato a morte sulla nave turca presa d'assalto;

– Il giorno dopo l'attacco in acque internazionali, una studentessa americana che protestava in solidarietà ai passeggeri della “Mavi Marmara” e in segno di protesta verso l'azione israeliana veniva colpita ad un occhio dal lancio di gas lacrimogeno e perdeva – per sempre – la vista dall'organo ferito;

– Giorni dopo, viene sparato a morte a un palestinese sposato con una cittadina americana, dopo che egli era stato vittima di un incidente stradale nei pressi di un checkpoint israeliano.

Tuttavia, i dirigenti americani non sembrano preoccupati per quanto è accaduto e accade in questi giorni.

Essi sembrano soprattutto preoccupati di rispondere – puntuali – all'appello di AIPAC (il comitato israelo-americano per gli affari pubblici), intento a difendere l'idea che nei fatti del 31 maggio 2010 Israele si sia autodifeso contro gli operatori umanitari internazionali.

Il silenzio del presidente statunitense è una continuazione del vuoto che, nel tempo, ha seguito il suo discorso tenuto a Il Cairo, e riflette il suo fallimento nel perseguire qualsiasi politica in nome del diritto internazionale in Medio Oriente.

Insomma, resta in auge la volontà di sacrificare ancora i diritti civili fondamentali dei palestinesi per salvare il ricorrente concetto della “sicurezza israeliana”.

Obama dimostra di non avere la volontà e/o di non essere capace di opporre resistenza all'oltranzismo dello Stato di Israele, scegliendo, in tal modo, di calpestare le libertà civili della minoranza palestinese all'interno di Israele.

Obama preferisce circondarsi di personaggi quali il senatore Charles Schumer, che – senza ambiguità – aveva affermato che si dovesse continuare nello strangolamento economico di Gaza come punizione per aver eletto Hamas, ma anche perché si tratta di una popolazione (quella palestinese) infedele alla Torah e al “Re Davide” [che per l'Islam è uno dei massimi Profeti, ndr].

Opinioni come queste sono in linea con quelle che interessano la maggioranza dell'Unione Ortodossa che – tempestivamente – applaudisce le parole di Schumer.

Forse il senatore non riesce proprio ad essere obiettivo: qualora le sue affermazioni avessero un fondo di genuina verità, sarebbe altrettanto auspicabile strangolare economicamente pure lo Stato israeliano, guidato e supportato da personalità 'neofasciste' come il Ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman.

Possiamo sperare che la strategia di sicurezza nazionale del maggio 2010, nella quale Obama fa un richiamo alla sicurezza di tutti i cittadini israeliani, non venga relegata nel dimenticatoio, e che, analogamente, non si ignori l'esistenza di oltre trenta leggi discriminanti la minoranza palestinese all'interno di Israele, così come pubblicato nei dettagli dall'organizzazione “'Adalah”.

Siamo di fronte ad un'ambiguità, e il sostegno Usa all'esclusivismo dello Stato ebraico non porta con sé nulla di buono.

Piuttosto, ci ritroviamo di fronte alla realtà delle discriminazioni nella cittadinanza e alla creazione di ghetti, proprio come ci ha mostrato di frequente la storia di stati dominati da cristiani bianchi.

Oggi in Israele il rischio di legalizzare la separazione è un fatto autentico.

Non solo vigono oltre trenta leggi discriminanti la comunità palestinese; Lieberman minaccia il peggio (l'espulsione) se i palestinesi di Israele non dovessero giurare fedeltà allo Stato che li opprime e li priva delle libertà fondamentali, mentre altri nuovi venti disegni di legge potrebbero inasprire tale discriminazione.

Tra una minaccia di morte ed un'altra di espulsione, i palestinesi cittadini di Israele resistono e lo fanno come fecero fino al 1966, anno in cui fu abrogata la legge marziale.

*Ahmed at-Tibi è cittadino palestinese di Israele e deputato della Knesset.

Fonte: Middleeastmonitor.org – 21 luglio 2010

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