
Palestine Chronicle. I numeri dell’esercito israeliano non sembrano quadrare, sollevando ulteriori interrogativi sull’effettivo numero di soldati israeliani uccisi e feriti a Gaza.
Dall’inizio della guerra di Israele contro Gaza, le informazioni riguardanti le vittime israeliane sono state lasciate interamente in mano all’esercito israeliano.
L’opinione pubblica israeliana, i media nazionali e internazionali, sono stati lasciati all’oscuro e senza informazioni sulle effettive perdite subite da Israele sul terreno, senza nemmeno avere la possibilità di verificare, per non parlare di indagare in modo indipendente, le affermazioni fatte da Daniel Hagari e altri portavoce dell’esercito israeliano.
Questo non è il primo obbligo di silenzio imposto dal governo israeliano per quanto riguarda le informazioni relative a qualsiasi tipo di combattimento militare, sia a Gaza che in Libano o altrove.
Il divieto di diffusione di queste informazioni, tuttavia, è stato il più restrittivo, consentendo al solo Consiglio di Guerra israeliano appena formato il potere di utilizzare, nascondere o manipolare qualsiasi notizia sulla guerra per i propri fini politici.
Tuttavia, con il prosieguo della guerra il compito è diventato più difficile per tre motivi principali.
Innanzitutto, il numero di evidenti bugie e invenzioni da parte del governo israeliano riguardo a ciò che è accaduto il 7 ottobre.
Tra le accuse, la decapitazione di bambini, gli stupri di gruppo e l’uccisione indiscriminata di israeliani che partecipavano a un concerto musicale nel kibbutz di Re’im, tutte accuse che sono state smentite o per le quali non sono state fornite prove, neanche minime.
Secondo motivo è l’improvvisa variazione nel numero degli israeliani uccisi il 7 ottobre. Non solo il numero è sceso da 1.400 a 1.200, ma anche il rapporto tra personale militare e civile è cambiato radicalmente. I nomi dei militari sono stati resi noti solo gradualmente nel corso delle settimane successive.
Tre, e forse le più importanti, sono le prove ben documentate, prodotte dai gruppi della Resistenza Palestinese a Gaza, che mostrano decine di carri armati israeliani fatti saltare in aria, o primi piani di soldati israeliani colpiti individualmente o presi di mira in gruppi.
Ma anche così, i numeri dell’esercito israeliano non sembrano corrispondere, sollevando ancora più domande sul numero reale di soldati israeliani uccisi e feriti a Gaza.
Il tumulatore dei cimiteri.
Il 18 novembre, David Oren Baruch, direttore del cimitero militare di Mount Herzl, ha complicato ancor di più la missione del Consiglio di Guerra, che consiste nel nascondere il numero effettivo delle vittime israeliane, quando ha rivelato che viene sepolto un soldato israeliano ogni ora, ora e mezza, nel cimitero militare.
“Stiamo attraversando un periodo in cui ogni ora c’è un funerale, ogni ora e mezza un funerale”, ha affermato Baruch, aggiungendo “mi è stato chiesto di scavare un gran numero di tombe. Solo nel cimitero del Monte Herzl abbiamo seppellito 50 soldati in 48 ore”.
I principali media israeliani hanno ignorato del tutto i commenti di Baruch oppure li hanno riportati molto brevemente. Ma coloro che, a ragione, avevano già messo in discussione i dati forniti dai militari israeliani, hanno iniziato a fare i conti, concludendo che in realtà centinaia di soldati israeliani sono stati uccisi in combattimento a Gaza.
Tuttavia, la notizia è stata rapidamente accantonata, ancora una volta sostituita con statistiche militari israeliane che chiaramente non raccontavano la storia per intero.
Differenza inspiegabile
Inspiegabilmente, il 28 novembre il quotidiano israeliano Haaretz ha rivelato che 1.000 soldati erano rimasti feriti dall’inizio della guerra israeliana a Gaza. Stranamente, perché quel numero è stato proprio rivelato da una fonte militare israeliana, violando in modo sconcertante l’obbligo di silenzio.
Mentre molti si meravigliavano per quel numero, venivano rivelate anche altre cifre, e ancora una volta senza una chiara spiegazione del motivo per cui ai media mainstream in Israele veniva permesso di pubblicare informazioni sui feriti israeliani senza rispettare gli ordini impartiti dai militari.
Ad esempio, Yedioth Ahronoth il 9 dicembre ha riferito che 5.000 soldati israeliani erano rimasti feriti dall’inizio della guerra a Gaza, di cui 2.000 ufficialmente riconosciuti dal ministro della Difesa israeliano come disabili.
Il 10 dicembre, tuttavia, Haaretz ha rivelato che “un esame condotto da Haaretz presso gli ospedali dove sono stati e sono curati i soldati feriti mostra un divario considerevole e inspiegabile tra i dati riportati dai militari e quelli provenienti dagli ospedali”.
“I dati degli ospedali mostrano che il numero dei soldati feriti è il doppio di quello comunicato dall’esercito”, secondo il giornale israeliano.
“Il divario tra i dati dell’esercito e quelli degli ospedali risulta evidente anche alla luce delle statistiche del ministero della Salute pubblicate sul suo sito web. Questo sito mostra i dati generali sulle vittime: civili e soldati. Secondo i dati del ministero della Salute, tra il 7 ottobre e il 10 dicembre sono stati ricoverati 10.548 soldati e civili feriti in guerra. Di questi, 131 in ospedale, 471 sono stati ricoverati in condizioni gravi o critiche, mentre 868 sono in condizioni non gravi.
“Inoltre, 8.308 hanno riportato ferite lievi, 600 hanno sofferto di attacchi d’ansia e le condizioni di 206 sono sconosciute. La cifra dell’esercito di 1.593 soldati feriti rappresenta solo il 15% del numero totale dei ricoveri, che sembra insolitamente bassa, poiché ci si aspetterebbe che una parte significativa delle vittime della guerra siano soldati”.
Spiegazione plausibile.
“È stato chiaro fin dall’inizio che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha fissato obiettivi ambiziosi per la sua guerra a Gaza, sapendo benissimo che sono irraggiungibili”, ha affermato il giornalista palestinese ed editore di The Palestine Chronicle, Ramzy Baroud.
“Netanyahu voleva semplicemente che la guerra fungesse da piattaforma per gli israeliani per sfogare la loro rabbia contro la popolazione civile di Gaza, invece che contro il suo governo fallito”, ha aggiunto Baroud.
Il risultato è stato un “caso da manuale di genocidio”, secondo le parole di Raz Segal, professore associato di studi sull’Olocausto e sul genocidio presso l’Università di Stockton.
“L’assalto a Gaza può essere inteso anche in altri termini: come un caso da manuale di genocidio che si svolge davanti ai nostri occhi”, ha scritto Segal.
Ma anche dopo che la guerra ha provocato la morte e il ferimento di decine di migliaia di palestinesi, per lo più donne e bambini, l’appetito bellico dell’opinione pubblica israeliana non si è mai placato.
“Ciò ha causato un grosso problema a Netanyahu. Ha sostenuto con forza la guerra, ma con il tempo si è reso conto che questa è una guerra che non può essere vinta”, ha detto Baroud.
“È una maledizione se la fai, è una maledizione se non la fai. Se la guerra continua, centinaia, migliaia di soldati israeliani verranno uccisi e feriti. Ma se la guerra finisse, Netanyahu cadrebbe sicuramente in disgrazia e la sua carriera politica giungerebbe a una fine umiliante”.
Pertanto, secondo Baroud, le informazioni sul costo effettivo della guerra vengono diffuse ufficiosamente dai media israeliani, nonostante sia stato dato l’ordine di non diffonderle, forse con la speranza di “ricordare agli israeliani che c’è un costo elevato da pagare anche per il genocidio in corso contro i palestinesi di Gaza”.
Se così fosse, è molto probabile che vedremo altre “fughe di notizie” e rivelazioni presumibilmente non ufficiali sulla guerra di Netanyahu contro Gaza, una guerra che avrebbe dovuto “eliminare Hamas”, ma che, invece, sta eliminando quel minimo di reputazione che l’esercito israeliano ancora aveva.
(Immagine: Palestine Chronicle).
Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi