Perché molti musulmani non si esprimono contro la distruzione dei luoghi sacri a La Mecca

The Independent. Spesso un giudizio equilibrato è difficile, e le critiche sono ingiuste, quando si considera la volontà dei musulmani di far sentire la loro voce su questioni che riguardano le loro comunità. E allo stesso tempo, il silenzio e il riserbo della maggioranza permettono a una minoranza più autorevole di influenzare la percezione che il resto del mondo ha dell’Islam.

Ci si aspetterebbe che la vendita e la distruzione dei siti storici e archeologici in cui l’Islam è nato suscitasse critiche unanimi, dal momento che negli ultimi 20 anni le autorità saudite hanno attuato un vero e proprio vandalismo culturale, di proporzioni enormi, alimentato di petro-dollari e favorito da finanziatori wahhabiti senza scrupoli.

La Mecca e Medina, le due città più sacre dell’Islam, sono state sfigurate per fare spazio a grattacieli luccicanti e a centri commerciali, e decine di siti sacri collegati alla vita del Profeta sono state distrutte.

Gran parte di questo vandalismo culturale si ispira al wahhabismo, l’austera interpretazione dell’Islam che è religione ufficiale del regno saudita. I wahhabiti sono ossessionati dall’idolatria, e considerano la visita a tombe, santuari o luoghi storici associati al Profeta un incoraggiamento dello shirq (l’adorazione di false divinità). Proprio come l’affarismo rampante si ispira, a sua volta, a qualcos’altro: all’avidità.

Il silenzio dei musulmani su questo argomento non è solo codardia, è profonda ipocrisia.

Durante le preghiere del venerdì gli imam e le maggiori autorità si scagliano con veemenza  in riflessioni su come l’Islam venga infangato, e il Profeta insultato, quando degli islamofobi rabbiosi fanno uscire un film deliberatamente provocatorio, o quando dei vignettisti fantasiosi scatenano la propria islamofobia invocando il diritto democratico alla libertà di stampa. Poi la folla esce dalla moschea, e nella calca agitata qualcuno muore (musulmani, perlopiù).

Ma quanti di quegli imam si preoccupano per quanto sta avvenendo a La Mecca e a Medina? Dal punto di vista politico conviene di più rivolgere le proprie accuse agli infedeli che insultano il fondatore della tua religione che scagliarsi contro i propri correligionari.

Quando i Talebani – ispirati dallo stesso zelo anti-idolatrico che troviamo tra i wahhabiti – fecero saltare in aria i Buddha di Bamiyan, il mondo intero si indignò. Giornalisti, accademici e esponenti governativi espressero il proprio disappunto in tutto il mondo. La distruzione di La Mecca e Medina, invece – fatte salve un paio di eccezioni degne di nota – sta passando inosservata.

Ciò è in parte dovuto all’enorme influenza esercitata dall’Arabia Saudita. In quanto controllore della culla dell’Islam (dal 1986 la monarchia saudita si è modestamente insignita del titolo di “Custode delle due sacre moschee”), l’Arabia Saudita può regolare il flusso di fedeli al pellegrinaggio maggiore, hajj, e a quello minore, ‘umra. I paesi musulmani temono che una qualsiasi critica si possa tradurre in una riduzione di quote annuali di pellegrini.

Bisogna riconoscere ad Al-Jazeera il merito del documentario sulla distruzione archeologica di La Mecca, prodotto l’anno scorso.

Al contrario, in occidente gli archeologici e gli storici tacciono, temendo di non poter più avere accesso al regno saudita in caso di critiche, e i governi preferiscono tenersi buoni i sauditi, per i loro enormi giacimenti petroliferi e per il loro supposto impegno nella “guerra al terrore”.

All’interno dell’Arabia Saudita troviamo opinioni opposte: la ricca élite, oltre che ai centri commerciali e agli hotel fonte di pingui guadagni, si preoccupa di ben poco. Ma molti abitanti delle due città provano rabbia per quanto sta accadendo, in particolar modo coloro che sono stati costretti a lasciare le loro case per fare spazio al luccichio edilizio.

Ovviamente, in un’autocrazia in cui alle donne non è permesso guidare e l’opposizione è ferocemente schiacciata, si ha altro a cui pensare: l’archeologia e la storia vengono dopo le libertà fondamentali.

Ma c’è pur sempre qualche speranza, la gente dimostra sensibilità. Quando, il settembre scorso, ho pubblicato l’articolo su come La Mecca si stesse trasformando in una sgargiante Las Vegas, blogger e lettori mediorientali hanno cominciato a diffondere a loro volta l’articolo, che solo su Facebook è stato ripostato 37mila volte. Abbiamo avuto una risposta travolgente, i musulmani hanno dimostrato orrore per quanto sta accadendo, e vogliono impegnarsi attivamente contro la situazione in atto.

Anche a Londra, alcuni mesi fa, quando mi è stato chiesto di tenere una conferenza sulle mie ricerche, il pur eterogeneo pubblico di musulmani (salafiti, sufi, donne con e senza velo, uomini d’affari sbarbati) ha dimostrato generale preoccupazione. Alla fine della conferenza una giovane donna saudita in camice nero mi si è avvicinata in lacrime: “Stanno distruggendo il luogo di nascita dell’Islam”, mi ha detto. “Questo è il luogo in cui il Profeta ha vissuto e pregato. Dobbiamo fare qualcosa”.

Solo i musulmani potranno fare qualcosa per salvare quel poco che è rimasto dell’antico patrimonio islamico tra La Mecca e Medina. Spero per loro e per il mondo intero che ci riescano.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice

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