PHROC: Porre fine alla Nakba e fornire protezione ai rifugiati palestinesi

Badil.org. Quello della popolazione palestinese rappresenta il caso di esodo forzato più numeroso e più a lungo irrisolto della storia moderna.[1] I rifugiati e gli sfollati interni (Internally Displaced People) palestinesi ammontano oggi a 8,7 milioni e costituiscono oltre il 66 per cento della popolazione palestinese mondiale.[2] Nonostante questi numeri, e’ sempre mancata nell’arena internazionale la volontà di affrontare e porre rimedio a questa drammatica situazione.  Nessun organismo internazionale né, tanto meno, la comunità internazionale ha mai implementato misure volte al raggiungimento di una soluzione giusta e duratura al flagello di questa perdurante Nakba (catastrofe) conformemente a quanto stabilito dal dritto internazionale.[3]

Fin dal 1948 i profughi palestinesi si sono visti privati dei loro diritti fondamentali per mano di Israele, e hanno terribilmente sofferto la mancanza della protezione internazionale a cui tuttavia avrebbero diritto. E la situazione non fa altro che peggiorare, come è sotto gli occhi di tutti coloro che sono interessati a vedere. Negli ultimi anni, a causa delle politiche dell’amministrazione Trump, i rifugiati palestinesi hanno dovuto affrontare ulteriori difficoltà e superare nuovi ostacoli. Il governo americano, nell’intento di esentare Israele dalle sue responsabilità e cancellare il diritto al rimpatrio a cui tutti i rifugiati palestinesi hanno diritto, ha recentemente promosso una campagna denigratoria che ha preso di mira sia l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente) che gli 8,7 milioni di palestinesi oggi costretti a vivere in esilio forzato e alla maggior parte dei quali  Washington rifiuta di riconoscere lo status di rifugiato. Dopo decenni di cospicui finanziamenti, l’amministrazione americana ha bruscamente deciso di tagliare tutti i contributi a favore dell’UNRWA,[4] e sta adesso esercitando forti pressioni affinché la responsabilità internazionale venga trasferita in capo ai paesi arabi ospitanti. Se l’assistenza umanitaria fornita dall’UNRWA agli oltre 5 milioni di rifugiati palestinesi presenti nel Territorio Palestinese Occupato, Siria, Libano e Giordania (questi i territori dove a partire 1949 l’UNRWA svolge il suo mandato) venisse fornita direttamente dai paesi ospitanti, l’UNRWA diverrebbe un’organizzazione assolutamente inutile ed il suo smantellamento di fatto inevitabile. Il presidente degli Stati Uniti e la sua amministrazione hanno deciso di revocare lo status di rifugiato ai milioni di palestinesi in esilio,  in palese violazione sia di quanto previsto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) che delle ‘best practices’ storicamente adottate dagli Stati in materia.[5] Le azioni intraprese dall’amministrazione Trump si inseriscono nell’ambito di una più vasta campagna volta a imporre ai rifugiati Palestinesi una ‘one-sided solution’ contraria alle norme di diritto internazionale, alle risoluzioni delle Nazioni Unite ed ad ogni basilare principio di giustizia.

La Nabka oggi in corso contro il popolo palestinese è ulteriormente aggravata dalle politiche del governo israeliano nella Palestina Mandataria[6]; ogni anno si assiste al trasferimento forzato di migliaia di civili palestinesi (la maggior parte dei quali donne e bambini) i quali, a seguito di ordini di demolizione ed esproprio eseguiti dalle autorità israeliane, si trovano costretti ad abbandonare le loro case.

Sintomatico della mancanza di una adeguata protezione internazionale è il trattamento generalmente riservato ai rifugiati palestinesi:  nella maggior parte dei casi i paesi ospitanti tendono ad adottare politiche fortemente discriminatorie che penalizzano i palestinesi rispetto agli altri gruppi di rifugiati. A tal proposito, è necessario sottolineare che i singoli Stati – non diversamente dall’UNHCR – hanno l’obbligo di garantire che ai rifugiati palestinesi siano riconosciuti i medesimi diritti di cui godono le altre popolazioni di rifugiati.

A prescindere da ciò, i rifugiati palestinesi continuano ad rivendicare il loro diritto al ritorno. A partire dal 30 Marzo 2018, nella Striscia di Gaza ogni venerdì viene celebrata la ‘Grande Marcia del Ritorno’. Alla richiesta dell’inalienabile right to return da parte del popolo palestinese, l’esercito israeliano ha risposto a facendo ricorso ad uno sproporzionato quanto illegale uso della forza.  La Grande Marcia del Ritorno è stata brutalmente repressa dalle forze di occupazione israeliane, responsabili dell’uccisione di 206 palestinesi (44 dei quali bambini) e del ferimento di oltre 17000 palestinesi (8394 dei quali feriti con colpi d’arma da fuoco).[7] Nel maggio 2018 l’ONU ha istituito una commissione di inchiesta indipendente per indagare su tutte le presunte violazioni del diritto internazionale commesse da Israele nella Striscia di Gaza. Santiago Canton, presidente della commissione, ha dichiarato che la Commissione ha ragionevoli motivi per ritenere che durante la Grande Marcia del Ritorno, i soldati israeliani abbiano commesso violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario. Alcune di queste violazioni potrebbero costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e devono essere immediatamente esaminate“.[8] Nelle sue conclusioni, la commissione ha vivamente sollecitato l’ONU e gli Stati membri ad attivare meccanismi di giustizia internazionale (compreso  il ricorso alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale) affinché i responsabili di questi deplorevoli crimini non restino impuniti.  

Il disinteresse della comunità internazionale nei riguardi dei diritti del popolo palestinese (primi fra tutti il diritto all’autodeterminazione e al risarcimento per i torti subiti) consente alla Nakba non solo di continuare, ma di intensificarsi. Sono proprio la passività ed indifferenza della comunit‎à internazionale che permettono ad Israele di portare avanti le sue politiche coloniali e di procedere al trasferimento forzato della popolazione palestinese nella più totale impunità. La comunità internazionale, se davvero interessata a trovare una giusta e durevole soluzione al flagello della Nakba Palestinese, deve pertanto adottare un ‘rights-based approach’; un approccio che sia rigorosamente basato sul rispetto principi del diritto internazionale, delle risoluzioni delle Nazioni Unite (prime fra tutte la risoluzione 194 dell’Assemblea Generale e la risoluzione 237 del Consiglio di Sicurezza) e dei principi di giustizia ed equità. Soltanto attraverso un siffatto approccio si potrà definitivamente risolvere la Questione Palestinese, e porre fine al forzato esilio degli attuali 8,7 milioni di rifgiati palestinesi. Ignorare la necessità di un rights-based approach significa mantere uno status quo caratterizzato dall’assenza di protezione internazionale che condannerebbe il popolo palesinese ad un destino di perenne esilio forzato.

Il Consiglio delle Organizzazioni Palestinesi per i Diritti Umani (Palestinian Human Rights Organizations Council), pertanto, reputa assolutamente necessario che:

  • L’Assemblea delle Nazioni Unite provveda a istituire un meccanismo di finanziamento obbligatorio, in sostituzione di quello attuale basato sui contributi volontariamente versati dagli Stati, che consenta il finanziamento costante e sostenibile dell’UNRWA, e che espanda il mandato della suddetta Agenzia di modo che gli standard di protezione legale di cui i rifugiati palestinesi hanno dritto siano soddisfatti;
  • I singoli stati e organismi dell’ONU, ed in particolare l’UNRWA e l’UNHCR, adempiano alle proprie obbligazioni e forniscano ai rifugiati palestinesi l’assistenza e protezione a cui quest’ultimi hanno diritto, e pongano fine alle pratiche discriminatorie nei confronti dei rifugiati palestinesi;
  • Gli Stati membri delle Nazioni Unite e l’UNHCR diano quanto prima attuazione alle raccomandazioni contenute nel rapporto presentato dalla Commissione di Inchiesta ONU, inclusa l’immediata attivazione di misure di responsabilità internazionale che inducano Israele al pieno rispetto degli obblighi previsti dal diritto internazionale e consentano di perseguire gli autori di crimini internazionali.

[2] 5,545,540 M 1948 refugees registered with UNRWA, 1,161,812 M 1948 unregistered refugees, 1,237,462 M 1967 refugees, 415,876 internally displaced inside the Green Line and 344,599  internally displaced in the oPt. BADIL Survey 9th Edition (under final review).
[3]  Rule 132 of Customary IHL; the Fourth Geneva Convention; Universal Declaration of Human Rights; and the International Covenant on Civil and Political Rights.   Basic Principles and Guidelines on the Right to a Remedy and Reparation for Victims of Gross Violations of International Human Rights Law and Serious Violations of International Humanitarian Law, Adopted and proclaimed by General Assembly resolution 60/147 of 16 December 2005, and Declaration of Basic Principles of Justice for Victims of Crime and Abuse of Power, adopted by General Assembly resolution 40/34 of 29 November 1985.
[6]  See BADIL’s series on Forced Population Transfer: the Case of Palestine, available here.