Pinkwashing, la NATO uccide ma non “discrimina”

Di Lorenzo Poli. Queste le parole usate su Facebook dall’ecopacifista Antonio Mazzeo per commentare quello che è successo al quartier generale della NATO. Un qualcosa di così distopico ed assurdo non si poteva sentire. Venerdì 19 marzo 2021, la NATO ha ospitato la sua prima conferenza interna sulle prospettive LGBTQ +. Organizzata dal gruppo di volontari “Proud @ NATO”, l’evento online ha riunito circa 130 partecipanti tra personale civile e militare, nonché delegazioni nazionali, per discutere le esperienze e le sfide delle persone LGBTQ + al lavoro.

Il segretario generale Jens Stoltenberg si è rivolto alla conferenza sull’importanza di una “leadership inclusiva”, affermando che “ogni membro della comunità LGBTQ + della NATO è un membro prezioso del nostro staff e della nostra famiglia, perché la diversità e l’inclusione sono al centro di ciò che siamo e di ciò che facciamo … attingere a tutte le risorse e a tutte le esperienze ci rende più forti e meglio attrezzati per affrontare il futuro”.  Il Segretario Generale ha anche ampliato il concetto di “alleanza” sul posto di lavoro, definendo gli alleati della NATO come coloro che vogliono vedere “un mondo più inclusivo”.

Ecco a voi l’essenza dell’ipocrisia dove un’organizzazione militare parla di diritti e di “mondo inclusivo”. Questo dovrebbe subito metterci in guardia, iniziando a rivedere il nostro linguaggio in quanto attivisti, ma soprattutto su ciò che è il capitalismo intersezionale o meglio l’imperialismo intersezionale: strategia di integrare minoranze storicamente oppresse affinché non si metta in discussione il sistema che ha originariamente prodotto quelle oppressioni. Un sistema che, in linea con la strumentalizzazione neoliberale dei diritti umani, prende una persona di colore, Lgbtq+ o qualsiasi altra identità che vive una subalternità e la integra al suo interno. Questo è ovviamente una rigenerazione d’immagine sui diritti LGBT, un’operazione di pinkwashing, da parte di una organizzazione militare come la NATO che è braccio armato dell’imperialismo nonché l’incarnazione dell’oppressione, delle guerre e della violazione dei diritti umani. Un modo per la NATO di aprirsi in modo del tutto strumentale ai temi LGBT, quasi in modo glamour, per usarli come scudo per continuare a perpetrare lo stesso identico sistema, soltanto con una sfumatura “arcobaleno” e, chi lo sa, forse per cercare di farsi voler bene da ambienti che non l’hanno mai ben vista soprattutto per il suo nonnismo, per il suo razzismo e per l’essere un’organizzazione autoritaria e gerarchica in quanto apparato militare.

Queste strategie stanno diventando sempre più una potente arma di distrazione di massa e, dall’altro, un mezzo per il silenziamento della lotta nei movimenti femministi e LGBTQ+. Un modo per far vedere al mondo come organizzazioni, gruppi e aziende, che hanno sempre sfruttato e diffuso discriminazione, diventino magicamente “buone”, “aperte” ed “inclusive”: un po’ come Coca Cola che, nel 1936, per le Olimpiadi di Berlino scriveva sulle sue etichette “ein Volk ein Reich ein Getrank. Coke ist es”, mentre oggi produce etichette con le bandiere arcobaleno con scritto “Love is Love”.

Si tratta di marketing, di brand, di gioco di immagine che rispondono populisticamente alla crescita di sentimenti di inclusione da parte della popolazione. Un modo per confondere, fregare e soprattutto illudere. Come può la NATO razionalmente definirsi “inclusiva”, quando il suo lavoro è quello di “lacerare” volutamente e sistematicamente popolazioni con interventi militari in giro per il mondo. Chiediamo agli iraqeni, ai libici e ai siriani quanto è “inclusiva” la NATO…

Eppure dalla conferenza di ieri si evince che la politica della NATO “è impegnata per la diversità” e “vieta rigorosamente la discriminazione basata sull’orientamento sessuale, nonché sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione, la nazionalità, la disabilità o l’età”, vantandosi di essere stata “leader mondiale” nel riconoscimento del “matrimonio tra persone dello stesso sesso” nel luglio 2002, quando “solo un paese al mondo, i Paesi Bassi, riconosceva il matrimonio omosessuale”.

Ma davvero vogliamo stare inermi di fronte a questa operazione di pinkwashing perpetrata da una organizzazione che ha condotto 70 anni di guerre in tutto il mondo?

Questa vicenda sicuramente dovrebbe richiamare tutti i movimenti anticapitalisti, pacifisti, antifascisti, femministi e difensori dei diritti umani a cercare di adottare il metodo intersezionale più che mai per combattere queste operazioni, per smascherare e per proporre un’altra narrazione verso “un altro mondo possibile” contro questo modello di sviluppo e contro le guerre.

La vera lotta politica è contro il militarismo e contro chiunque si trovi a dirigerlo, qualunque sia il suo orientamento sessuale e la sua identità di genere.

Fonte: https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_182424.htm?selectedLocale=en