Più di 4000 palestinesi senza tetto negli ultimi 4 anni

Gerusalemme – Infopal. Un dossier dell’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, attiva nei Territori Palestinesi occupati nel 1967, ha confermato che le autorità di occupazione israeliane hanno adottato la politica di demolizione e/o chiusura delle case dei cittadini palestinesi in Cisgiordania e Striscia di Gaza dal 1967 al 2005, con l’obiettivo di punire le famiglie dei palestinesi che hanno commesso reati contro cittadini israeliani.

Secondo il dossier, in particolare, Israele avrebbe demolito 664 case dal mese di ottobre 2001 al gennaio del 2005, lasciando almeno 4182 palestinesi privi di una dimora. Ma la guerra contro le abitazioni è proseguita fino ad oggi: lo scorso 7 aprile, ad esempio, è stata abbattuta la casa della famiglia di Husam Dweyat, con l’accusa di aver effettuato un attacco a bordo di un bulldozer nel luglio 2008.

La distruzione degli edifici, che in precedenza non ha mai fermato le aggressioni armate ai danni d’Israele (ed anzi semina odio e spinge semmai a effettuarne altre), è contraria alla legge umanitaria internazionale. Il suo scopo sarebbe quello di punire gli innocenti, o famiglie sospettate di reati, ma senza accuse reali di averli commessi. Israele pratica così la punizione collettiva, in contraddizione col principio internazionale di non condannare un individuo per un atto non commesso da lui.

Nello stesso contesto, i due centri per i diritti umani Adala e al-Mizan hanno inviato una lettera al ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, nella quale hanno denunciato i crimini di guerra commessi da Israele con l’utilizzo di cittadini inermi come scudi umani. Nel riportare queste accuse, l’avvocato Rana Asali del centro Adala si è basata sulla testimonianza di cinque palestinesi che l’esercito israeliano, durante la guerra combattuta a Gaza pochi mesi or sono, ha costretto a camminare davanti ai soldati, a entrare nelle case per primi per verificare se erano minate, o se vi erano nascosti combattenti di Hamas, e a fotografarle dall’interno. Dopo averle evacuate, i militari imponevano poi alle loro “avanguardie” di demolire i muri per raggiungere le case vicine, di attraversare per primi i buchi che avevano scavato nelle pareti, e così via.

L’avv. Asali aggiunge nella lettera che “l’utilizzo di civili come scudi umani è contrario al decreto del Tribunale Superiore, che proibisce inoltre di forzarli ad aiutare l’esercito nelle sue attività militari: una pratica vietata anche dalla Convenzione di Ginevra”.

Lo statuto del Tribunale Penale Internazionale considera infatti la violazione della Quarta Convenzione di Ginevra un crimine di guerra, e dà quindi il diritto al Tribunale d’indagare e processare i colpevoli. Lo stesso regolamento della commissione giudiziaria, che è stata incaricata d’investigare sulle atrocità commesse nelle repubbliche dell’ex Jugoslavia, giudica la collaborazione obbligata dei civili con l’esercito passibile di condanna internazionale. Il Tribunale ha quindi già chiesto a Barak di aprire un’inchiesta contro i capi militari responsabili del comportamento inumano dei propri soldati.