Poetessa palestinese condannata a 5 mesi di prigione in Israele

Gerusalemme-PIC. Martedì il tribunale di Nazareth ha condannato la poetessa palestinese Dareen Tatour a 5 mesi di detenzione in una prigione israeliana.

Secondo il quotidiano Haaretz, Tatour è stata condannata a maggio per incitamento alla violenza e per aver sostenuto organizzazioni anti-occupazione, accuse basate su alcuni suoi post sui social media.

In seguito alla sentenza, Tatour ha affermato di non essere sorpresa: “Mi aspettavo la prigione ed è quello che è successo. Non mi aspettavo giustizia. E’ stata una persecuzione politica fin dall’inizio perché sono palestinese, perché si tratta di libertà di parola e sono in prigione perché sono palestinese”.

Tatour, 36 anni, residente nella cittadina  di Reineh, vicino a Nazareth, è stata arrestata a ottobre 2015 dopo aver postato, tra gli altri, una poesia intitolata “Resisti, mio popolo, resistigli”.

L’accusa includeva una traduzione della poesia che riportava alcune righe: “Non soccomberò alla ‘soluzione pacifica’/Non calerò mai le mie bandiere/ Finché non li sfratterò dalla mia terra”.

“Il mio processo li ha smascherati – affermò Tatour a maggio -. Il mondo intero verrà a sapere della mia storia. Il mondo intero verrà a sapere cos’è la democrazia in Israele, una democrazia solo per gli ebrei. Solo gli arabi vanno in prigione. Il tribunale mi ha condannata per terrorismo. Se questo è terrorismo, darò al mondo il terrorismo dell’amore”.

“Dopo tre mesi di detenzione, Tatour è stata rilasciata agli arresti domiciliari con un bracciale elettronico. Quattro mesi dopo le è stato permesso di poter lasciare la casa per due ore durante i weekend, se accompagnata. Non le era permesso di usare cellulari o internet, restrizioni che non hanno precedenti”, ha spiegato il suo avvocato Gaby Lasky.

All’epoca dei fatti, Lasky aveva dichiarato a Haaretz che era patetico mettere sotto processo un poeta per una poesia che ha scritto, sulla base di traduzioni letterali e culturali erronee. “Nello sfortunato caso di Dareen, la sua poesia parla, tra le altre cose, della famiglia Dawabsheh e di altre che sono state attaccate da ebrei. L’agente di polizia che ha tradotto la poesia in modo non professionale ha estrapolato le parole fuori dal contesto”,

“Il processo è stato architettato interamente per intimidire e far tacere i palestinesi in Israele, per fare in modo che si auto-censurino per timore di essere processati e per criminalizzare la poesia”. ha affermato Lasky.

Traduzione per InfoPal di Giulia Zeppi