Presidente Api: ‘Accordi di Doha, solo parole’

Continua l’inchiesta della nostra redazione sugli scenari geo-politici, attuali e futuri, nel Mediterraneo e nel Vicino e Medio Oriente.

Abbiamo intervistato Mohammad Hannoun, architetto palestinese, residente da trentanni a Genova, presidente dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese – Abspp onlus, e dell’Associazione dei Palestinesi in Italia – Api.

Dia un suo giudizio sulle Primavere arabe, e qualche cenno alle varie differenze da un Paese all’altro.

“Sono state molto importanti. Speriamo che fioriscano e portino prosperità e autonomia ai Paesi arabi e, come palestinese, sostegno alla nostra causa.

“Stiamo già assistendo a cambiamenti positivi nei confronti dei palestinesi, sia in Egitto sia in Tunisia, dove il premier di Gaza e il capo di Hamas sono stati accolti con tutti gli onori. Stesso trattamento in diversi altri Paesi arabi e islamici dove il governo e l’Ufficio politico di Hamas si stanno recando in visita.

“Anche per ciò che riguarda l’assedio, percepiamo un miglioramento, ma aspettiamo la formazione del nuovo governo egiziano, che esprime la volontà del popolo, come è stato per la Tunisia. A quel punto, certo, attendiamo l’apertura del valico di Rafah e il sostegno ai diritti dei palestinesi”.

Qual è il ruolo dell’Occidente e la sua relazione con il mondo arabo e islamico dopo la vittoria dei Fratelli Musulmani in Egitto, Tunisia e altri Paesi?

“Dalla vittoria dei FM ci aspettiamo un forte cambiamento nelle politiche di ogni singolo Paese verso la questione palestinese. Hanno sempre dichiarato il loro sostegno, ora aspettiamo i fatti. Abbiamo atteso per oltre 63 anni questo momento,ora non vogliamo essere delusi.

“I FM sono esseri umani, non vivono nelle grotte di Tora Bora. Sono intellettuali, politici, commercianti che hanno lavorato alla luce del sole, collaborando con varie forze politiche e con un’ideologia chiara. Nel corso dei decenni, essi hanno pagato un prezzo carissimo per i loro principi, e non hanno mai risposto con la violenza. E’ arrivata l’ora che i popoli arabi scelgano i propri governi”.

Sulla situazione in Siria si leggono molte notizie, spesso contrastanti: quali sono le dinamiche reali e le prospettive del prossimo futuro?

“La situazione è drammatica. Il regime è sempre più aggressivo contro la popolazione. La gente continua a morire. Quasi tutti i dirigenti di Hamas hanno lasciato il Paese, con le famiglie. Non è rimasto quasi più nessuno. Le altre fazioni palestinesi sono rimaste. Hanno dovuto pagare un prezzo carissimo: schierarsi con il regime.

“Hanno cercato di fare pressioni su Hamas affinché si schierasse con il governo di Damasco, ma non ci sono riusciti, perché il movimento ha sempre dichiarato di rispettare la volontà popolare, siriana compresa, per l’autodeterminazione.

“Hamas non è stata obbligata a lasciare il Paese. Il regime ha interesse nella presenza del movimento in Siria, ma la scelta di andarsene è dovuta al fatto di evitare dichiarazioni contrastanti.

“Per quanto riguarda le dinamiche future, sia per Hamas sia per la Siria, il movimento ha sempre trasmesso il suo essere schierato con le lotte arabe, perché si sente accolto e abbracciato dai popoli arabi. Ciò è stato molto chiaro: l’accoglienza da parte dei vari leader arabi dopo e prima delle rivolte è molto diversa, perché sono cambiati i regimi.

“La posizione di Hamas è quella di non pensare a se stesso. Non può pensare di rimanere in Siria appoggiando un regime che è contrario ai propri principi, tacendo sulle violazioni dei diritti umani. Visto che non può permettersi di accettare questa situazione, se n’è andato”.

Cosa ne pensa di un intervento esterno, come nel caso libico?

“Hamas ha detto chiaramente di essere contro un intervento militare come per la Libia. C’è molta differenza tra caso libico e caso siriano.

“La presenza della Nato in Siria avrebbe l’obiettivo di difendere gli israeliani dalle rivolte arabe, quindi negativa.

“Hamas è contro ogni intervento della Nato nel risolvere i conflitti arabi. Sostiene, invece, l’intervento dei Paesi arabi.

“L’unico governo arabo schierato apertamente per la presenza della Nato in Libia è stato il Qatar. Ci sono state posizioni diverse tra stato e stato. Per la Siria non ci sono Paesi che chiedono l’intervento della Nato. Iran e Hezbollah hanno una posizione netta e chiara a favore del regime di Damasco”.

Qual è il ruolo della Turchia nel nuovo assetto geopolitico attuale: vicino a Usa e Israele, o all’asse Irano-asiatico?

“Quella della Turchia è una posizione molto difficile. Confinando con la Siria, sin dal primo giorno si sono dichiarati a sostegno della rivolta. Hanno accolto il Consiglio nazionale siriano. Hanno dato supporto ai rifugiati siriani e appoggiato la richiesta della comunità araba. Sostengono tutte le soluzioni per risolvere la crisi in corso.

“Secondo me non ci sarà alcun attacco contro l’Iran. La Turchia si opporrà a un intervento militare contro il Paese: una guerra contro l’Iran la coinvolgerebbe molto – profughi, basi Nato, attacchi. Non permetterà alla Nato di utilizzare il suo territorio per attacchi contro Tehran”.

Una guerra americano-israeliano contro l’Iran potrebbe trasformarsi in un conflitto tra sunnismo e sciismo, e relativi Paesi sostenitori?

“Non credo. Chi comanda in quei territori è l’America che ha occupato Iraq e Afghanistan, e che ha portato al governo gli sciiti iracheni.

“Gli Usa non possono muovere guerra a un Paese che, di fatto, è loro alleato nella regione. Chi perderebbe sarebbero gli americani”.

Tra pochi giorni partirà il Convoglio “al-Wafaa”, con aiuti umanitari per Gaza, che lei e i suoi colleghi state organizzando. Quali sono gli obiettivi di questa missione? Quali sono i progetti a Gaza? Quante persone parteciperanno?

“Il primo obiettivo è quello di portare gli aiuti di prima necessità – settore sanitario e assistenziale -, portare solidarietà di oltre 100 persone rappresentanti varie realtà; testimoniare dove finiscono i nostri aiuti e come vengono gestiti i fondi raccolti dalle onlus palestinesi in Europa. Per garantire una trasparenza ai nostri donatori e a i governi europei.

“Finché dura l’embargo e l’occupazione israeliana, in quanto sostenitori del popolo palestinese continueremo la nostra opera di beneficenza e le nostre missioni a favore dei bisognosi”.

Quali sono le sue aspettative sulle elezioni palestinesi?

“A Doha hanno annunciato che si terranno a maggio, ma io sono pessimista. Si aspetterà per altri mesi, e nel frattempo i palestinesi continueranno a pagare un prezzo carissimo – i detenuti palestinesi in Cisgiordania continueranno a soffrire, e Israele continuerà l’aggressione contro tutti gli oPt, il progetto di ebraicizzazione farà passi ancora più veloci, i coloni saranno sempre più accaniti.

“I palestinesi non sono soddisfatti di questo accordo: Abbas stesso è un dipendente fedele dello stato di Israele”.

Come mai Hamas, movimento di resistenza, ha accettato tale accordo che prevede la premiership di Abbas?

“A mio avviso ci sono elementi segreti, cose che non sono state dette. Non è possibile che Hamas abbia accettato di riciclare un personaggio come Abbas, al soldo di Israele. Credo che il movimento sia arrivato a questa decisione per liberare i detenuti palestinesi rinchiusi nelle carceri dell’Anp, per rafforzare l’unità inter-palestinese. Oppure perché la scelta Abbas può aver rappresentato il meno peggio…

“I filo-Hamas in Cisgiordania sono perseguitati, torturati, incarcerati da Abbas: fare una tregua può permettere loro di respirare e di ri-organizzarsi, e affrontare le prossime elezione. Gli arresti non si sono mai fermati. Dicono di aver scarcerato i militanti e gli oppositori del presidente dell’Anp, ma sono bugie. Mio nipote, studente universitario e giornalista, è ancora in carcere, e subisce, come tutti gli altri, umiliazioni e maltrattamenti.

“Gli accordi di Doha non hanno portato alcun cambiamento positivo: solo fumo. Solo parole. 

“Sono pessimista sul loro esito futuro, ma spero che le mie percezioni siano smentite. Sono addolorato per le divisioni interne e per il prezzo che sta pagando il mio popolo”.